TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 1 maggio 2011

Edmondo De Amicis, Primo Maggio


Nel 1891 Edmondo De Amicis inizia la stesura di un romanzo, Primo maggio, che riflette il suo avvicinamento al socialismo e la sua visione della questione sociale. Il romanzo racconta la storia di un intellettuale torinese che diventa socialista e si scontra per questo con i pregiudizi dei benpensanti. Primo maggio rimase incompiuto e fu pubblicato solo nel 1980 per iniziativa del Comune di Imperia. Ne pubblichiamo l'incipit.

Edmondo De Amicis

Primo Maggio

Alle sette in punto il signor cavaliere Bianchini saltò giù dal letto e, affacciandosi alla finestra, ebbe due dispiaceri: vide che il cielo era tutto azzurro e che il muratore Peroni non era andato al lavoro. Questi se ne stava seduto, con la giacchetta sulle spalle, sullo scalino del suo uscio a vetri, in fondo al lungo terrazzino della casa bassa che formava un cortile triangolare con le due grandi ali dell'isolato. Diamine! Se festeggiava il 1° Maggio il Peroni, un operaio vecchio e tranquillo, c'era da credere che lo festeggiassero tutti gli operai di Torino.
Questo pensiero spiacevole fece dimenticare al signor Bianchini di esaminarsi il viso e la lingua allo specchietto per la barba, come faceva ogni mattina, compiacendosi della floridezza ammirabile, benché un po' pingue, dei suoi sessant'anni.
Vestito che fu, uscì dalla camera, e udendo nella cucina una voce d'uomo che discorreva con le donne di servizio, si fermò ad origliare all'uscio socchiuso. Era il garzone panattiere, a cui Rosa, la cameriera, saldava il conto del mese, contando delle lire sulla tavola. Il giovane diceva: - Dell'argento?... Ah! sta bene, perché i biglietti... Presto ha da accadere qualche cosa di grosso, per cui i biglietti dei signori non varranno più niente. - La cameriera gli diede dello spaccone. Ma Antonia, la vecchia cuoca, biascicando le parole con voce acre, confermò la profezia. Fin dall'alba giravano per Torino pattuglie di fanteria e di cavalleria. Essa aveva inteso dire nelle botteghe che nella giornata del 1° Maggio sarebbero venuti in città i contadini, con le falci e i tridenti, ad aiutare gli operai, e assicurava che molte famiglie avevan fatto provvista di pane e di carne per tre o quattro giorni, in previsione d'una rivoluzione.
Il signor Bianchini tirò via, seccato. Erano due o tre giorni che quella vecchia ciaccolona riportava in casa tutte le più sinistre e strampalate pastocchie che sentiva dire in mercato, con l'evidente proposito di destare inquietudine nei padroni...
Il Bianchini andò nella sala da desinare, che aveva due grandi terrazzini, l'uno su piazza dello Statuto, l'altro sul corso Beccaria, e s'affacciò al terrazzino della piazza. Questa aveva l'aspetto solito di quell'ora: non c'era nessun capannello; coppie e gruppi di ragazzi s'avviavano alle scuole. Egli scrollò una spalla e disse: - Non seguirà nulla -. Poi, guardando con occhio sereno le Alpi azzurre, sorbì lentamente il caffè, che gli portò la cuoca. Era questo uno dei più vivi piaceri della sua vita. I suoi piaceri erano molto modesti. Una passeggiata igienica la mattina per i viali di piazza d'armi, leggendo la Gazzetta del popolo, due buoni pasti fatti con buon appetito, il vermouth, il sigaro Cavour, gli amici del caffè Londra la sera, quando non accompagnava moglie e figliuola in società o al teatro, e un buon sonno filato di otto ore: non gli bisognava a coronare la propria felicità; il cui fondamento era un affetto grandissimo, misto a una profonda ammirazione, che aveva per il suo unico figliuol maschio, Alberto, professore di lettere nel liceo Brofferio.
Preso il caffè, entrò nella stanza accanto, dov'egli aveva una piccola biblioteca, di cui non apriva mai un volume. Fu stupito di trovarvi già la sua figliuola, Ernesta...
- Ebbene -, gli domandò la ragazza, porgendogli la fronte, come soleva fare ogni mattina - che cosa accadrà quest'oggi?
- Che vuoi che accada? - rispose il padre - Un po' di chiasso, tutt'al più.
- Non dovrà mica intervenire la truppa?
- E quando dovesse intervenire?... Suonan la tromba e tutti scappano, come in tutte le dimostrazioni. T'hanno lasciata quetare questa notte?
In quel punto entrò la signora Bianchini, alta e maestosa, già stringata nel busto, coi capelli tinti ben pettinati, con la sua larga faccia bruna ben depilata, mostrando i bei denti incisivi da un marengo l'uno. E rispose, entrando, alla domanda del marito: - Se ci hanno lasciato quetare?... È stato un chiasso indemoniato fino alle tre della mattina. Io non ho chiuso occhio. Non è possibile tirare avanti in questa maniera. È tempo che tu ci metta rimedio.
Alludeva al chiasso fatto sotto le finestre della sua camera, sul corso Beccaria, dov'erano due sedili di pietra in mezzo agli alberi, e vi si radunavano quasi ogni notte dei giovinastri brilli o briachi, che cantavano, ballavano, leticavano, senza che comparisse mai una guardia.
- Questa notte poi, - soggiunse, sogguardando la figliuola, che abbassò gli occhi -, c'erano anche delle donne, e si son sentiti dei discorsi... Insomma, se non ti decidi una buona volta a andar dal Questore, gli scriverò io!
Il Bianchini rispose che ci sarebbe andato; ma non quel giorno, di certo, perché in questura dovevano aver ben altro da pensare che agli schiamazzi notturni del corso Beccaria.
- Ah! giusto -, esclamò la signora, ricordandosi; - oggi è il 1° Maggio. Un altro regalo. - E dopo aver dato uno sguardo scrutatore alla piazza, domandò: - Ma, in conclusione, che cosa vogliono questi operai?
Il marito rispose che volevano ridotto a otto ore il lavoro giornaliero, per avere otto ore da dormire e otto ore di libertà.
- E che vogliono farne di queste otto ore di libertà? - domandò la signora.
Il Bianchini che, per antica abitudine, quando non aveva naturalmente un'opinione opposta a quella di sua moglie, fingeva d'averla, rispose, con l'aria di giustificar gli operai: - Oh bella!... Vogliono otto ore per star con la propria famiglia,... per coltivar lo spirito, istruirsi.
- E cosa ne voglion fare dell'istruzione? - domandò la moglie. Poi soggiunse: - Non hanno mica da fare i professori. Vorranno le otto ore per passarle all'osteria. Già, son tutti eguali. Io li giudico da quelli che passan la notte sotto le mie finestre.
- Eh, andiamo -, disse il Bianchini - non bisogna metterli tutti in un mazzo. Vedi il muratore Peroni, per esempio. È un ottimo uomo.
- Sarà un'eccezione, di certo. Del resto... ha una faccia scura. Non è rispettoso.