TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 3 gennaio 2014

Raffaele K. Salinari, Attraverso lo specchio come fosse acqua



Ci vuole del coraggio per fare come Alice, perchè attraversare lo spec­chio vuol dire ritro­varsi o per­dersi dall’altra parte. Prima parte di un testo (davvero molto bello) di Raffaele Salinari apparso sul Manifesto alla fine dell'anno scorso.

Raffaele K. Salinari

Attraverso lo specchio come fosse acqua


«Fin­giamo di poterci entrare, Fru­frù, fin­giamo che lo spec­chio sia mor­bido come un velo, e che si possa attra­ver­sare. To’, adesso sta diven­tando come una spe­cie di neb­bia… Entrarci è la cosa più facile del mondo».

Ed ecco che Alice attra­versa lo spec­chio, diven­tato magi­ca­mente fluido, per ritro­varsi in un altro spa­zio tempo; una imma­gine affa­sci­nate, ripresa in altret­tante varianti da decine di rac­conti e pellicole.

Pura fan­ta­sia? Niente affatto: ma allora, è pos­si­bile attra­ver­sare uno spec­chio come accade all’eroina di Lewis Carrol?

La rispo­sta, mira­bile dictu, è affer­ma­tiva: è la strut­tura stessa dello spec­chio che ci dà modo di gio­care con il poten­ziale di que­sta imma­gine poi­ché, come con­stata Alice, il vetro è un fluido, una spe­cie di neb­bio­lina appunto, sep­pure di altis­sima visco­sità e con legami inter­mo­le­co­lari ed attriti che ne man­ten­gono inal­te­rata la forma per lun­ghis­simi periodi; la sua natura essen­ziale è quella di un liquido sot­to­raf­fred­dato con una cri­stal­liz­za­zione irre­go­lare, più o meno densa, come un’altra entità che molto gli asso­mi­glia: il tempo.

Rilke, nel terzo dei suoi Sonetti a Orfeo, canta il mistero di que­sta ana­lo­gia: «Spec­chi, nes­suno mai coscien­te­mente ha descritto la vostra vera essenza. Voi, inter­valli del tempo, cri­velli fitti di innu­me­re­voli buchi» men­tre Bor­ges, il grande poeta spa­ven­tato dagli spec­chi, prova a descri­verne i con­fini: «Dove fini­sce e ini­zia, ina­bi­ta­bile, l’impossibile spa­zio dei riflessi».

Anche Giano, il dio bifronte le cui facce guar­da­vano verso tempi diversi, viene rap­pre­sen­tato con volto spe­cu­lare: due occhi con­dan­nati a non guar­darsi mai.

E allora, in attesa di tran­si­tare fat­tual­mente attra­verso l’impossibile spa­zio dei riflessi bor­ghe­siani, noi pro­ce­diamo quo­ti­dia­na­mente verso un altro pas­sag­gio: non nella mate­ria spec­chiale, ma nel tempo, anch’esso un fluido dalla natura fram­men­ta­ria. Spec­chian­doci, infatti, cosa vediamo se non il flusso del tempo che passa? C’è da chie­dersi se que­sto avviene per­ché lo spec­chio, come gli oro­logi molli di Dalí, flui­sce lui stesso.

L’ingannevole con­ti­nuüm della vitrea mate­ria, erra­tico come lo è il tempo, riflette così esat­ta­mente la rela­zione tra Kro­nos e Kai­ros, le facce spe­cu­lari che adden­sano o dila­tano il suo corso. Lo spec­chio si mostra dun­que era­cli­teo, come l’acqua del fiume: in esso si riflette per­fet­ta­mente il panta rei, il tutto che scorre. Non si può mirare due volte lo stesso spec­chio poi­ché anche l’immagine che esso rimanda è sem­pre diversa, eppure familiare.

È così l’attraversamento dello spa­zio tempo spec­chiale crea Das Unheim­li­che, il «per­tur­bante», come lo defi­niva Freud, cioè quel sen­ti­mento che nasce da ciò che viene per­ce­pito come pos­si­bile ed impos­si­bile al tempo stesso, come un sot­tile quanto avver­ti­bile scol­la­mento della realtà.
Attra­verso lo specchio

Ma se la mate­ria dello spec­chio non è omo­ge­nea in tutte le sue parti, pos­siamo pure imma­gi­nare che le sue linee di rot­tura, o di attra­ver­sa­mento, sono sem­pre diverse, spe­ci­fi­che, in qual­che modo cor­re­late con chi lo attra­versa o lo frantuma.

E dun­que non c’è un solo modo di fran­tu­mare o attra­ver­sare lo spec­chio: ad ognuno il suo. È que­sta, a ben vedere, la costante che ritro­viamo in tutta la let­te­ra­tura e nella cine­ma­to­gra­fia del genere: la natura del tran­sito, o della rot­tura, non è sem­pli­ce­mente fun­zione della forma o della den­sità dello spec­chio, ma dipende altresì dall’inclinazione dell’attraversatore, dal suo cli­na­men; come nell’Opus magnum del pro­cesso alche­mico l’intento dell’operatore influenza la mate­ria ope­rata, e vice versa.
Lo spec­chio che si attra­versa o si fran­tuma per ritro­varsi o per­dersi dall’altra parte, non è allora l’algido e distante oggetto del verso di Mal­larmé: «Oh spec­chio, fredda acqua della noia nel tuo riqua­dro gelato…», bensì lo Spe­cu­lum majus di Vin­cent de Beau­vais, morto nel 1264 che, nell’omonima enci­clo­pe­dica opera, descrive il Mondo quale immenso tea­tro catrot­tico in cui il Tutto si spec­chia nel pro­prio riflesso, dove la Natura natu­rans di Gior­dano Bruno e Spi­noza si riflette, senza decre­scere, nella Natura natu­rata dell’uomo.

Secondo Mae­stro Eckart (XVI sec.): «Il riflesso dello spec­chio nella luce del sole è nel sole stesso; eppure sole e spec­chio restano quello che sono. Lo stesso accade per Dio: egli si trova nell’anima… eppure non è nell’anima, è il riflesso dell’anima che è in Dio… Dio diventa così ogni creatura».

In que­sta visione del mistico medioe­vale tro­viamo tutte le com­po­nenti imma­gi­nali dello Spe­cu­lum majus, quello che attra­ver­se­ranno per­so­naggi let­te­rari come Alice e Lord Pat­chouge, o cine­ma­to­gra­fici quali Orfeo ed il Poeta di Coc­teau, dei comics come Man­drake in lotta con­tro il mal­va­gio popolo degli spec­chi, o ancora quello in cui si tra­sfor­merà L’uomo di vetro di Paul Valéry.

Lo spec­chio di que­sti per­so­naggi non solo si lascia attra­ver­sare, ma si fa attra­ver­sare, accor­dando la pro­pria natura a quella dell’attraversatore; così come lo sguardo del dio di Mae­stro Eckart tra­smuta il suo stesso vedere nel vedere di chi lo guarda.

Il tempo e lo stato fisico dello spec­chio diven­tano così tutt’uno con l’intento dell’attraversamento: in que­sto istante pre­ciso, in que­sto kai­ros, ci si ritrova di fronte a que­sto spec­chio, e non ad un altro, che ora ricom­bina la sua natura con quella del suo attra­ver­sa­tore, si fa attra­ver­sare attra­ver­san­dolo, mutando la con­si­stenza degli stati fisici che può assu­mere: liquido, solido, gassoso.



Tra­smu­ta­zione specchiale

E allora, diversi sono i modi di attra­ver­sa­mento e le con­se­guenti tra­sfor­ma­zioni di stato. Il pas­sag­gio di Alice è in moda­lità subli­mata, cioè dal solido al gas­soso diret­ta­mente: «Alice stava sulla men­sola del cami­netto men­tre diceva così, seb­bene non sapesse spie­garsi come fosse arri­vata lassù. E certo il cri­stallo comin­ciava a sva­nire, come una neb­bia lucente. L’istante dopo Alice attra­ver­sava lo spec­chio e sal­tava agil­mente nella stanza di die­tro. La prima cosa che fece fu di guar­dare se ci fosse il fuoco nel cami­netto, e fu tanto con­tenta di vedere che ce n’era uno vero, pieno di fiamme vive, come quello che aveva lasciato nel salotto».

La sug­ge­stione è tal­mente forte che anche Topo­lino, in un cor­to­me­trag­gio del 1936, attra­versa lo spec­chio come Alice, que­sta volta in moda­lità liquida, cioè tuf­fan­do­cisi den­tro, per tro­varsi poi in un mondo fia­be­sco di oggetti animati.

L’onirismo del tuffo attra­verso lo spec­chio ridi­ve­nuto liquido mercé la sua capa­cità tra­smu­tante è ancora più accen­tuato ed espli­cito in due film di Cocteau.

Uno è Il san­gue di un poeta del 1930. Ecco la sto­ria: un pit­tore dipinge un volto sulla tela appena abboz­zata. Improv­vi­sa­mente la bocca del dise­gno si mette a par­lare; il pit­tore cerca di farla tacere, ma le lab­bra gli segnano il palmo della mano. Dispe­rato le imprime su di una sta­tua che, anch’essa, comin­cia a par­lare: dice insi­sten­te­mente al pit­tore di attra­ver­sare uno spec­chio se vuole libe­rarsi di lei.

La sta­tua: «Ti resta una via d’uscita. Entrare nello spec­chio e pas­sare di là».
Il poeta: «Non si entra negli specchi».
La sta­tua: «Prova, prova sempre».

Dap­prima esi­tante, il pit­tore tasta la con­si­stenza vitrea dello spec­chio poi, seguendo le sug­ge­stioni della sta­tua, sale su una sedia e, ad un tratto, si tuffa nello spec­chio dive­nuto improv­vi­sa­mente liquido e lo attra­versa, ritro­van­dosi in un mondo oni­rico dal quale rie­mer­gerà, riat­tra­ver­sando lo spec­chio, per infine distrug­gere la sta­tua e tra­sfor­marsi in essa.

Par­ti­co­lare inte­res­sante, in una delle stanze che il poeta scru­terà nel suo viag­gio allu­ci­nato, si vede una bam­bina che sale su un cami­netto, come Alice.

«Con Le sang d’un poéte ho pro­vato a girare la poe­sia come i fra­telli Wil­liam­son hanno girato il fondo del mare. Si trat­tava di spro­fon­dare in me stesso, nella mia notte, la cam­pana subac­quea ch’essi cala­vano giù nel mare a grande pro­fon­dità. Biso­gnava sor­pren­dere lo stato poe­tico di cui molti negano l’esistenza… Natu­ral­mente è molto dif­fi­cile avvi­ci­nare la poe­sia… non vi nascondo che ho ado­pe­rato dei truc­chi per ren­dere la poe­sia vedi­bile e udi­bile». (J. Coc­teau, con­fe­renza al Teatro Vieux-Colombier prima della pro­ie­zione del film, 1932).

Ed infine, lo stesso Coc­teau torna sull’attraversamento dello spec­chio in Orfeo. Ambien­tato nella Parigi anni cin­quanta, Euri­dice muore in un inci­dente stra­dale. Un miste­rioso per­so­nag­gio, Heu­ter­bise, una sorta di angelo custode del poeta, aiuta Orfeo ad attra­ver­sare uno spec­chio per­ché egli possa recarsi nell’aldilà e ripor­tare indie­tro sua moglie. Gli fa indos­sare dei guanti e gli dice: «Adesso voi attra­ver­se­rete lo spec­chio come fosse acqua, pro­vate». Allo sguardo atto­nito di Orfeo, con­ti­nua: «Vi rivelo il segreto dei segreti: gli spec­chi sono le porte attra­verso le quali la morte viene e va. Del resto, guar­da­tevi tutta la vita in uno spec­chio e vedrete la morte lavo­rare come api in un alveare di vetro».

Orfeo, spinto dal suo men­tore, pene­tra a que­sto punto nello spec­chio, dap­prima esi­tando con la punta delle dita rico­perte dai guanti.

A detta di Coc­teau lo spec­chio nel quale si tuffa il pro­ta­go­ni­sta di Le sang d’un poéte era costi­tuito, per ren­dere l’effetto di un vero e pro­prio attra­ver­sa­mento in un liquido, da una vasca di mer­cu­rio in cui si immerge l’attore! Qual­che anno dopo Jean Marais, nella parte di Orfeo, si limi­terà a immer­gere nel mer­cu­rio solo le dita guantate.

Il Manifesto – 20 dicembre 2013


(continua)