TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 12 novembre 2010

Diego Fusaro, Essere senza tempo

Sabato 13 novembre alle ore 18.00

Libreria UBIK Savona
Incontro con lo scrittore


DIEGO FUSARO

e presentazione del libro

“Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita”

Introduce l’incontro PIERGIORGIO BIANCHI





Essere senza tempo

Mi affretto dunque sono. Sembra questo il nostro destino. Vi siete mai chiesti perché ogni vostra giornata è all'insegna della fretta e dell'"essere-senza-tempo"? Perché non abbiamo mai abbastanza tempo per fare ciò che vorremmo o dovremmo fare? Qual è il senso di questa accelerazione di ogni settore della nostra esistenza? Sorge il sospetto - già messo a fuoco da Heidegger - che questa velocizzazione elettrificante sia autoreferenziale, svuotata di ogni significato e volta a riprodurre a ritmi sempre più intensi la realtà così com'è, il "capitalismo assoluto-totalitario". Ci affrettiamo senza sosta e, al tempo stesso, non sappiamo dove stiamo andando. La dimensione del futuro si è eclissata e viviamo in un eterno presente, in cui l'orizzonte è sempre, immancabilmente, il presente stesso: l'eternizzazione del presente si accompagna alla desertificazione dell'avvenire, in un mondo disincantato che ha smesso di credere a Dio ma non al mercato. Se la modernità aveva perseguito futuri migliori, in nome dei quali accelerare la marcia, il nostro tempo vive del e nel presente, in una programmatica rinuncia all'avvenire e alle promesse inevase del moderno. E non di meno sopravvive, e si fa anzi sempre più intensa, l'accelerazione dei nostri ritmi esistenziali. Il nesso tra capitalismo e nichilismo dell'accelerazione risulta qui lampante, soprattutto se si esamina un fenomeno del paesaggio postmoderno: il cosiddetto "consumismo". L'ideologia che serpeggia tra le pieghe della società consumistica è quella dell'emergenzialità assoluta e del tempo cairologico: per poter essere sempre al passo coi tempi e con la moda, bisogna affrettarsi nell'acquistare le nuove merci (emergenzialità) e saper cogliere il momento opportuno (il tempo cairologico) per arrivare primi, bruciando sul tempo gli altri consumatori, secondo una versione postmoderna del carpe diem. Non stupisce, in quest'ottica, che le mode cambino sempre più in fretta, al punto da diventare "stagionali". Anche in questo risiede, d'altro canto, la contraddittorietà della religione consumistica, che proclama a gran voce l'imperativo della soddisfazione dei clienti e che in segreto coltiva l'obiettivo opposto, ossia la loro costante insoddisfazione, unica garanzia affinché essi non restino indifferenti alle nuove merci che ogni giorno vengono al mondo. La soddisfazione dei desideri tramite le merci è sempre parziale, lascia ogni volta molto a desiderare, è suscettibile di miglioramento e - questa la conseguenza - è sempre rinviata a un domani che, costantemente differito, non arriverà mai: l'esistenza del consumatore non risiede nel godimento delle merci possedute, ma in una perenne quanto snervante condizione di fretta e di dinamismo scaturente dal rincorrere le nuove merci che quotidianamente vedono la luce. Dopo un attimo, arriverà puntualmente un altro attimo, denso di nuove promesse di soddisfazione e, dunque, tale da indurre a una corsa forsennata da una merce che non ha soddisfatto appieno i nostri desideri a una nuova merce, non ancora collaudata ma analoga - nella sua struttura - a quella precedente; proprio come, del resto, nella società consumistica, l'attimo successivo è sempre qualitativamente analogo a quello precedente. Il futuro ha cessato di essere pensabile, secondo il pathos dell'escatologia benjaminiana, come "la piccola porta da cui poteva entrare il Messia" per trasformarsi in una porta infernale da cui sempre rientra lo stesso presente, in una "danse macabre" di istanti che muoiono per poi rinascere tali e quali.

Viviamo nell'epoca della fretta, un "tempo senza tempo" in cui tutto corre scompostamente, impedendoci non soltanto di vivere pienamente gli istanti presenti, ma anche di riflettere serenamente su quanto accade intorno a noi. L'endiadi di essere e tempo a cui Martin Heidegger aveva consacrato il suo capolavoro del '27 sembra oggi riconfigurarsi nell'inquietante forma di un perenne essere senza tempo. Figlio legittimo dell'accelerazione della storia inaugurala dalla Rivoluzione industriale e da quella francese, il fenomeno della fretta fu promosso dalla passione illuministica per il futuro come luogo di realizzazione di progetti di emancipazione e di perfezionamento, la nostra epoca "postmoderna", che pure ha smesso di credere nell'avvenire, non ha per questo cessato di affrettarsi, dando vita a una versione del tutto autoreferenziale della fretta: una versione nichilistica, perché svuotata dai progetti di emancipazione universale e dalle promesse di colonizzazione del futuro. Nella cornice dell'eternizzazione dell'oggi resa possibile dalla glaciale desertificazione dell'avvenire determinata dal capitalismo globale, il motto dell'uomo contemporaneo - mi affretto, dunque sono - sembra accompagnarsi a una assoluta mancanza di consapevolezza dei fini e delle destinazioni verso cui accelerare il processo di trascendimento del presente.

(Da:www.filosofico.net)

Diego Fusaro
Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita
Bompiani, 2010
12 euro