TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 3 gennaio 2014

I giardini del faro (Le illusioni d'Itaca, 11)



A Marsiglia il marinaio senza nome scopre che inseguire un sogno può portare a ritrovare se stessi.

Giorgio Amico

Le illusioni d'Itaca

11. I giardini del Faro



Lo svegliarono le grida delle pescivendole sulla banchina, l’animato frastuono del mercato e il rumore del traffico sul Quai des Belges. Si alzò e uscì sul balcone. Sotto di lui, raccolte in file ordinate, centinaia di imbarcazioni si dondolavano sotto il sole. Più avanti, quasi all’imboccatura del Vieux-Port, un battello diretto alle isole lasciava dietro di sè una scia spumosa. Accese la radio e si sintonizzò su una stazione che trasmetteva musica. Bruce Springsteen cantava “ Dry lightning”.

I threw my robe in the morning
Watched the ring on the stove turn red
Stared hypnotized into a cup of coffee
Pulled on my boots and made the bed
Screen door hangin’ off its hinges
Kept bangin’ me awake all night
As I look out the window
The only thing in sight
Is dry lightning on the orizon line
Just dry lightning and you on my mind.

(“Mi sono tolto il pigiama nel mattino/Ho osservato la stufa diventare rossa/Ho fissato in trance una tazza di caffè/Mi sono messo le scarpe e ho rifatto il letto/Riparo la porta tremolante sui suoi cardini/Che mi ha tenuto sveglio sbattendo tutta la notte/Come guardo fuori della finestra/La sola cosa in vista/E’ l’alba fredda sulla linea dell’orizzonte/Solo l’alba fredda e tu nella mia mente”)
  • E tu per sempre nella mia mente – ripeté.
Il cielo di Marsiglia quel mattino aveva il colore delle grandi occasioni. Una luce dorata entrava dal balcone e si diffondeva nella stanza. Si sentiva bene. Era parecchio che non gli capitava. L’incontro con il vecchio clochard lo aveva messo di buon umore. Aveva fame. La sera prima, preso dalle sue ossessioni, non aveva praticamente cenato. Alzò il ricevitore, chiamò il bar e si raccomandò che gli mandassero su una colazione all’americana. Poi lasciò che una lunga doccia cancellasse le ultime tracce della notte.

Appena fuori dall’albergo fu abbagliato dal sole. La giornata era calda, ma ventilata. Dal largo il vento di mare portava strani odori che si mescolavano a quelli del mercato. Gli salirono alle labbra versi di poeti, echi di canzoni che parlavano dei profumi di Marsiglia: garofano pepato, basilico e coriandolo, pepe e cannella. L’anima profonda del Mediterraneo, racchiusa interamente in quegli odori, in quelle luci, in quei suoni, pigramente gli si disvelava. Sensazioni simili doveva aver provato Gyptis, la bellissima principessa ligure, quando dal mare era giunto il greco Protis. Dal loro amore, dall'unione della terra con il mare, era nata quella città.



Decise di andare a piedi. Di lasciare l’auto nel grande parcheggio sotterraneo dell’hotel. Aveva voglia di camminare. Gli serviva a far chiarezza nei suoi pensieri. Si avviò per la Canebière fino all’incrocio con il Boulevard Garibaldi. Ne percorse un tratto, poi svoltò a sinistra e si trovò in Cours Julien. La strada ora saliva in direzione di Notre-Dame –du-Mont. La percorse tutta, quasi fino all’ingresso della stazione del metrò.

Ora che la serranda era sollevata, il Solea gli appariva per quello che era realmente: un piccolo ristorante piuttosto anonimo. Eguale a tanti altri in quella città di mare. Si fermò un attimo a leggere la Carte che presentava una curiosa mescolanza di piatti provenzali e corsi: bouillabaisse avec rouille, bourride, catigau, tripes, figatelli, brocciu. Sulla porta un cartello avvertiva che in quel locale si parlava italiano.

Spinse la porta ed entrò. La stanza era in penombra con i tavoli ancora da apparecchiare. Dalla cucina venivano odori di cibo, echi di voci. Una donna minuta dai capelli grigi entrò d’improvviso nella sala, lo vide e gli si avvicinò asciugandosi le mani nel grembiule bianco che le cingeva la vita. Sul suo viso un’aria interrogativa.
  • Excusez-moi, monsieur, mais le restaurant il est encore fermé.
  • Cerco Giulia. Mi hanno detto che forse qui posso trovarla.
  • Chi è lei? – la donna ora parlava italiano.
  • Un amico. Un amico di Giulia.
La donna lo squadrò con attenzione.
  • Lei deve essere il marinaio. Il grande amore di Giulia.
  • Sì, il grande amore. – disse lui non senza sarcasmo – Non più tardi di due giorni fa Giulia ha detto di odiarmi.
  • A volte l’amore si confonde con l’odio.
Non sapeva cosa dire. Restò in silenzio in piedi sull’uscio.
  • Giulia non è qui. – riprese la donna - Ma mi ha parlato molto di lei e forse posso esserle di aiuto. Ora non ho tempo da dedicarle. Mi dispiace, ma ho troppo da fare. Se vuole ripassare più tardi, nel pomeriggio, quando i clienti saranno andati via, potremo parlare con calma.
Si trovò fuori, di nuovo immerso nell’afa. Davanti a lui ancora una giornata da far trascorrere. Tanto valeva tornare al Vieux-Port. Andò fino in Place Cezanne, fermò un taxi e si fece portare al vecchio bacino di carenaggio all’inizio del Boulevard Livon, proprio sotto il Forte St. Nicolas. Costeggiò le mura della antica fortificazione, passò davanti al Circolo dei Canottieri e si diresse verso i giardini del Faro da dove si poteva abbracciare con uno sguardo tutta la città vecchia. Vedeva il Forte Saint- Jean, vecchio ricetto templare, e dietro la cupola falsoantica di Notre-Dame-de-la-Major. Più dietro ancora le strutture (in parte fatiscenti) del porto della Joliette protette dal grande sbarramento della Digue du Large. E più in alto, dritto sulla collina, il campanile delle Accoules.

Lasciò vagare lo sguardo sul mare, di nuovo perso nei suoi ricordi. Amava quel luogo. C’era venuto una volta con Giulia, tanti anni prima. Si erano seduti su di una panchina protetta da una odorosa siepe di oleandri ed erano rimasti a lungo in silenzio a fissare il mare, totalmente presi dalla magia di quella città che strega chi vuole perdere. Girando per i quartieri attorno al Vieux-Port lui le aveva raccontato vecchie storie sul “milieu”. Storie ascoltate nelle sere trascorse all’osteria del suo paese. Fiabe di vecchi emigranti incapaci di staccarsi dai ricordi della loro gioventù. Racconto delle gesta di uomini “d’onore” ai tempi in cui i “caids” della mala si erano spartiti la città e i suoi traffici. Ai corsi tutta la zona a ridosso della Canebière fra il Vieux-Port e il Boulevard de Paris. Ai catalani quella compresa fra la Canebière e il forte St-Nicolas. La città alta territorio degli italiani.



Avevano mangiato in un vecchio bistrot. Pochi tavolini all’aperto in una piazzetta alberata proprio dietro al Vieux-Port. Giulia aveva ordinato il piatto che costava meno: boulettes e alouettes in salsa, con la pasta come contorno. Un mangiare semplice e antico, come semplice e antico era il quartiere che li circondava. Lui si era perso nello specchio chiaro dei suoi occhi.
  • Mi piacciono le tue mani. – le aveva detto – mi sono sempre piaciute.
Giulia aveva sorriso. Con un movimento impacciato lui aveva spinto verso di lei un anellino da pochi soldi. Il suo primo regalo.
Vicino a loro sulla piazza sotto i platani dei vecchi giocavano alle bocce. Giocavano in quattro, due per squadra, mentre una decina d’altri stavano attorno a guardare.
Da come fecero l’amore più tardi nella pensioncina che li ospitava lui capì che anche Giulia era rimasta colpita dal fascino di quella città strana. Sul letto in disordine i loro corpi si intrecciavano come nuvole nel vento d’estate. Sotto le sue carezze lei si apriva come un fiore sotto la pioggia.
  • Non accendere. – le disse quando ebbero finito – Voglio ricordarti così, come sei in quest’attimo.
Nel buio della camera brillava il suo volto. Non gli occorreva altra luce. Poi la notte li prese.
  • Sei sveglio? – la sentì dire. 


Accanto alla finestra aperta, Giulia spiava il levarsi dell’alba. Le si avvicinò. La sua mano ora stava sotto il suo liscio seno tondo. Sentiva il suo cuore battere. Con il volto affondato nella massa scura dei suoi capelli, respirava il suo profumo. La sua pelle sapeva di mare e di vento. Le porte di diaspro dell’alba si spalancarono all’improvviso dinnanzi a loro. Di colpo il cielo sui tetti divenne chiaro. Stretti l’uno all’altra, lo sguardo sperso lontano, oltre il canyon scuro del vicolo, verso lo spicchio di mare che si indovinava sullo sfondo, erano una cosa sola.

Alto, nel cielo bianco sopra Marsiglia, lo stridio dei gabbiani pareva il pianto di un bimbo.

Il riaffiorare dei ricordi dopo tanto tempo lo prese alla gola. Si accorse di avere gli occhi velati di lacrime.
  • Sto diventando vecchio. – si disse – Un vecchio sentimentale.
Poco distante, appoggiati al parapetto che dava sul porto, un ragazzo e una ragazza lo guardavano incuriositi. Sentì lui dire qualcosa, lei ridere. Poi ripresero a baciarsi, di nuovo indifferenti a tutto il resto.

Quasi senza sapere come si ritrovò sul Boulevard Livon, incurante del traffico che lo avvolgeva, della folla rumorosa che da ogni lato lo circondava.

(continua)