L'arresto e poi
l'arrivo in Italia di Cesare Battisti, esibito dal governo come un
trofeo di caccia, ha scatenato sui media una canea di reazioni
scomposte, insulti e volgarità che testimoniano per l'ennesima volta
il livello di imbarbarimento raggiunto da questo paese, l'odio
diffuso, la voglia di giustizia sommaria, l'analfabetismo di massa.
Poteva essere l'occasione per una riflessione su un periodo tragico
della nostra storia, per un bilancio storico e politico di ciò che
accadde. Si è preferito ancora una volta parlare alla pancia della
gente. Lo hanno fatto i giornali che invece hanno
sbattuto il mostro in prima pagina, lo ha fatto il governo che ha
cercato di fare cassa sull'evento, lo hanno fatto migliaia di idioti
che non hanno perso occasione di esibire il loro analfabetismo sui
social. Quanto a noi, pensiamo che la lotta armata da tempo non sia
più affare della politica, ma materia di indagine per gli storici,
che quella guerra civile a bassa intensità sia finita da più di
trent'anni, che si debba una volta per tutte elaborare il lutto per
ciò che di tragico accadde allora e finalmente voltare pagina. Il
testo che proponiamo, un'intervista a Renato Curcio del 1993,
dimostra che già molto tempo fa questa opera di superamento poteva
essere fatta. Per chi (personaggio pubblico o semplice cittadino)
lincia in piazza il nemico catturato solo disprezzo. A loro si addice
la frase di un cattivo maestro: Lasciamo che i morti seppelliscano i
morti”.
Antonio Gnoli
C' eravamo tanto
armati
Dal fondo della
disperazione, del silenzio, della sconfitta a lungo rimeditata dietro
le sbarre del carcere, Renato Curcio sembra riaffiorato a una nuova
vita civile. Da circa sei mesi è sottoposto a un regime di
semilibertà. Orari da caserma: esce da Rebibbia alle sette del
mattino; dalle otto e trenta alle diciannove e trenta lavora nella
cooperativa editoriale da lui fondata e diretta. Ha il vincolo di
farsi trovare in casa editrice, da dove può assentarsi solo per il
pranzo. Alle ventuno e trenta ha l' obbligo di rientrare in carcere.
Vado a trovare Curcio nella sede di Sensibili alle foglie, è il nome
che ha scelto per la sua casa editrice. L' appartamentino, piuttosto
anonimo, è al terzo piano di un palazzo sito nel cuore di Testaccio,
un antico e glorioso quartiere romano. L' ex brigatista è schietto,
gentile, fisicamente non diverso da come appare in fotografia: occhi
grandi e malinconici, barba rada e bianca, il naso pronunciato. Ha
ripreso a fumare. Lo fa con discrezione. Dalla piazza sottostante si
alzano le voci e un odore di pane appena cotto. Testaccio è anche
questo: un mondo in un mondo più grande, un paese in una città che
ha conservato le sue regole, i suoi volti, il suo dialetto. E' un'
autenticità senza mistero. Qui Curcio ha ricominciato a vivere. Sono
da lui per farmi raccontare di una nuova iniziativa editoriale. Con
un ristretto gruppo di lavoro, i cui componenti hanno quasi tutti
fatto l' esperienza del carcere, ha condotto una ricerca sulla lotta
armata in Italia. Vent' anni di terrorismo, 1969-1989, infilati in un
racconto sociologico, fitto di date, cifre, grafici, che Sensibili
alle foglie pubblicherà prossimamente. Dice:
"Mi sono reso conto
che attorno a questa esperienza della lotta armata c' era un gran
parlare legato alle esigenze di cronaca, ai processi ancora in corso,
ai personaggi di questa vicenda. Noi stessi che quella esperienza
abbiamo vissuto faticavamo a riconoscerne i contorni. L' idea allora
è stata di riesaminare tutti i processi dal ' 69 all' 89 fatti con
l' imputazione di banda armata o di associazione sovversiva. Abbiamo
esaminato gli elenchi nominali degli imputati di primo, secondo e
terzo grado; abbiamo ricostruito la loro storia essenziale: data e
luogo di nascita, studio o lavoro svolti al momento dell'
inquisizione, l' anno di inquisizione, l' organizzazione per cui sono
stati inquisiti, città di inquisizione. Questo materiale ci ha
offerto la possibilità di fare una serie di elaborazioni molto
interessanti. Anzitutto stabilire quante persone sono state inquisite
per banda armata nel corso di vent' anni".
Seimila inquisiti A
quanto ammonta il numero di inquisiti?
"La rilevazione è
arrivata a circa cinquemila persone. Con gli ultimi processi, che
stiamo raccogliendo, il calcolo definitivo dovrebbe essere intorno
alle seimila persone. Abbiamo ulteriormente scomposto questo quadro
per famiglie e organizzazioni inquisite".
Famiglie?
"Sì, nel senso che
le organizzazioni inquisite sono circa centoventi, anche se spesso
formate da gruppi molto piccoli di venti o trenta persone. Molti di
questi gruppi discendevano da famiglie più grandi. L' area Br ad
esempio ha subito a un certo punto vari processi di scissione, Prima
Linea ha dato origine a differenti formazioni. C' era poi la famiglia
anarco-comunista la cui organizzazione principale è stata Azione
Rivoluzionaria. Un' altra famiglia è quella che ha preceduto anche
le Br ed era formata dai Gap Feltrinelli e dalla 22 Ottobre, due
organizzazioni che fra il ' 69 e la morte di Feltrinelli hanno
funzionato da cerniera tra la vecchia cultura resistenziale e le
nuove forme di lotta. Infine c' è la famiglia dell' Autonomia le cui
organizzazioni pur non avendo fatto scelte forti di lotta armata,
sono state inquisite per fenomeni laterali. E' stato molto
interessante vedere le differenze di studi, di età, di lavoro fra
un' organizzazione e un' altra. E su questo si è chiusa la prima
parte del lavoro.
"La seconda parte
della ricerca è stata dedicata alla descrizione delle
organizzazioni: la loro data di nascita, i loro antecedenti
culturali,l' area e il luogo di provenienza, le iniziative che ne
hanno caratterizzato la vita, i personaggi salienti, i convegni
interni, le regioni in cui ciascuna ha operato, la documentazione che
hanno prodotto, la bibliografia esistente. "Infine c' è la
terza e ultima sezione che riguarda sia le persone morte che
appartenevano a queste organizzazioni sia quelle morte a causa di
esse. Di ciascuna di queste persone abbiamo dato un profilo
sintetico: una rapida biografia e una descrizione di testimonianze e
documentari dell' evento in cui esse hanno trovato la morte".
Immagino avrete fatto un
calcolo definitivo dei morti per mano dei terroristi.
"Sono centoventotto
morti. Fra questi c' è anche una donna. Sono vittime su cui vi è
una certezza documentaria sia perché sono state rivendicate da un'
organizzazione e sia anche perché su di esse c' è stato un
pronunciamento definitivo della magistratura"
Vuol dire che esistono
delle morti incerte?
"Ci sono ventuno
persone che sono molto probabilmente cadute sotto i colpi della lotta
armata ma rispetto alle quali l' attività giudiziaria non è ancora
giunta a definire con esatezza un colpevole".
Nel caso del commissario
Calabresi, ad esempio, come vi siete comportati?
"Abbiamo inserito la
sua morte fra gli incerti, cioè fra quelle persone che
verosimilmente sono morte nel contesto di questo fenomeno, ma
rispetto alle quali non è stato possibile in modo definitivo e con
chiarezza attribuirle a una precisa responsabilità".
La morte della Cagol E
dell' area armata?
"I morti sono stati
sessantadue, fra cui sei donne".
Dietro queste aride cifre
si nasconde un dolore immenso provocato alle persone che hanno visto
improvvisamente spezzata la vita dei loro cari, dei loro amici. Lei
Curcio che cosa ha provato, che cosa prova, di fronte a questo
evento?
"La morte ci lega
all' esperienza del tragico. Per quanto mi riguarda l' ho vissuta
forse in modo contraddittorio. Pensavo, allora, per quanto tragico
fosse l' incontro con essa, andasse per così dire riassorbito nell'
idea del mutamento. Fosse cioè un prezzo che si potesse pagare in
nome del cambiamento sociale. La verità è che io ho incontrato la
morte il giorno in cui è morta mia moglie Margherita".
Che anno era?
"Era il 5 giugno del
1975. Quell' esperienza esistenziale mi fece accorgere che non c' era
prezzo che valesse la sofferenza che un tale incontro ti procura. Ma
poi dicevo:è capitato a me, ma poteva capitare ad altri. Era una
forma di razionalizzazione, di difesa. Ho meditato a lungo su questa
esperienza".
Per giungere a quali
conclusioni?
"L' incontro con la
morte ridetermina sul piano del valore ogni atto della tua vita.
Vorrei portare un esempio. Il mese scorso per un incidente ho
rischiato di perdere per i successivi tre anni lo stato di
semilibertà. Il mese in cui sono stato nuovamente rinchiuso per me è
equivalso a una esperienza di morte di fronte alla quale c' era il
mio nuovo lavoro, le persone che incontro, gli affetti dati e
ricevuti, insomma la vita. E allora non ho potuto non ripensare ai
cinque mesi vissuti in semilibertà con uno sguardo nuovo,
distinguendo quello che è stato veramente importante da ciò che in
fondo era trascurabile".
Questa vostra ricerca che
vi apprestate a pubblicare l' avete chiamata "Progetto memoria".
Si tratta di un resoconto impietoso e freddo di quei lunghi e atroci
vent' anni,che lei in parte ha vissuto fuori e molto in carcere.
Vent' anni finiti per voi, per lei, in una sconfitta. Mi chiedo se
nella riflessione che farete, se in questo appello alla memoria ci
sarà spazio anche per questo.
"Credo non sarà
facile elaborare una riflessione sulla sconfitta che non è stata
solo quella di un' organizzazione, o di una esperienza, ma è tipica
di una cultura. Dico questo senza la pretesa di voler sminuire le mie
responsabilità. Ma sono convinto che sia giunto a compimento una
cultura del Novecento, che ha avuto antecedenti storici lontani e che
in qualche modo è stata presente nel fenomeno della lotta armata.
Ecco,quella culturà lì oggi non c' è più, è morta".
Sia più preciso, a quale
cultura lei si riferisce?
"A quella linea che
è nata con la rivoluzione bolscevica e che ha avuto al suo interno
vari sviluppi. La mia generazione politica è cresciuta con l' idea
del comunismo come rivoluzione. Che poi interpretasse bene o male
questo pensiero fa parte di una certa storia interna al movimento. Ma
ci tengo a dire che l' elaborazione di una sconfitta è un fenomeno
che chiama in causa uno sguardo molto più profondo di quello che ha
utilizzato per esempio la sinistra rivoluzionaria. Il dibattito,
poniamo, che le Br e Potere Operaio avviarono in quegli anni sul
fatto se in Italia si vivesse una fase insurrezionale o di
guerriglia, è stato letteralmente spazzato via. Leggere quegli anni,
venirne a capo, significa andare oltre quelle circostanze specifiche,
significa ripensare l' idea stessa di mutamento sociale".
Che cosa vuol dire per
lei oggi il mutamento sociale,la trasformazione?
"E' qualcosa che sta
dentro il mio lavoro. Negli ultimi anni ho fatto una scelta ben
definita: ho preso atto della sconfitta politica e al contempo di una
sconfitta molto più grande che riguarda gli apparati culturali che
erano dietro certe scelte politiche. Per questo la mia è stata una
scelta di discontinuità con il passato".
Una rottura per
collocarsi dove?
"Per collocarmi
nell' ambiente che conosco meglio e che riguarda parte della società
reclusa. Che vuol dire non solo il carcere, ma anche quella
esperienza della reclusione che nasce dal manicomio, dalla malattia,
dall' afflizione. E' un mondo fatto di gente che ho frequentato per
molti anni, soprattutto epistolarmente, e del quale ho seguito la
storia. Se avrò qualcosa di nuovo da dire, sarà a partire da qui".
Lei insomma non immagina
più per sé un futuro politico?
"Sono passati troppi
anni da che sono stato tagliato fuori dalla politica. Oltretutto ne
sono uscito perché quando all' interno di un certo contesto sei
stato sconfitto, non puoi far finta di niente e passare ad un altro
contesto politico. C' è chi lo fa. Non io. Prendo atto di quella
esperienza su cui posso dire ancora delle cose. Però mi sento ancora
una persona viva. E nella vita uno non può solo conoscere la
sconfitta, ma deve cercare percorsi nuovi per andare avanti. Mettere
in piedi questa cooperativa editoriale per me è stata una sfida. I
nostri libri affrontano i problemi della reclusione, dell' handicap,
dell' aids, dell' immigrazione. Ecco, oggi rifletto su questi
mutamenti che avvengono nella società italiana in modo meno
politico, meno globale, ma non per questo meno impegnativo"
Nella vostra ricerca non
avete preso in considerazione il terrorismo di destra.Perché?
"Fondamentalmente
per una ragione economica. Dal punto di vista del reperimento delle
fonti non ci sarebbero stati problemi".
Che entità ha avuto il
fenomeno del terrorismo di destra rispetto a quello di sinistra?
"Direi
millecinquecento persone inquisite rispetto alle seimila della
sinistra".
All' inizio di questa
intervista lei Curcio mi aveva pregato di non chiederle nulla che
riguardasse le recenti vicende sul caso Moro, le dichiarazioni della
Faranda su chi ha sparato. Rispetto il suo desiderio. Ma può almeno
dirci perché non intende parlarne?
"Perché non ho
niente da dire, perché non sono stato parte in causa, se non per
quel disegno simbolico di appartenenza alle Br. E poi non mi sento
come quei grilli parlanti autorizzati a discettare di qualunque cosa.
Sono una persona che ha pagato il suo debito con la società. Sono
una persona reale, vivente che lavora per guadagnarsi la vita".
La Repubblica – 9
novembre 1993