TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 5 luglio 2020

Un massone racconta la Shoah. La testimonianza di Nedo Fiano




Un massone racconta la Shoah. La testimonianza di Nedo Fiano

“Bisogna parlare per ricordare quello che è accaduto e per evitare che riaccada. Chi dimentica, diventa complice degli assassini. E una società come la nostra non può permettersi di far finta di niente”. Nedo Fiano, scrittore italiano, sopravvissuto alla deportazione nazista nel campo di concentramento di Auschwitz – il suo numero di matricola era A5405 – Gran Maestro Onorario del Grande Oriente e tra i più attivi testimoni contemporanei dell’Olocausto, spiega con queste parole che arrivano al cuore perché celebrare il 27 gennaio la Giornata delle Memoria dedicata alle vittime dello sterminio degli ebrei (Shoah) è un dovere.

Nei campi di concentramento e di sterminio nazisti trovarono la morte 3 milioni di ebrei – tra i fucilati e quanti furono uccisi nei ghetti questa cifra sale a 6 milioni – 3 milioni e 300 mila prigionieri di guerra, un milione di oppositori politici, 500 mila Rom, 9 mila omosessuali, 2250 testimoni di Geova, 270 mila tra disabili e malati di mente. Numerose le vittime anche tra i massoni: la stima, approssimativa perché non completamente esaminata a livello internazionale, si aggira tra gli 80 mila e i 200 mila.

A riaprire questo capitolo della storia della Libera Muratoria è stata due anni fa la rivista “The Square – The Independent Magazine of Freemasons”, testata ufficiale della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, tra i periodici più letti insieme a “Freemasonry Today” del mondo massone anglosassone, che ha dedicato un intero numero, quello del mese di giugno, ai fratelli che furono vittime del Nazismo. Il dossier, a cura di David Lewis, ha raccontato gli orrori e le persecuzioni perpetrate nei confronti dei massoni in Germania durante il regime totalitario di Hitler e svelato l’esistenza di documenti, che confermano l’adozione da parte del Terzo Reich di protocolli ad hoc per la sistematica cattura ed eliminazione di tutti i massoni dei paesi conquistati dai tedeschi. Il fuhrer considerava la Massoneria un nemico giurato. Un triangolo rosso rovesciato: era questo il simbolo che distingueva i massoni, al pari dei detenuti politici, internati nei lager nazisti, così come la stella gialla di David distingueva gli ebrei, il triangolo rosa distingueva gli omosessuali, quello marrone gli zingari, il viola i testimoni di Geova e così via.

Fonte: Erasmo, Notiziario del Goi, gennaio 2017



Chi è Nedo Fiano

Nato a Firenze nel 1925, dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste nel 1938, dovette abbandonare la scuola a 13 anni perché di religione ebraica.
Il 6 febbraio 1944 fu arrestato e successivamente trasferito al campo di transito di Fossoli, insieme con altri undici membri della sua famiglia.
Il 16 maggio 1944 fu deportato, insieme con tutti i suoi familiari presso il campo di concentramento di Auschwitz. Un'esperienza che lo segnò per sempre, tanto da dichiarare:

«Ciò che ha connotato tutta la mia vita è stata la mia deportazione nei campi di sterminio nazisti. Con me ad Auschwitz finì tutta la mia famiglia, vennero sterminati tutti. A diciotto anni sono rimasto orfano e quest’esperienza così devastante ha fatto di me un uomo diverso, un testimone per tutta la vita»L'11 aprile 1945 fu liberato dalle forze alleate nel campo di concentramento di Buchenwald, dove era stato trasferito dai nazisti in fuga, unico superstite della sua famiglia.

Dagli anni '60 porta la sua testimonianza in giro per l'Italia e per le scuole. Nel 1997 è fra i testimoni del film-documentario Memoria presentato al Festival di Berlino. Nel 2003 ha pubblicato il libro A 5405. Il coraggio di vivere, nel quale ha raccontato la sua esperienza di deportato.
È stato uno dei consulenti di Roberto Benigni nel film La vita è bella; è apparso in numerosi programmi televisivi di divulgazione e ha preso parte a molti documentari, tra i quali Volevo solo vivere di Mimmo Calopresti, Un treno per Auschwitz di Bruno Capuana, Un giorno qualunque di Hendrick Wijmans.
Massone, il 2 aprile 2011 è stato nominato Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d'Italia.

Fonte: Wikipedia

sabato 4 luglio 2020

Giuseppe Cesare Abba poeta. Canzone in morte di Byron

    J.D. Odevaere, Lord Byron on his Death bed (1826). Groeningenmuseum


Giuseppe Cesare Abba poeta. Canzone in morte di Byron

Di Abba conosciamo l'attività di scrittore. Famosi i suoi ricordi della spedizione dei Mille a cui partecipò come semplice volontario, meno noti i suoi racconti alcuni dei quali offrono un quadro vivissimo della Val Bormida contadina di metà Ottocento. Pochissimo conosciuto è invece l'Abba poeta, autore di "cantiche" giovanili, fortemente intrise dello spirito romantico del tempo, ma in cui già emerge quella aspirazione ad una società più giusta e libera che avrebbe connotato l'intero suo percorso culturale e politico. Di questa produzione poetica, peraltro rimasta limitata agli anni giovanili e dunque con non poche ingenuità anche stilistiche, riprendiamo la cantica dedicata alla morte del poeta inglese Byron, caduto combattendo per la libertà della Grecia dal dominio turco.
La poesia venne pubblicata, colla firma G. C. A. nel periodico Diario Savonese del 24 dicembre 1859, preceduta da questa premessa:
«Pubblichiamo assai di buon grado la seguente poesia d'un giovane, ingegnosamente studioso, del circondario, essendoci parsa e per nobiltà di concetto e splendida eleganza di forma degna di essere offerta ai cultori della civile letteratura, » 
G.A.

La morte di Giorgio Byron
Cantica

Fervean le greche pugne, e il generoso
Popolo Elleno i dì tristi fra l'armi
E le notti volgea sangue anelando,
Sacrosanto lavacro, onde la terra
Dove l'uomo ebbe vita al più sublime,
Al più sacro diritto, a libertate
Si vendica.—E d'armati ingagliarditi,
Che ostia fean giubilando della vita
Per la patria e per l'are, era un immenso
Campo, Grecia in que' dì.— Le donne anch'esse,
Gli ornamenti deposti e i nivei pepli.
Gareggiavano all'armi, e avventurosa
Sé gridava colei, che un pargoletto
Serrando al seno, al balenìo dei brandi
Educarlo potesse e sacramento
Far per l'infante che sarìa cresciuto
A libertade, e, per la patria, a morte.

Era l'alba; e la notte i peregrini
Angioli che su in ciel regnan beati
Ad ogni astro le faci allegratrici
Accese non avean.— Immensamente
Strano in Grecia capriccio di natura.
Su per l'alto premeansi roteando
Negre nubi, che nordica bufera
Malignando e ruggendo flagellava
Per la plaga d'Oriente anche scoverta.
Che, dispersa la porpora e l'azzurro.
D'argento si pingea, quasi novella
sposa, che cinge ancor per una volta
Le immacolate bende, ed, infiorando
Il labbro ancro di verginal sorriso.
Lo sposo aspetta.

E già pien di sublime
Maestade sorgea sull'orizzonte
Lampeggiando dell'alma onda sul crine
Il sol, gloria di Dio.—Ma non appena
Con raggio amico salutò le torri
Di Missolungi, nelle negre nubi,
Che cozzando irrompean per improvviso
Urto di vento, s'avvolse increscioso
Di rischiarare una luttuosa scena.

E triste scena io narro.— Entro fastoso
Padiglion, dove tutta si raccoglie
La pompa oriental, conta gli estremi
Aneliti di vita, e nella lotta
Angosciosa di morte s'affatica
Il cantore di Lara.— I generosi
Che gli fan cerchio, piamente accolti,
Stancano la pupilla in lui spiando
L'affannoso respiro ; e qual con dolce
Modo il guancial solleva e qual la mano
Gli bacia e qual profumato lino
La fronte pallidissima gli terge.
Ma la quete è profonda.

Ai limitari
Muti e nei volti di dolor dipinti
S'accalcano accorrendo i desolati
Mìssolungiti e, con sommesso accento
Quella calma rompendo, a gara a gara
Si fan dimanda— «Egli sen muore, in Dio
Del sommo Filleleno inebbriata
La grande alma si affissa !—Oh sventurati
Noi, esclama un guerrier, se ne abbandona
Il Brittan generoso !...— E forte ancora
Di sì fiorita gagliardia !Lo vidi
Son pochi di, che sul corsier fumante
Balenando nel volto, irosamente
L'erta vinceva ad inselvarsi; forse
Triste pensier lo contristava e smania
Avea di quete : ed or giace al guanciale
Della morte : Sorelle, oh doloroso !,
Le nostre man la funeral ghirlanda
Deggion tesser pel grande !»

Eran di mesta
Giovinetta gli accenti ; una di quelle
Greche, cui quel morente in più bei giorni,
Quando spirava dal divin sembiante
Tutta la vampa del suo cor, destato
Forse un palpito avea.— Spirto gentile.
Se il tuo cor sofferì, se mosso il petto
Da soave sentisti aura d'amore,
Ti sovvenga di Lui, che tempestosi
Volge i suoi giorni e non trovò cotanto
Raggio di gioia, a compensar gli affanni
Che l'esistenza infunestarglì ; tutti
Tutti i mattin che si destò, gli aperse
Gli occhi alla luce il genio del dolore !

Riacceso intanto di vital scintilla
Nel già pallido volto, alzò la fronte
E pien del fuoco che i supremi annunzia
Conati della vita, a quella parte
Di ciel li volse, ove il desir pingeva
Alla mente vulcanica la terra
Dei suoi padri.—E gli amici frettolosi
Gli si accolgono in giro e, gli alleggiando
Il peso che le membra gli opprimea,
Desiosi pendean dal tremulante
Labbro, che a calde si schiudea parole.

mercoledì 1 luglio 2020

Rivoluzionari russi nella Riviera del primo Novecento (1905-1914)

    Boris Savinkov ai tempi dell'esilio in Liguria


Una pagina poco conosciuta della storia ligure.

Giorgio Amico

Rivoluzionari russi nella Riviera del primo Novecento (1905-1914)

La Riviera ligure all'inizio del Novecento fu da Nizza (ché la Costa Azzurra - confini politici a parte - ne fa parte integrante) a La Spezia patria degli inglesi, come testimoniano ancora oggi ville, parchi e piccole deliziose chiesette anglicane. Ma non ci furono solo gli inglesi o pittori come Monet, sceso a Bordighera in cerca di luce e colori, la Riviera ospitò anche una nutrita colonia di esuli russi, costretti ad abbandonare il loro paese per la dura politica repressiva dell'autocrazia zarista verso ogni forma di dissenso.
Questi esuli, fra cui molte donne, scelsero la Riviera per il clima, dato che molti soffrivano di tubercolosi a causa del duro sistema carcerario zarista, ma anche perché soprattutto nel Ponente molti Comuni erano retti da amministrazioni socialiste e dunque potevano offrire condizioni migliori di accoglienza. Non va poi dimenticato che molti di questi esuli erano massoni, iniziati nelle logge francesi o nella Massoneria russa rinata clandestinamente dopo la rivoluzione del 1905 dopo essere stata bandita dallo zar Alessandro I nel 1822, con l'obiettivo dichiarato di abbattere l'autocrazia zarista e di instaurare in Russia una moderna democrazia di tipo occidentale. Essi trovarono rifugio e supporto nelle logge liguri, soprattutto del Ponente, considerato che il Grande Oriente d'Italia, memore delle sue radici garibaldine e mazziniane, era fieramente avverso allo zarismo tanto da organizzare grandi manifestazioni di protesta in occasione della visita in Italia dello zar Nicola II, "l'imperatore delle forche".

Uno dei maggiori centri di soggiorno dei socialisti russi era Nervi, allora importantissima località di villeggiatura. Nel 1909, secondo fonti di polizia, si contavano in città ben 305 russi di cui 120 , i più benestanti, ospitati in albergo e il resto, definiti di povere condizioni; residenti in camere ammobiliate o presso amici. Sembrano molti, ma nel 1911 erano diventati addirittura 800, tanto da preoccupare il Prefetto che allarmato denuncia la presenza al loro interno di quasi 300 "iscritti al partito terrorista russo". Eppure, nonostante questi timori, nessuna particolare misura di polizia fu presa nei loro confronti, né ci risultano campagne di stampa contro "l'invasione" straniera, a dimostrazione di come, contrariamente a quello che solitamente si pensa, l'Italia giolittiana fosse per molti versi più tollerante e persino più democratica dell'Italia di oggi, in cui, nonostante il gran parlare che si fa di "accoglienza", "Costituzione" e "diritti civili", gli stranieri sono trattati soprattutto come un problema di ordine pubblico.
La comunità russa era stabile tanto da darsi una rete di istituzioni finalizzate all'assistenza e all'aiuto reciproco, come "Villa Maria", una clinica a Bogliasco creata e diretta da medici russi e frequentata soprattutto da emigrati, un ambulatorio medico a Nervi affiancato da una libreria e addirittura una "Società di soccorso per i profughi russi" con un proprio giornale "Echo Riv'erij" (L'Eco della Riviera), stampato a Davos in Svizzera e diffuso da Nizza a La Spezia. Collegata a questa società, ma con centro a Genova funzionava poi un ufficio incaricato di fornire informazioni ai profughi su alberghi, pensioni e possibilità di cura in caso di malattia, denominato "Soccorso. Pervoe russkoe spravočnoe biuro v Italii" (Soccorso. Primo ufficio russo di informazione in Italia).

Anche a La Spezia soggiornava una comunità russa, raccolta attorno allo scrittore Aleksàndr Valentinovic Amfiteatrov, allora molto famoso e in esilio dal 1905 dopo la repressione dei moti rivoluzionari. Molto ricco, Amfiteatrov ospitava nella sua villa di Porto Venere esponenti di primo piano del movimento rivoluzionario russo come lo scrittore Gor'kij e German Aleksandrovič Lopatin, già amico e collaboratore di Herzen e di Marx e primo traduttore nel 1872 in Russia de Il Capitale.

Presenza che allarmava i vertici militari, vista la contiguità con la maggiore base navale italiana, che temevano possibili attività spionistiche. "L'espulsione in massa della colonia russa da Spezia - si legge in un documento segreto della Marina - sarebbe certo il provvedimento più radicale, ma è cosa evidentemente delicata, specie ora che sta per associarvisi la personalità di Gorki; ma è al di fuori delle ordinarie prerogative dell'autorità militare, non essendo la piazza sul piede di guerra, e considerando che una simile azione può avere dei legami con l'indirizzo politico e diplomatico del governo". E infatti, a riprova di quanto dicevamo sulla tolleranza dei tempi, non se ne fece nulla, salvo una perquisizione nella villa di Amfiteatrov che scatenò comunque un putiferio politico e fu denunciata dai socialisti come una scandalosa violazione delle libertà democratiche.

Consistente anche la presenza russa nella Riviera di Ponente a cavallo del confine. Théoule-sur-Mer, importante località balneare sul golfo di la Napoule ospitava una forte colonia di socialisti rivoluzionari, animata da Boris Savinkov, scrittore, massone e capo dell'apparato militare del partito socialista rivoluzionario. Savinkov, che era realmente un terrorista, faceva frequentemente la spola fra Théoule e la villa di Amfiteatrov a Porto Venere, soggiornando spesso in una villa che aveva preso in affitto a Sanremo, cittadina che con Bordighera, Ospedaletti, Ventimiglia, Porto Maurizio rappresentava uno dei principali luoghi di residenza degli esuli.

Inutile dire che tra queste centinaia di russi si annidavano numerosi agenti e informatori della polizia segreta russa e dei servizi di intelligence italiano e francese. Anzi, probabilmente, come sempre accaduto in simili situazioni, erano più le spie e gli avventurieri che i veri terroristi. Qualche problema però ci fu. Come l'arresto nell'aprile 1911 a Porto Maurizio di un collaboratore di Savinkov trovato in possesso di una pistola automatica. Ma anche in questo caso la reazione fu minima, limitata ad una condanna a 25 giorni di carcere e all'immediata espulsione a Cannes dell'interessato.

Forte fu nel Ponente ligure la solidarietà dei socialisti. Lo testimonia una relazione del 1908 del prefetto di Porto Maurizio che lamenta come gli esuli "da qualche tempo vanno prendendo parte assidua a manifestazioni, specie elettorali (...). Si sono visti numerosi nei diversi comizi socialisti prendere posto insieme coi maggiorenti del partito sul palcoscenico, applaudire gli oratori con quel calore che denota la loro devozione alla causa sovversiva".

La cosa non stupisce se si pensa, cosa poco conosciuta anche a molti specialisti della materia, che a Bordighera soggiornò a lungo Pëtr Alekseevič Kropotkin, con Bakunin uno dei padri dell'anarchia, mentre a Sanremo, dove la moglie, medico illustre, dirigeva un sanatorio, dal 1908 al 1914 visse il padre del marxismo russo e fondatore del Partito Socialdemocratico Georgij Valentinovič Plechanov .

Una storia che finì con lo scoppio della guerra nel 1914 e poi riprese nel 1918 dopo la rivoluzione russa, ma questa volta gli esuli erano russi "bianchi" in fuga dal governo dei soviet e dunque, come si suole dire, si tratta di un'altra storia che magari racconteremo in una prossima occasione.


Per saperne di più è sempre attuale lo studio di Angelo Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Laterza 1977, da cui abbiamo largamente attinto per queste brevi note).


martedì 30 giugno 2020

Quando Montanelli preparava il colpo di stato e la guerra civile




Giorgio Amico

Quando Montanelli preparava il colpo di stato e la guerra civile

"Fu Montanelli a insegnarci il rispetto per i nemici" con questo titolo Francesco Merlo interviene sulla Repubblica del 16 giugno a proposito dell'imbrattamento della statua che il comune di Milano ha dedicato al giornalista. Dunque, imbrattamenti simbolici a parte, per Repubblica Montanelli fu un maestro di tolleranza. Peccato che le cose non stiano proprio così e forse l'illustre giornalista avrebbe dovuto documentarsi un po' meglio prima di scrivere il suo francamente imbarazzante compitino.

Noi l'abbiamo fatto. 

Dal 1953 al 1956 Claire Booth Luce,  moglie di Henry Luce, fondatore ed editore di alcuni tra i più importanti periodici americani, quali Time, Life e Fortune e grande sostenitore del Partito repubblicano, fu ambasciatrice degli Stati Uniti a Roma, Nominata dal presidente Eisenhower come ricompensa per il sostegno decisivo che il marito aveva dato alla sua campagna elettorale. Incapace di comprendere le sottigliezze della politica italiana, l'ambasciatrice si rivelò ben preso una severa critica della politica della DC considerata troppo morbida verso il partito comunista. Per eliminare la minaccia comunista occorreva ben altra politica. 

Di conseguenza uno dei primi atti della Luce fu l'apertura ai fascisti. Il 21 aprile 1954 il deputato missino Anfuso incontra il Consigliere d'ambasciata Eugene Durbrow. È il primo incontro di cui si trova traccia nella documentazione del Dipartimento di Stato. Ovviamente contatti fra americani e neofascisti c'erano stati sempre a partire almeno dall'aprile 1945, basti ricordare il rocambolesco salvataggio del comandante della X MAS, Junio Valerio Borghese, sottratto alla giustizia partigiana nei giorni dell'insurrezione e trasportato a Roma travestito da ufficiale dell'esercito americano. Questa volta però la cosa è diversa: l'incontro è ufficiale e il MSI è trattato come un qualsiasi altro partito politico italiano, ovviamente se di orientamento anticomunista. Da allora i contatti saranno regolari.

La Luce fu anche fautrice di un deciso spostamento conservatore dell'asse politico, spostando il baricentro dei governi centristi a destra, in modo da ridurre il peso nell'esecutivo dei partiti laici moderati (PRI,PSDI) e di aumentare invece la forza contrattuale nei confronti della DC del PLI. A questo fine sostenne con decisione lo spostamento a destra del Partito liberale con la nuova segreteria Malagodi e la creazione di un comitato permanente di coordinamento (CONFITESA) fra Confindustria, Confcommercio e Confagricoltura allo scopo di sostenenre e finanziare i candidati del PLI e della destra DC alle elezioni amministrative del 1956.

In quest'ottica l'ambasciatrice intensificò i suoi rapporti con gli ambienti più conservatori e in particolare con personaggi come Randolfo Pacciardi, il capo dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno (il nuovo nome che aveva assunto l'OVRA fascista) Gesualdo Barletta e esponenti di punta della stampa.

Particolarmente stretto fu il legame con Indro Montanelli con cui nel 1954 ci fu un intenso scambio di lettere. In queste lettere Montanelli chiedeva l'appoggio americano per una decisa azione anticomunista che doveva una volta per tutte risolvere il problema rappresentato dal PCI. Il giornalista, che vantava l'appoggio di un nutrito gruppo di industriali, proponeva l'organizzazione di una rete "terroristica" (l'aggettivo è di Montanelli) da attivare nel caso il PCI si fosse avvicinato troppo all'area del potere. Montanelli concordava con il giudizio negativo sulla politica democristiana e da questa valutazione faceva discendere l'idea che il comunismo era destinato in tempi non troppo lunghi a imporsi in Italia, sfruttando le contraddizioni del sistema e l'insoddisfazione profonda delle masse popolari. Il PCI andava fermato a tutti i costi e dunque in caso di una possibile vittoria elettorale, la questione andava risolta con le armi.

Nel corso dell'anno Montanelli si recò più volte di persona all'ambasciata americana a Roma per perorare direttamente la sua causa, sempre accolto con grande calore dall'ambasciatrice. Dalle lettere scambiate fra i due e ora rese pubbliche, risulta che Montanelli in più occasioni accennò ad una "organizzazione segreta" della Confindustria in stretti rapporti con l'organizzazione "Pace e Libertà" di Edgardo Sogno creata in funzione anticomunista dalla CIA. Il primo obiettivo era espellere con ogni mezzo i comunisti dalle fabbriche, con atti provocatori e licenziamenti di massa, secondariamente andava rafforzata la presenza dei cosiddetti "sindacati liberi", CISL e UIL. Ma i compiti dell'organizzazione non si limitavano ad un'azione anticomunista nell'ambito dei luoghi di lavoro, ma investivano l'intera società e i suoi ordinamenti democratici.
Occorre, scrive Montanelli in una delle sue missive, "difendere l'Italia fino ad accettare o anche affrettare la morte della democrazia", se questa agevola i piani del nemico. Un atteggiamento davvero rispettoso per chi non la pensava come lui.

Particolarmente significativa è la lettera che Montanelli scrive alla Luce il 6 maggio 1954. In essa, dopo una serie di considerazioni sulla incapacità della DC di affrontare in modo deciso il pericolo comunista, il giornalista propone un dettagliato piano d'azione:

"La polizia e l'esercito sono inquinati di comunismo: i carabinieri, senza il Re, hanno perso ogni mordente: la magistratura è vile. E in tutto il paese non c'è una forza capace di appoggiare l'azione di un uomo risoluto. Noi dobbiamo creare questa forza. (...) Questa minoranza esiste ancora e non è comunista. È l'unica nostra fortuna. Bisogna ricercarla individuo per individuo, darle una bandiera, una organizzazione terroristica e segreta e un capo. (..) La [persona] più adatta sarebbe Pacciardi: risoluto e buon organizzatore. Ma il suo passato di antifascista repubblicano lo rende impresentabile ad un gruppo di uomini che saranno nella maggior parte ex-fascisti monarchici. Propongo il generale Messe, uno dei pochissimi generali usciti dalla guerra con onore. (...) Gli forniremo noi le idee che egli non ha. Il programma deve essere semplice e chiaro. Reclutamento di qualità, non di quantità, condotto secondo la tecnica comunista delle "cellule". (...) Impegno con giuramento, da parte di tutti, a eseguire gli ordini.
(...) Nessuna pregiudiziale di provenienza politica: il passato non ci interessa. (...) Capi e gregari devono essere tutti PERSONAE GRATAE ai Carabinieri, con cui si impongono strettissimi rapporti di collaborazione e di cui dovrebbero, nel momento supremo, diventare la truppa di rincalzo. Infatti il movimento sarebbe destinato ad entrare in azione (azione armata) solo il giorno in cui, elettoralmente, la battaglia fosse definitivamente persa (...) pronti a scatenare in questo caso la guerra civile con tutte le inevitabili conseguenze, allo scopo fondamentale e basilare d'inchiodare l'Italia all'Alleanza atlantica".

Dunque per Montanelli fondamentale era tenere i comunisti fuori del governo (indipendentemente dal voto espresso dai cittadini) e l'Italia nella NATO, usando ogni mezzo disponibile, nessuno escluso, come ad esempio "la MAFIA che in Sicilia ha un potere decisivo, molto più grande di quello del Governo".

È lo schema della strategia della tensione, del Piano Solo del generale De Lorenzo nel 1964, del golpe Borghese nel 1970, dei progetti golpisti di Sogno e Pacciardi negli anni '70. La Luce ne fu entusiasta e caldeggiò la cosa presso il governo americano, ma il Dipartimento di Stato bloccò il progetto, ritenendolo prematuro e troppo rischioso. Nel frattempo però la CIA stringeva con i Servizi segreti e lo Stato Maggiore dell'esercito italiano gli accordi che avrebbero portato in un breve lasso di tempo alla creazione di Gladio, organizzazione segreta con gli stessi obiettivi e le stesse modalità di funzionamento.

Per un "maestro di tolleranza" non c'è male. Vero, egregio dottor Merlo?

lunedì 29 giugno 2020

Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966)



Sergio Dalmasso

Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966)

Il savonese Giorgio Amico prosegue il suo lavoro di indagine e di documentazione su pagine della sinistra comunista italiana. Dopo numerosi scritti sulle formazioni bordighiste italiane, su correnti trotskiste e anarchiche, dopo una breve biografia su Arrigo Cervetto, il fondatore di Lotta comunista, e dopo una interessante biografia sul situazionista Guy Debord, affronta ora un organico studio sulle vicende di Azione comunista, con una panoramica sugli anni dal 1954 al 1966.

La figura centrale della prima parte del testo è quella di Giulio Seniga. Nato nel 1915, operaio di fabbrica, partigiano, partecipa alla repubblica dell’Ossola. Vicino a Pietro Secchia, diviene funzionario del PCI, legato all’ala partigiana ed operaista, parzialmente critica verso l’istituzionalismo di Togliatti.

Il 25 luglio 1954, sottrae al partito documenti interni e una grossa cifra, proveniente dall’URSS, parte del finanziamento destinato per acquistare la tipografia dell’”Unità” e scompare. Ospitato a Milano, per i primi giorni, dall’amico Gianni Brera, inizia a tessere rapporti con settori critici verso il PCI e con piccole formazioni della dissidenza comunista. Al centro, l’accusa al PCI di avere abbandonato la via rivoluzionaria, la messa in discussione dell’”imborghesimento” di parte del gruppo dirigente.
Il caso Seniga ha pesanti conseguenze per Pietro Secchia che lo addebiterà ad una sorta di congiura tendente ad emarginarlo. Non a caso, dopo breve tempo, perderà il ruolo di vice-segretario nazionale e sarà nominato segretario regionale in Lombardia. Contemporaneamente, inizia lo smantellamento della struttura organizzativa “secchiana”, i cui funzionari sono progressivamente sostituiti da un nuovo quadro “amendoliano”.

La dissidenza di Seniga tenta di incidere sul PCI e raccoglie l’adesione di Bruno Fortichiari, storico fondatore del partito nel 1921 e Luciano Raimondi, già direttore del convitto “Rinascita”, del giovane Giorgio Galli, “braccio destro” di Seniga. Lo strumento usato è quello delle Lettere ai militanti del PCI, con forti accuse ai dirigenti e la riproposta di un partito classista. Nel 1956, i fatti internazionali (denuncia del ruolo di Stalin, scioperi in Polonia, repressione della rivolta in Ungheria) sembrano permettere la nascita di una formazione autonoma ed alternativa al PCI. Fortichiari e Raimondi sono espulsi, si aggregano i trotskisti dei GCR (Livio Maitan), i bordighisti del PC internazionalista (Onorato Damen), gli anarchici classisti dei GAAP (Pier Carlo Masini) che danno vita al Movimento della sinistra comunista in un incontro nazionale a Milano. Amadeo Bordiga, reale fondatore del Partito comunista nel 1921, sarà sempre estraneo a questa esperienza e fortemente critico.

Le dimensioni sono sempre modeste, ma l’organizzazione produce un foglio, finanziato con i fondi di Seniga. Le difficoltà sono, però, enormi, soprattutto per le differenze interne. E’ criticata la scelta dei trotskisti di “entrismo” nel PCI. Le valutazioni sull’URSS vedono contrasti fra richiami stalinisti, giudizio trotskista di stato operaio degenerato, quello bordighista di capitalismo di stato, dopo le critiche verso i comunisti, il PSI di Nenni inizia a interessare Masini che vede nella prospettiva autonomista la possibilità di costruire una grande forza politica socialista che svuoti il PCI.

Trotskisti e bordighisti lasciano l’organizzazione. Seniga, il fondatore, viene espulso, con conseguenti enormi problemi per la stessa stampa e distribuzione del periodico. Scarsi i legami e insufficiente l’interesse per il ciclo di lotte operaie che si apre con l’inizio del decennio (opposizione al governo Tambroni, lotte degli elettromeccanici, nascita dei “Quaderni rossi”). Nuove divisioni sulla valutazione della Cina. La rottura URSS-Cina produce anche in Italia la nascita di formazioni “maoiste” e il maoismo sembra una variante rivoluzionaria del marxismo, davanti alla “coesistenza pacifica” sovietica, un ritorno a posizioni classiste, presenti nella generazione partigiana e nei protagonisti delle lotte contadine nel meridione. Se Fortichiari tenta una mediazione, nell’illusione di ritornare al PCI del 1921 e all’Internazionale, si delineano due posizioni opposte: Raimondi è sempre più vicino alle posizioni cinesi, l’ex GAAP che dopo il passaggio di Masini al PSI e al PSDI è diretto dai “genovesi” Cervetto e Parodi è passato dall’anarchismo classista al leninismo.

Nel 1965 la rottura definitiva. Raimondi darà vita ad una delle prime formazioni marxiste-leniniste (la Federazione m-l), Cervetto fonda i Gruppi leninisti della sinistra comunista (organo “Lotta comunista”).

Amico segue passo passo queste intricate vicende, fornendo una documentazione aggiornata (molto maggiore di quella di precedenti, parziali, studi). Non tralascia di ricordare come in queste vicende entrino lo spionaggio, la guerra fredda, i mai chiariti rapporti di Seniga con i Servizi segreti, il ruolo di Pace e libertà” di Luigi Cavallo, il ruolo dell’ex partigiano Edgardo Sogno.

Non mancano alcune valutazioni dell’autore sul fallimento di questo contraddittorio tentativo di “critica da sinistra” ai partiti storici: le generose illusioni di Fortichiari, sopravvissuto ad altre fasi storiche, le contraddizioni dei trotskisti di Maitan, vincolati da una analisi “scolastica”, le rigidità teoriche dei bordighisti, l’incapacità di Cervetto di rapportarsi alle novità teoriche portate da Panzieri, dai “Quaderni rossi” e dall’analisi del nuovo ciclo capitalistico.

Il testo è di grande utilità per conoscere pagine sepolte e dimenticate della storia della sinistra minoritaria italiana, anche nei suoi rapporti con tendenze europee. Spiace che molti archivi, come sottolinea l’introduzione, siano incompleti o poco frequentati. Se la tematica di quegli anni e di quelle formazioni ci pare lontana, il non lasciarla alla dimenticanza è comunque meritorio e diventa quasi compito morale per una generazione che è passata per dibattiti teorici, esperienze organizzative, sconfitte che hanno aperto il vuoto di oggi.


Giorgio Amico, Azione comunista. Da Seniga a Cervetto (1954-1966), Bolsena, Massari ed., 2020.

https://www.citystrike.org/2020/06/28/giorgio-amico-azione-comunista-da-seniga-a-cervetto-1954-1966/

venerdì 19 giugno 2020

A proposito di cultura "fascio-massonica"


Salvador Allende G.M. della Massoneria cilena

Giorgio Amico

A proposito di cultura "fascio-massonica"

Ottavio Terranova, vicepresidente nazionale Anpi e coordinatore dell’associazione in Sicilia, contestando duramente la nomina ad Assessore regionale alla cultura di Alberto Samonà autore di una poesia dedicata alle SS, “Guerrieri della luce" e ammiratore di Evola e Delle Chiaie ha affermato che «La cultura storica siciliana non può essere rappresentata da chi ha esaltato la “cultura” fascio-massonica». E' la prima volta che ci capita di sentire parlare di cultura "fascio-massonica" e la cosa ci ha non poco stupito vista l'autorevolezza del personaggio.
Francamente facciamo fatica a capire cosa c'entri la Massoneria con le SS, Evola e Delle Chiaie. Possibile che Ottavio Terranova ignori che i regimi fascisti perseguitarono ferocemente la massoneria che per Hitler e Mussolini era il braccio operativo del complotto giudaico e dunque andava eliminata dalla faccia della terra?
Possibile che ignori anche che le SS avevano una speciale sezione, di cui fece parte pure Evola,che aveva il compito di sradicare definitivamente la Massoneria dall'Europa occupata, o che migliaia di massoni francesi furono mandati dal regime filonazista di Vichy nei campi di sterminio nazisti?
Lui, uomo di cultura, ignora forse che Garcia Lorca fu fucilato dai falangisti anche perché massone, o che Salvador Allende fu Gran Maestro della Massoneria cilena prima di diventare presidente della Repubblica? O che 20 dei martiri delle Fosse Ardeatine erano massoni e che fra i Padri Costituenti ci furono massoni illustri?
Se è naturale che in un paese democratico, fondato sui valori della Resistenza e dove non è ammessa per legge l'esistenza di organizzazioni fasciste, un simpatizzante delle idee naziste non possa rivestire cariche pubbliche,totalmente diverso è il caso della Massoneria.
Naturalmente ciascuno è libero di  pensarla come meglio crede sulla Massoneria, le sue idee, i suoi riti, ma ritenere l'appartenenza alla Massoneria motivo ostativo a ricoprire cariche pubbliche rivela una singolare concezione della democrazia.
Pensa forse Ottavio Terranova che un cittadino italiano per il solo fatto di essere o di essere stato massone, cosa perfettamente legale in Italia come in tutti i paesi democratici, abbia meno diritti degli altri? Esistono forse cittadini di serie A e serie B a seconda delle convinzioni che liberamente e del tutto legittimamente manifestano?
Se davvero fosse così allora, oltre a chiedersi come fa un personaggio simile a rivestire cariche di responsabilità nell'ANPI, sarebbe il caso di iniziare a preoccuparsi seriamente.



lunedì 15 giugno 2020

Adriano Spatola alla galleria Entr'acte di Genova



ADRIANO SPATOLA
Z di zeroglifico
a cura di Sandro Ricaldone
Entr'acte
Via sant’Agnese 19R - Genova
18 giugno – 18 luglio 2020
orario: mercoledì-giovedì 16-19
no vernissage

Mentre è ancora in corso la mostra virtuale dedicata a Edoardo Sanguineti nel decennale della scomparsa, visitabile sulla pagina Facebook di Entr’acte
(http://www.facebook.com/EntracteGenova)
e sul sito Imago Sanguineti (http://imagosanguineti.altervista.org), lo spazio di via sant’Agnese 19R riapre anche fisicamente, con una rassegna in cui vengono proposti gli “zeroglifici” di Adriano Spatola, tratti da una cartella pubblicata nel 1981 da Carlo Marcello Conti, l’animatore delle edizioni Campanotto di Pasian di Prato.

La cartella (numero speciale monografica della rivista Zeta) comprende un foglio con la presentazione critica di Corrado Costa, la poesia lineare di Adriano Spatola Z di zeroglifico, sei zeroglifici in tiratura di cento esemplari, una nota biografica dell’autore e il colophon.
Prende nome dalla poesia di cui sopra, successivamente pubblicata nella raccolta La piegatura del foglio (Guida, Napoli, 1983) e recepita nel volume The Position of Things: Collected Poems 1961-1992, traduzione di Paul Vangelisti, postfazione di Beppe Cavatorta, København & Los Angeles, Green Integer, 2008.

La mostra sarà visitabile con le cautele vigenti nell’attuale situazione: ingresso, a turno, di non più di due persone, mascherina, disinfezione delle mani all’ingresso. Per evitare assembramenti non si terrà il vernissage. I lavori inclusi nella cartella saranno progressivamente riportati su una nuova pagina FB “Z di zeroglifico”.

Il design del manifesto-invito è di Roberto Rossini