I Greci guardarono con una certa ammirazione agli antichi Liguri e in particolare alla forza di carattere delle donne. Ma non tutto è così semplice come sembra.
Giorgio Amico
Le donne liguri.
Storia di uno stereotipo etnico
I testi classici
forniscono elementi sufficienti per connotare fisicamente e
caratterialmente gli antichi Liguri. Diodoro Siculo descrive una
razza di individui
"tenaci e rudi,
piccoli di statura, asciutti, nervosi... Costoro abitano una terra
sassosa e del tutto sterile e trascorrono un'esistenza faticosa ed
infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal
momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per
l'intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilati e
pesanti, altri, avendo avuto l'incarico di lavorare la terra, non
fanno altro che estrarre pietre... A causa del continuo lavoro fisico
e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi.
In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel
medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne
coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili
sono forti e muscolosi nei corpi... Trascorrono la notte nei campi,
raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità
della roccia o in caverne naturali... Generalmente le donne di questi
luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve... essi sono
coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni
della vita non scevre di pericolo"
Diodoro Siculo, vissuto
probabilmente fra il 90 e il 27 aC, raccoglie e sistematizza quanto
scritto da almeno cinque secoli, a partire dalla fondazione di
Massalia (Marsiglia) e dunque dai primi contatti stabili fra Greci e
Liguri. Il testo riportato testimonia di come i Greci guardino ai
Liguri con una evidente ammirazione, mista a un certo stupore per la
condizione emancipata delle donne. Una ammirazione fondata sulla
visione mitica di un popolo selvaggio, ma capace di preservare quella
purezza di costumi che in origine era stata anche dei Greci. Un
mito ricorrente nella storia che ritroveremo dopo la scoperta delle
Americhe e il contatto con nuovi popoli nei testi impegnati dei
filosofi, vedi Rousseau, ma anche in romanzi come il “Robinson
Crosue” dell'inglese De Foe.
In questa situazione il
rischio di cadere nello stereotipo è sempre presente, anche se nel
caso dei Liguri, a differenza di quelli attuali sugli immigrati
“brutti, sporchi e cattivi”, lo stereotipo ha valenza largamente
positiva. Questa trasformazione del dato della conoscenza in
stereotipo è evidente nel caso delle donne liguri.
Tutto nasce dal racconto
di Posidonio, filosofo e geografo greco vissuto all'incirca tra il
135 e il 50 aC, che viaggiò a lungo nel Mediterraneo e soggiornò
tra l'altro a Massalia. Nel racconto che il filosofo fa del suo
soggiorno massaliota egli riporta ciò che ha sentito da un certo
Carmoleonte, suo amico carissimo e cittadino ricco e importante.
"Per coltivare la
terra – racconta Carmoleonte - avevo preso a giornata sia uomini
che donne. Durante il lavoro una delle donne, colta dai dolori del
parto, si allontanò dal gruppo e in disparte partorì. Ritornò
subito dopo al lavoro, per non perdere il compenso, dopo aver lavato
il neonato ad una fonte e avvolto in una pezza portatolo al riparo a
casa.".
E' poco più di un
aneddoto che rivela come l'estrema povertà dei Liguri avesse colpito
la sensibilità di Posidonio. Sembrerebbe una cosa di poco conto, una
piccola annotazione all'interno di un'opera ben più complessa sul
mondo mediterraneo, ma parecchio tempo dopo, questo racconto viene
ripreso proprio da quel Diodoro Siculo di cui abbiamo parlato in
apertura, che ne cambia radicalmente il senso. Infatti Diodoro lo
riprende, lo arricchisce di particolari e lo presenta come una
testimonianza diretta:
"Gli abitanti sono resistentissimi alla fatiche e, per il continuo esercizio fisico, vigorosi; giacché ben lontani dall'indolenza generata dalle dissolutezze, sono sciolti nei movimenti ed eccellenti per vigore negli scontri di guerra. Generalmente gli abitanti della regione all'intorno, abituati continuamente a sostenere travagli, e richiedendo la terra molta cura, usarono fare partecipi anche le donne delle fatiche connesse al lavoro.
E lavorando uomini e
donne a giornata, fianco a fianco, accadeva ad una donna un fatto
particolare e paradossale secondo la nostra mentalità.
Infatti essendo incinta e
lavorando con gli uomini, presa dalle doglie, raggiunse alcuni
cespugli senza turbarsi; in questi diede alla luce il figlio e,
avendolo avvolto con fronde lo nascose lì, mentre lei, riunitasi a
quelli che continuavano a lavorare, sopportò con essi la medesima
fatica, senza accennare nulla dell'accaduto.
Ed essendo venuto noto il
fatto per il pianto del bimbo, in nessun modo il sovrintendente la
poteva convincere a sospendere il lavoro; né costei desistette dalla
faticosa occupazione finché il datore di lavoro, preso da pietà,
datole il compenso pattuito la esonerò."
Dunque un semplice
aneddoto riportato si trasforma nel giro di qualche decennio in una
precisa e dettagliata annotazione antropologica frutto
dell'osservazione diretta. Ma non è finita, perchè in un testo
dello Pseudo-Aristotele, di datazione incerta ma sicuramente di molto
posteriore, il dato è riportato come generale:
“Si dice che anche
questo sia caratteristico presso di loro: le donne partoriscono
mentre lavorano e, dopo aver lavato con l’acqua il bambino, subito
zappano, scavano e fanno gli altri lavori che avrebbero dovuto fare
anche se non avessero partorito”.
Dunque un fatto in
origine descritto come individuale diventa progressivamente
caratteristica comune di un popolo e poi assunto come tale
nell'immaginario collettivo. Il racconto di Posidonio diventato dato
antropologico certo è una dimostrazione perfetta di come nasca e si
fissi uno stereotipo etnico. Un'utile lezione anche per l'oggi, anzi
soprattutto per l'oggi. E di questo dobbiamo essere grati a
quell'antica e sconosciuta contadina massaliota.