TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 16 gennaio 2019

Cesare Battisti. Un'occasione mancata



L'arresto e poi l'arrivo in Italia di Cesare Battisti, esibito dal governo come un trofeo di caccia, ha scatenato sui media una canea di reazioni scomposte, insulti e volgarità che testimoniano per l'ennesima volta il livello di imbarbarimento raggiunto da questo paese, l'odio diffuso, la voglia di giustizia sommaria, l'analfabetismo di massa. Poteva essere l'occasione per una riflessione su un periodo tragico della nostra storia, per un bilancio storico e politico di ciò che accadde. Si è preferito ancora una volta parlare alla pancia della gente. Lo hanno fatto i giornali che invece hanno sbattuto il mostro in prima pagina, lo ha fatto il governo che ha cercato di fare cassa sull'evento, lo hanno fatto migliaia di idioti che non hanno perso occasione di esibire il loro analfabetismo sui social. Quanto a noi, pensiamo che la lotta armata da tempo non sia più affare della politica, ma materia di indagine per gli storici, che quella guerra civile a bassa intensità sia finita da più di trent'anni, che si debba una volta per tutte elaborare il lutto per ciò che di tragico accadde allora e finalmente voltare pagina. Il testo che proponiamo, un'intervista a Renato Curcio del 1993, dimostra che già molto tempo fa questa opera di superamento poteva essere fatta. Per chi (personaggio pubblico o semplice cittadino) lincia in piazza il nemico catturato solo disprezzo. A loro si addice la frase di un cattivo maestro: Lasciamo che i morti seppelliscano i morti”.

Antonio Gnoli

C' eravamo tanto armati

Dal fondo della disperazione, del silenzio, della sconfitta a lungo rimeditata dietro le sbarre del carcere, Renato Curcio sembra riaffiorato a una nuova vita civile. Da circa sei mesi è sottoposto a un regime di semilibertà. Orari da caserma: esce da Rebibbia alle sette del mattino; dalle otto e trenta alle diciannove e trenta lavora nella cooperativa editoriale da lui fondata e diretta. Ha il vincolo di farsi trovare in casa editrice, da dove può assentarsi solo per il pranzo. Alle ventuno e trenta ha l' obbligo di rientrare in carcere. Vado a trovare Curcio nella sede di Sensibili alle foglie, è il nome che ha scelto per la sua casa editrice. L' appartamentino, piuttosto anonimo, è al terzo piano di un palazzo sito nel cuore di Testaccio, un antico e glorioso quartiere romano. L' ex brigatista è schietto, gentile, fisicamente non diverso da come appare in fotografia: occhi grandi e malinconici, barba rada e bianca, il naso pronunciato. Ha ripreso a fumare. Lo fa con discrezione. Dalla piazza sottostante si alzano le voci e un odore di pane appena cotto. Testaccio è anche questo: un mondo in un mondo più grande, un paese in una città che ha conservato le sue regole, i suoi volti, il suo dialetto. E' un' autenticità senza mistero. Qui Curcio ha ricominciato a vivere. Sono da lui per farmi raccontare di una nuova iniziativa editoriale. Con un ristretto gruppo di lavoro, i cui componenti hanno quasi tutti fatto l' esperienza del carcere, ha condotto una ricerca sulla lotta armata in Italia. Vent' anni di terrorismo, 1969-1989, infilati in un racconto sociologico, fitto di date, cifre, grafici, che Sensibili alle foglie pubblicherà prossimamente. Dice:

"Mi sono reso conto che attorno a questa esperienza della lotta armata c' era un gran parlare legato alle esigenze di cronaca, ai processi ancora in corso, ai personaggi di questa vicenda. Noi stessi che quella esperienza abbiamo vissuto faticavamo a riconoscerne i contorni. L' idea allora è stata di riesaminare tutti i processi dal ' 69 all' 89 fatti con l' imputazione di banda armata o di associazione sovversiva. Abbiamo esaminato gli elenchi nominali degli imputati di primo, secondo e terzo grado; abbiamo ricostruito la loro storia essenziale: data e luogo di nascita, studio o lavoro svolti al momento dell' inquisizione, l' anno di inquisizione, l' organizzazione per cui sono stati inquisiti, città di inquisizione. Questo materiale ci ha offerto la possibilità di fare una serie di elaborazioni molto interessanti. Anzitutto stabilire quante persone sono state inquisite per banda armata nel corso di vent' anni".

Seimila inquisiti A quanto ammonta il numero di inquisiti?

"La rilevazione è arrivata a circa cinquemila persone. Con gli ultimi processi, che stiamo raccogliendo, il calcolo definitivo dovrebbe essere intorno alle seimila persone. Abbiamo ulteriormente scomposto questo quadro per famiglie e organizzazioni inquisite".

Famiglie?

"Sì, nel senso che le organizzazioni inquisite sono circa centoventi, anche se spesso formate da gruppi molto piccoli di venti o trenta persone. Molti di questi gruppi discendevano da famiglie più grandi. L' area Br ad esempio ha subito a un certo punto vari processi di scissione, Prima Linea ha dato origine a differenti formazioni. C' era poi la famiglia anarco-comunista la cui organizzazione principale è stata Azione Rivoluzionaria. Un' altra famiglia è quella che ha preceduto anche le Br ed era formata dai Gap Feltrinelli e dalla 22 Ottobre, due organizzazioni che fra il ' 69 e la morte di Feltrinelli hanno funzionato da cerniera tra la vecchia cultura resistenziale e le nuove forme di lotta. Infine c' è la famiglia dell' Autonomia le cui organizzazioni pur non avendo fatto scelte forti di lotta armata, sono state inquisite per fenomeni laterali. E' stato molto interessante vedere le differenze di studi, di età, di lavoro fra un' organizzazione e un' altra. E su questo si è chiusa la prima parte del lavoro.

"La seconda parte della ricerca è stata dedicata alla descrizione delle organizzazioni: la loro data di nascita, i loro antecedenti culturali,l' area e il luogo di provenienza, le iniziative che ne hanno caratterizzato la vita, i personaggi salienti, i convegni interni, le regioni in cui ciascuna ha operato, la documentazione che hanno prodotto, la bibliografia esistente. "Infine c' è la terza e ultima sezione che riguarda sia le persone morte che appartenevano a queste organizzazioni sia quelle morte a causa di esse. Di ciascuna di queste persone abbiamo dato un profilo sintetico: una rapida biografia e una descrizione di testimonianze e documentari dell' evento in cui esse hanno trovato la morte".

Immagino avrete fatto un calcolo definitivo dei morti per mano dei terroristi.

"Sono centoventotto morti. Fra questi c' è anche una donna. Sono vittime su cui vi è una certezza documentaria sia perché sono state rivendicate da un' organizzazione e sia anche perché su di esse c' è stato un pronunciamento definitivo della magistratura"

Vuol dire che esistono delle morti incerte?

"Ci sono ventuno persone che sono molto probabilmente cadute sotto i colpi della lotta armata ma rispetto alle quali l' attività giudiziaria non è ancora giunta a definire con esatezza un colpevole".

Nel caso del commissario Calabresi, ad esempio, come vi siete comportati?

"Abbiamo inserito la sua morte fra gli incerti, cioè fra quelle persone che verosimilmente sono morte nel contesto di questo fenomeno, ma rispetto alle quali non è stato possibile in modo definitivo e con chiarezza attribuirle a una precisa responsabilità".

La morte della Cagol E dell' area armata?

"I morti sono stati sessantadue, fra cui sei donne".

Dietro queste aride cifre si nasconde un dolore immenso provocato alle persone che hanno visto improvvisamente spezzata la vita dei loro cari, dei loro amici. Lei Curcio che cosa ha provato, che cosa prova, di fronte a questo evento?

"La morte ci lega all' esperienza del tragico. Per quanto mi riguarda l' ho vissuta forse in modo contraddittorio. Pensavo, allora, per quanto tragico fosse l' incontro con essa, andasse per così dire riassorbito nell' idea del mutamento. Fosse cioè un prezzo che si potesse pagare in nome del cambiamento sociale. La verità è che io ho incontrato la morte il giorno in cui è morta mia moglie Margherita".

Che anno era?

"Era il 5 giugno del 1975. Quell' esperienza esistenziale mi fece accorgere che non c' era prezzo che valesse la sofferenza che un tale incontro ti procura. Ma poi dicevo:è capitato a me, ma poteva capitare ad altri. Era una forma di razionalizzazione, di difesa. Ho meditato a lungo su questa esperienza".

Per giungere a quali conclusioni?

"L' incontro con la morte ridetermina sul piano del valore ogni atto della tua vita. Vorrei portare un esempio. Il mese scorso per un incidente ho rischiato di perdere per i successivi tre anni lo stato di semilibertà. Il mese in cui sono stato nuovamente rinchiuso per me è equivalso a una esperienza di morte di fronte alla quale c' era il mio nuovo lavoro, le persone che incontro, gli affetti dati e ricevuti, insomma la vita. E allora non ho potuto non ripensare ai cinque mesi vissuti in semilibertà con uno sguardo nuovo, distinguendo quello che è stato veramente importante da ciò che in fondo era trascurabile".

Questa vostra ricerca che vi apprestate a pubblicare l' avete chiamata "Progetto memoria". Si tratta di un resoconto impietoso e freddo di quei lunghi e atroci vent' anni,che lei in parte ha vissuto fuori e molto in carcere. Vent' anni finiti per voi, per lei, in una sconfitta. Mi chiedo se nella riflessione che farete, se in questo appello alla memoria ci sarà spazio anche per questo.

"Credo non sarà facile elaborare una riflessione sulla sconfitta che non è stata solo quella di un' organizzazione, o di una esperienza, ma è tipica di una cultura. Dico questo senza la pretesa di voler sminuire le mie responsabilità. Ma sono convinto che sia giunto a compimento una cultura del Novecento, che ha avuto antecedenti storici lontani e che in qualche modo è stata presente nel fenomeno della lotta armata. Ecco,quella culturà lì oggi non c' è più, è morta".

Sia più preciso, a quale cultura lei si riferisce?

"A quella linea che è nata con la rivoluzione bolscevica e che ha avuto al suo interno vari sviluppi. La mia generazione politica è cresciuta con l' idea del comunismo come rivoluzione. Che poi interpretasse bene o male questo pensiero fa parte di una certa storia interna al movimento. Ma ci tengo a dire che l' elaborazione di una sconfitta è un fenomeno che chiama in causa uno sguardo molto più profondo di quello che ha utilizzato per esempio la sinistra rivoluzionaria. Il dibattito, poniamo, che le Br e Potere Operaio avviarono in quegli anni sul fatto se in Italia si vivesse una fase insurrezionale o di guerriglia, è stato letteralmente spazzato via. Leggere quegli anni, venirne a capo, significa andare oltre quelle circostanze specifiche, significa ripensare l' idea stessa di mutamento sociale".

Che cosa vuol dire per lei oggi il mutamento sociale,la trasformazione?

"E' qualcosa che sta dentro il mio lavoro. Negli ultimi anni ho fatto una scelta ben definita: ho preso atto della sconfitta politica e al contempo di una sconfitta molto più grande che riguarda gli apparati culturali che erano dietro certe scelte politiche. Per questo la mia è stata una scelta di discontinuità con il passato".

Una rottura per collocarsi dove?

"Per collocarmi nell' ambiente che conosco meglio e che riguarda parte della società reclusa. Che vuol dire non solo il carcere, ma anche quella esperienza della reclusione che nasce dal manicomio, dalla malattia, dall' afflizione. E' un mondo fatto di gente che ho frequentato per molti anni, soprattutto epistolarmente, e del quale ho seguito la storia. Se avrò qualcosa di nuovo da dire, sarà a partire da qui".

Lei insomma non immagina più per sé un futuro politico?

"Sono passati troppi anni da che sono stato tagliato fuori dalla politica. Oltretutto ne sono uscito perché quando all' interno di un certo contesto sei stato sconfitto, non puoi far finta di niente e passare ad un altro contesto politico. C' è chi lo fa. Non io. Prendo atto di quella esperienza su cui posso dire ancora delle cose. Però mi sento ancora una persona viva. E nella vita uno non può solo conoscere la sconfitta, ma deve cercare percorsi nuovi per andare avanti. Mettere in piedi questa cooperativa editoriale per me è stata una sfida. I nostri libri affrontano i problemi della reclusione, dell' handicap, dell' aids, dell' immigrazione. Ecco, oggi rifletto su questi mutamenti che avvengono nella società italiana in modo meno politico, meno globale, ma non per questo meno impegnativo"

Nella vostra ricerca non avete preso in considerazione il terrorismo di destra.Perché?

"Fondamentalmente per una ragione economica. Dal punto di vista del reperimento delle fonti non ci sarebbero stati problemi".

Che entità ha avuto il fenomeno del terrorismo di destra rispetto a quello di sinistra?

"Direi millecinquecento persone inquisite rispetto alle seimila della sinistra".

All' inizio di questa intervista lei Curcio mi aveva pregato di non chiederle nulla che riguardasse le recenti vicende sul caso Moro, le dichiarazioni della Faranda su chi ha sparato. Rispetto il suo desiderio. Ma può almeno dirci perché non intende parlarne?

"Perché non ho niente da dire, perché non sono stato parte in causa, se non per quel disegno simbolico di appartenenza alle Br. E poi non mi sento come quei grilli parlanti autorizzati a discettare di qualunque cosa. Sono una persona che ha pagato il suo debito con la società. Sono una persona reale, vivente che lavora per guadagnarsi la vita".

La Repubblica – 9 novembre 1993