TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 30 marzo 2019

Mirò, Picasso e la guerra di Spagna




La guerra civile spagnolo vide il coinvolgimento in difesa della Repubblica di intellettuali e artisti come Hemingway, Orwell, Lam, Mirò e Picasso. Proprio Mirò e Picasso furono protagonisti nel 1937 di un evento straordinario destinato a segnare profondamente la storia dell'arte moderna.

Giorgio Amico

Mirò, Picasso e la guerra di Spagna


All'inizio degli anni '30 si apre in Spagna una crisi rivoluzionaria di ampie proporzioni, destinata a protrarsi per l'intero decennio e a risolversi poi con la vittoria della destra estrema e l'instaurazione di un regime dittatoriale di tipo fascista che durerà fino alla metà degli anni Settanta.

Nell'aprile 1931 una forte ondata di lotte nelle campagne e nelle città da l'ultimo scrollone ad una monarchia agonizzante, nei fatti abbandonata ormai dalle componenti più dinamiche e moderne della borghesia. Il regime repubblicano che segue ai moti del '31 non è tuttavia più stabile del precedente. Premuto dalle masse contadine da una parte e dalle esigenze di sviluppo del capitalismo rappresentato dalle forze del radicalismo piccolo borghese dall'altra, il nuovo regime repubblicano è costretto, anche se con mille cautele, a prendere posizione contro la chiesa cattolica, le sue istituzioni, gli infiniti ordini religiosi, il loro enorme patrimonio finanziario e fondiario e contro il ceto dei grandi latifondisti.

La repubblica solleva enormi attese di riscatto sociale. Il movimento si allarga ovunque e in modo spontaneo: nelle campagne, nelle fabbriche, nei quartieri proletari delle città industriali nascono le prime forme embrionali di consigli operai e contadini, le juntas. Le rivendicazioni operaie e contadine si fanno sempre più pressanti di contro a un governo, composto da socialisti, radicali e repubblicani, che elude i problemi di fondo ed in particolare evita accuratamente di decidere in merito alla tanto attesa riforma agraria.

Nonostante ciò, le forze più conservatrici, agrari e Chiesa cattolica in testa, si sentono minacciate e si adoperano per la restaurazione puntando su gerarchie militari, espressione in prevalenza della borghesia terriera, fanaticamente legate al culto di una presunta "ispanità cattolica" minacciata dall'irrompere della modernità. Già nel '32 viene scoperto un primo tentativo di colpo di stato militare. Il golpe organizzato da un generale in pensione, Sanjuro, si rivela una messinscena da operetta nella tradizione dei pronunciamenti militari propri dei generali spagnoli. Il generale Sanjuro viene arrestato, processato e condannato all'esilio. Ma gli altri generali implicati rimangono ai loro posti. Il tentativo golpista, accantonato in attesa di tempi migliori, ottiene comunque un immediato risultato, spostando a destra gli equilibri politici e frenando ulteriormente la già evanescente volontà riformistica del governo.

La borghesia repubblicana inasprisce la repressione nei confronti delle lotte operaie e contadine, tornando a utilizzare come ai tempi della monarchia l'esercito contro i lavoratori. Nel gennaio 1933 a Casas Viejas la Guardia Civil massacra spietatamente i braccianti in lotta. La situazione peggiora ulteriormente nel '34, quando nuove elezioni vedono la vittoria delle forze di centrodestra. Il nuovo governo apre decisamente ai latifondisti e alla destra cattolica.Vengono inseriti nel governo alcuni ministri della CEDA, il partito cattolico fondato nei primi anni Trenta che non nasconde le sue simpatie per il fascismo. A Madrid e a Barcellona gli operai scendono in piazza per opporsi a quello che recepiscono come un tradimento delle loro conquiste. Nelle Asturie i minatori insorgono e per alcune settimane controllano la regione. Sarà il generale Francisco Franco, che per questa impresa verrà poi promosso capo di stato maggiore, a reprimere nel sangue la rivolta asturiana. E' la prova generale di quanto accadrà su scala nazionale due anni più tardi.

All'inizio del '36, a causa di uno scandalo finanziario che coinvolge direttamente il primo ministro Lerroux e buona parte del governo, viene sciolto il parlamento; le nuove elezioni nel febbraio '36 vedono la vittoria del Fronte popolare, costituito dalle sinistre (PSOE e PCE) e dai partiti della democrazia radicale, attorno ad un programma che prevede l'amnistia per gli incarcerati per i fatti asturiani e un timido inizio di riforma agraria.

Di fronte alla vittoria elettorale dello schieramento democratico, le forze conservatrici e in primo luogo i militari e la gerarchia cattolica preparano il colpo di stato. I generali operano alla luce del sole, i nomi dei cospiratori sono noti, il golpe è l'argomento di moda nei caffè di Madrid, ma il governo non adotta alcuna misura precauzionale pago del giuramento di fedeltà dei generali felloni. I cospiratori possono così in assoluta tranquillità tessere la tela della congiura, stabilendo accordi con Mussolini e Hitler che si impegnano a fornire armi e sostegno finanziario, con gli esponenti della CEDA che siedono in parlamento e col vecchio generale Sanjuro in esilio a Lisbona. Di fronte all'aperto disegno reazionario dei generali i sindacati operai, in particolare la CNT, chiedono la formazione di milizie popolari. Il governo respinge decisamente la proposta, riconfermando la propria fiducia nella lealtà delle forze armate. Una situazione che ritroveremo pressochè identica nel golpe cileno del generale Pinochet del settembre 1973.


Il 16 luglio 1936 parte la rivolta dei generali. Anche di fronte all'aperta sollevazione il fronte popolare si rifiuta di armare gli operai, i contadini, i militanti delle stesse organizzazioni che lo compongono. Inutilmente l'UGT, il sindacato vicino al PSOE maggiore forza di governo, reclama con insistenza l'armamento generale delle masse. Ancora il 18 luglio, con la rivolta militare in pieno sviluppo, il partito socialista e il partito comunista dichiarano congiuntamente che la situazione è difficile ma non disperata, mentre il governo tenta a trovare un compromesso con i generali rivoltosi per arrivare a una mediazione e ad una ricomposizione pacifica della crisi che eviti la guerra civile. Di fronte alle esitazioni della politica sono le masse popolari, gli operai delle città e i braccianti delle campagne, a bloccare il golpe, attaccando, spesso a mani nude, le caserme, recuperando armi, convincendo i soldati di leva a passare dalla parte del popolo.

Dal 19 gli operai armati cominciano a organizzare colonne di miliziani che passano al contrattacco riconquistando parte del territorio caduto sotto il controllo dei franchisti. Il 20 luglio, allo scadere dei quattro giorni programmati dai generali per la conquista di tutta la Spagna, sono in mano ai rivoltosi le colonie, poche città dell'Andalusia occidentale a Sud e una parte della Vecchia Castiglia e del Léon al nord. Ovunque la reazione dei proletari, dei braccianti, dei contadini è stata immediata anche se lasciata alla spontaneità e disorganizzata.

E' questo l'inizio di un rapido processo rivoluzionario che investe tutta la Spagna. Ovunque si formano comitati rivoluzionari di operai, di braccianti, di contadini che assumono tutto il potere; confiscano terre e le distribuiscono, requisiscono le fabbriche e ne controllano la produzione, formano sotto il loro controllo forze di polizia, aprono e gestiscono nuove scuole. Un pugno di giorni basta a far esplodere la rabbia immensa del popolo, accumulata in secoli di servaggio. Tutto il potere è nelle mani di un popolo in armi fieramente determinato a combattere fino alla fine. Una potente ondata rivoluzionaria incendia la Spagna, blocca e fa retrocedere il golpe franchista.

Fin dai primi giorni la rivolta dei generali comincia a ricevere consistenti aiuti materiali da Hitler e da Mussolini, grazie ai quali riesce rapidamente a superare le difficoltà impreviste dovute agli insuccessi militari e al mancato appoggio della marina che è rimasta fedele alla repubblica. A luglio un grande ponte aereo-navale organizzato dai Germania e Italia garantisce l'afflusso delle truppe Le truppe coloniali marocchine (“los moros”) e della legione straniera nel territorio spagnolo occupato dai rivoltosi. Saranno proprie questi reparti mercenari a formare il nerbo delle truppe franchiste e a rendersi responsabili dei massacri e delle atrocità che segneranno la progressiva avanzata dei golpisti. Grazie all'aiuto delle potenze fasciste Franco può rapidamente riorganizzare il suo schieramento e rilanciare con forze fresche l'offensiva verso Madrid.

Il governo repubblicano è costretto a chiedere aiuto: si rivolge al governo di fronte popolare in Francia, presieduto dal socialista Léon Blum. Ma senza esito. Dopo consultazioni con gli inglesi, il governo francese dichiara di auspicare una politica di non-intervento. La Spagna democratica resta sola davanti all'aggressione fascista che si presenta fin dagli inizi con il suo volto più spietato. A Granada, una delle prime città occupate ai militari ribelli, viene arrestato il poeta Federico Garcia Lorca, odiato dalla destra per le sue idee anticonformiste. Lorca, che si era rifugiato presso il cognato sindaco socialista della città (anche lui fucilato), viene arrestato e assassinato la notte del 19 agosto 1938. La sua colpa, secondo un documento della polizia ritrovato nel 2015, è di essere un "massone appartenente alla loggia Alhambra" e di "praticare l'omosessualità e altre aberrazioni".

Le stragi dei generali, la ferocia delle truppe coloniali che si accaniscono contro la popolazione civile e in particolare le donne, la repressione sistematica di ogni forma di dissenso scatenano un moto di protesta in tutti i paesi democratici. In prima fila sono intellettuali ed artisti.

Scrittori come Ernest Hemingway che andrà in Spagna come giornalista e denuncerà la brutalità fascista e l'eroismo del popolo spagnolo nel suo grande romanzo “Per chi suona la campana” che già nel titolo, un verso del poeta inglese John Donne, ricorda che nessun uomo è un'isola e dunque non si può restare indifferenti a ciò che accade altrove ad altri uomini. “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te”- aveva scritto così il poeta e Hemingway lo riprende per invitare il mondo civile all'impegno e alla resistenza contro il fascismo che rappresenta una minaccia per tutti e non solo per gli spagnoli. Il libro esce nel 1940 quando le truppe naziste occupano già Parigi e gran parte dell'Europa a conferma del carattere non episodico o locale dei fatti spagnoli.



Scrittori, ma anche poeti come il cileno Pablo Neruda, in quegli anni console in Spagna per conto del suo governo, testimone diretto delle atrocità franchiste che denuncia con versi che descrivono l'orrore indicibile di ciò che sta accadendo:

Chiederete: ma dove sono i lillà?
(...)
Vi racconterò tutto quel che m'accade.
Vivevo in un quartiere
Di Madrid, con campane,
Orologi, alberi.
Da lì si vedeva
Il volto secco della Castiglia,
Come un oceano di cuoio.
La mia casa la chiamavano
“La casa dei fiori”
(...)
E una mattina tutto era in fiamme,
E una mattina i roghi
Uscivan dalla terra,
Divorando esseri,
E da allora fuoco,
Da allora polvere da sparo,
Da allora sangue.
Banditi con aerei e con mori,
(...)
Arrivavan dal cielo a uccidere bambini,
E per le strade il sangue dei bambini
Correva semplicemente, come sangue di bambini.
(...)
Generali
Traditori:
Guardate la mia casa morta,
Guardata la Spagna spezzata:
(...)
Chiederete: perché la tua poesia
Non ci parla del sogno, delle foglie,
Dei grandi vulcani del paese dove sei nato?
Venite a vedere il sangue per le strade,
Venite a vedere Il sangue per le strade,
Venite a vedere il sangue
Per le strade!

Il culmine dell'orrore si raggiunge il 26 aprile 1937 quando una squadriglia di 24 aerei (fra cui tre italiani) rade al suolo la città di Guernica che non è un obiettivo militare, ma rappresenta la capitale storica del popolo basco e dunque il cuore della resistenza all'oppressione e al fascismo. E' il primo bombardamento sistematico di un obiettivo civile e inaugura un nuovo tipo di guerra, che i nazisti applicheranno poi su larga scala due anni più tardi sulle città inglesi, mirante a terrorizzare la popolazione civile, a spezzare la volontà di resistenza di un popolo con l'annientamento pianificato minuziosamente e generalizzato di chi si oppone.


Le foto di Guernica distrutta fanno il giro del mondo. Pablo Picasso, che vive a Parigi, ne è immediatamente informato dalla sua compagna Dora Maar. E' lei a spingerlo a fare qualcosa, perché qualcosa si deve fare, non si può rimanere inerti a guardare ciò che il fascismo fa in terra di Spagna.

“Il segreto di Guernica è una donna. - scrive una giornalista ricostruendo quell'episodio - C'era lei, quei giorni. è scesa lei in strada il pomeriggio del primo maggio del '37 a comprare Ce soir. Ha visto lei per prima, salendo fino all'ultimo piano le scale dell' atelier di rue des Grands Agustins, la foto in bianco e nero di prima pagina: «Immagine della città di Guernica in fiamme». è lei che gli ha detto: «Guarda». Lui stava conversando con un amico, lei si è avvicinata, ha messo tra i due il giornale e ha detto solo questo: guarda”.

La risposta di Picasso sarà Guernica, la grande tela che denuncia gli orrori e la ferocia della guerra di Spagna. Fin da subito l'artista è consapevole della portata politica del suo lavoro:

"La guerra di Spagna – dichiarerà - è la battaglia della reazione contro il popolo, contro la libertà. Tutta la mia vita è stata una lotta continua contro la reazione e la morte dell'arte. In Guernica, e in tutte le mie opere recenti esprimo chiaramente il mio odio per la casta militare che ha fatto naufragare la Spagna in un oceano di dolore e di morte".

In quegli stessi giorni si apre a Parigi la grande esposizione universale che vede la partecipazione dei principali paesi del mondo. Sono gli anni del Fronte Popolare e l'Expo diventa immediatamente occasione di contrasto politico. La destra vede nell'esposizione il segno della propaganda “giudaico-massonica”. Nel suo libello antisemita Bagattelle per un massacro Céline la definisce “La grande giuderia 1937” e aggiunge: “Tutti quelli che espongono sono ebrei. Tutto quello che comanda, che dirige, che ordina, architetti, grandi ingegneri, direttori, incaricati, tutti ebrei, o mezzi ebrei, o peggio andare massoni. Occorre che la Francia intera venga ad ammirare il genio ebraico. Occorre che la Francia intera si eserciti a morire per gli ebrei”.


Ed in effetti l'Expo del 1937 diventa una grande vetrina propagandistica, ma per i regimi totalitari. All'ingresso due grandi padiglioni si contrappongono l'uno all'altro a segnare anche visivamente il contrasto fra due ideologie e due potenze: quello tedesco costruito da Albert Speer e quello sovietico. Entrambi nel segno del gigantismo marziale, segno della potenza dei regimi nazista e staliniano, ideologicamente opposti, ma esteticamente identici.

Proprio nell’anno 1937 sia la Germania nazista che l’Unione Sovietica di Stalin avevano intensificato la repressione nei confronti dell’arte «decadente». A Monaco i nazisti allestirono quella che sarcasticamente è stata definita la più bella mostra di arte contemporanea e che Goebbels decise di battezzare come Mostra dell’arte degenerata : oltre 650 opere confiscate, da Otto Dix a Paul Klee, da Kandinskij a Piet Mondrian, da Oskar Kokoschka a Max Ernst, allo stesso Picasso, espressione dello spirito «ebraico», «prodotto di menti malate» e anti-tedesco. Sempre nel 1937 Stalin metteva al bando, come antisovietico e antipopolare l’astrattismo di Kandinskij.

Anche la Spagna partecipa all'Expo trasformando il suo padiglione in una denuncia dei crimini del fascismo. Max Aub, che ne è il curatore, chiama due artisti ad affrescarlo. Sono Mirò e Picasso, entrambi catalani, entrambi antifascisti convinti.


Juan Mirò crea un grande murale di cinque metri per quattro composto di sei pannelli e rappresentante un mietitore radicato nella terra come un albero che in una mano impugna una falce e alza l'altra verso il cielo ad accarezzare una stella. Un'opera visionaria e bellissima di cui rimangono solo le foto scattate allora perchè non se ne trovano più tracce dopo la chiusura dell'Expo e lo smantellamento dei padiglioni.

El segador (il mietitore) incarna il sogno di una Spagna che lotta accanitamente per la libertà e per un avvenire che sia fatto di pane (il grano mietuto), ma anche di rose: l'arte, la cultura, la bellezza a disposizione del popolo (la stella). L'opera si richiama anche direttamente all'indipendentismo catalano perché Els segadors (I mietitori) è anche il titolo dell'inno nazionale catalano che riprende un antico canto popolare nato in occasione della grande rivolta antispagnola dei contadini catalani del 1622.


Diversa l'impostazione di Picasso. Guernica, che dipingerà in pochissimi giorni (l'inaugurazione del padiglione sarà il 25 maggio), vuole essere un grido di denuncia della guerra, una luce che si accende e rivela la brutalità e l'orrore dell'aggressione fascista alla democrazia spagnola. Picasso pensa l'opera, che prende una intera parete del piano terra del padiglione, come una sorta di sacra rappresentazione, strutturata secondo i canoni dell'arte sacra medievale, come un polittico composto di tre fasce verticali, due laterali più strette, simmetriche, contenenti a sinistra il toro ( simbolo di violenza e bestialità) e a destra un uomo in una casa in fiamme che tende le mani al cielo rappresentato in un urlo senza voce. Le due parti estreme fanno da quinta a quella centrale, più larga, ove è ammassato il maggior numero di personaggi, qui la composizione si organizza su una struttura “a frontone” ispirato ai templi greci che converge verso la lampada a esplicitare lo scopo dell'opera: fare luce sull'orrore.


All’estrema sinistra una madre lancia al cielo il suo grido straziante mentre stringe fra le mani il cadavere del figlio. Picasso lo definirà un riferimento esplicito alla pietà di Michelangelo. Al vertice un cavallo ferito, simbolo del popolo spagnolo, nitrisce dolorosamente protendendo verso l’alto una lingua aguzza come una scheggia di vetro. Sopra di lui una lampada che illumina la scena e rende evidente ciò che sta accadendo. Da una finestra una figura femminile sporge una lampada. E' un omaggio e una dedica a Dora Maar che per prima ha aperto gli occhi del pittore sull'orrore di Guernica e ad insistere perché si prendesse posizione.

Ovunque morte e distruzione, sottolineate da un disegno duro e quasi tagliente. All’angolo inferiore destro una donna in ginocchio tende le braccia al cielo. Al suolo, tra le macerie, si assiste all’orrore dei cadaveri straziati.

Esattamente al centro del dipinto una mano serra ancora una spada spezzata, da cui germoglia un fiore: è l'unico segno di speranza, ma da il senso profondo dell'opera. Occorre far luce sull'orrore, squarciare le tenebre che coprono la violenza e la vogliono rendere invisibile e impunita. Solo così può risorgere dalle rovine e dalla morte il fiore della libertà e della pace. Questo è il compito dell'artista: fare luce, rappresentare l'indicibile, lasciare aperta una via alla speranza.

“Io – affermerà anni più tardi Picasso - non ho mai considerato la pittura come un’arte di puro piacere, di distrazione. Io ho voluto con il disegno e col colore, dato che sono le mie armi, penetrare sempre più nella coscienza degli uomini e del mondo, affinché questa coscienza ci liberi ogni giorno di più”.