Oggi il supplemento
culturale di Repubblica dedica l'apertura a Truman Capote nella
ricorrenza dei sessant'anni dalla tragica morte. Nonostante il titolo "Colazione da Truman", non tanto demenziale (che sarebbe stato almeno un merito) quanto banale che campeggia in prima pagina, il fascicolo ospita un
intrigante articolo di Natalia Aspesi incentrato soprattutto sul
rovinoso declino dello scrittore successivo alla pubblicazione del
suo libro "Preghiere esaudite" in cui Capote metteva
crudelmente alla berlina, mettendone in piazza vizi e segreti
inconfessabili, l'élite intellettuale di New York. Una colpa che
non gli fu mai perdonata e che gli costò una sorta di damnatio
memoriae e l'esclusione definitiva da quel mondo.
Recuperato nel loculo dei
libri a suo tempo comprati e mai letti, il libro che non è un capolavoro, ma
merita comunque, se non altro per la ferocia gelida della
scrittura che porta un po' di aria fresca in una giornata afosa, contiene perle affascinanti. Fra le tante una crudelissima descrizione di
Parigi di cui in questi giorni , fra pugili dalla sessualità discussa e grandeur
macroniana andata a male (vedi la Senna inquinata), si parla tanto, a proposito e a sproposito.
"Se penso a Parigi,
mi sembra romantica come un pissoir ingorgato, allettante come un
nudo strangolato che galleggia nella Senna. I ricordi sono limpidi e
azzurri, come scene che affiorano tra le languide cancellature di un
tergicristallo; e mi vedo saltare da una pozzanghera all’altra,
perché è sempre inverno e piove; o se no seduto da solo a sfogliare
«Time» sulla terrazza deserta dei Deux Magots, perché è sempre
anche una domenica pomeriggio d’agosto. Mi vedo svegliarmi in
camere d’albergo non riscaldate, camere deformate e ondeggianti nei
postumi di una sbornia di Pernod. Attraversare la città, passare i
ponti, percorrere il deserto corridoio fiancheggiato da vetrine che
collega i due ingressi dell’Hôtel Ritz, aspettare nel bar del Ritz
una faccia d’americano danaroso, scroccare bibite lì e poi al
Boeuf-sur-le Toit e alla Brasserie Lipp e poi sudare sino all’alba
in qualche localaccio stipato di puttane, reso eccitante dai negri e
azzurrato da Gauloises bleu; e svegliarmi di nuovo in una camera
inclinata e oscillante con cadaverica esuberanza. Certo la mia vita
non era quella di un normale indigeno; ma neanche i francesi riescono
a sopportare la Francia. O meglio, adorano il loro paese, ma
disprezzano i propri compatrioti – incapaci come sono di perdonarsi
i loro comuni peccati: la diffidenza, la spilorceria, l’invidia, la
grettezza generale".