Franco Astengo
FRUTTI AVVELENATI
L’invasione del Parlamento americano da parte di una torma di facinorosi inneggianti a Trump e alla “vittoria tradita” (strana similitudine con la “vittoria mutilata”) non può essere ridotta a episodio numericamente trascurabile oppure a un rigurgito dell’America profonda o a un’altra qualunque espressione di jacquerie.
Tralasciamo anche la retorica dell’assalto al cuore della democrazia occidentale, al simbolo del sistema, ecc,ecc.
In realtà il sistema è da tempo in profonda crisi, cede il passo e quasi si arrende ai frutti avvelenati di una concezione della politica che non è semplicemente sovranista e/o populista ma rappresenta una interpretazione dei bisogni di massa e una diversa capacità di espressione attraverso il racconto raccolto dai nuovi strumenti tecnologici.
Soprattutto però la crisi deriva dall’isolamento sociale e dall’estendersi e dall’acuirsi delle contraddizioni, al riguardo delle quali la forma della democrazia “liberale” e i soggetti che la animano non riescono più a fornire una plausibile interpretazione.
I tumulti simil-golpisti verificatisi all’interno di Capitol Hill non possono che essere catalogati attraverso categorie sulle quali ci è già capitato di esercitarci e che troviamo oggi occasione di ribadire e al riguardo delle quali appare proprio come insufficiente la riflessione della sinistra a livello internazionale.
Una sinistra ormai ridotta quasi a una mera appendice “politicista” della governabilità comunque.
Siamo di fronte a:
1). Il procedere di un ulteriore processo di disfacimento sociale verso il quale l’idea della sintesi politica (una volta appartenuta alle grandi formazioni partitiche) appare inefficace;
2). L’emergenza del prevalere di una visione politica facile da semplificare nella narrazione, con l’utilizzo di una sorta di “manicheismo”: a di là o di qua, senza sfumature, proprio perché sembra impossibile rintracciare un’appartenenza definita. Si verifica così il passaggio dalla “democrazia del pubblico” (Manin) alla “democrazia recitativa”. Nella “democrazia recitativa” è facile prevedere una fase di egemonia appannaggio della destra;
3). Non è più questione di disaffezione dalle pratiche della democrazia ma di transito di interi settori sociali da una parte all’altra degli schieramenti e di una forte mobilità tra questi: per sfuggire all’incalzare dello sfruttamento, al predominio della tecnologia (cui è attribuita anche la responsabilità dell’emergenza sanitaria), considerando la “paura” quale vera e propria categoria politica, grandi masse si sono rifugiate nella certezza di una identità da difendere, la “propria” appartenenza di “focolare”.
L’azione politica viene così considerata soltanto in chiave difensiva (al limite quasi di difesa antropologica) avendo smarrito il senso dell’appartenenza a una condizione sociale. In questo modo masse di sfruttati e marginalizzati (o neo-marginalizzati) votano a destra perché credono sia loro garantita una riconoscibilità “di gregge”.
La politica appare così lontana dal quotidiano e ridotta a mera espressione di una visione intellettuale capace soltanto di mediare quasi in esclusiva la funzione del potere. Una politica che fa fatica a riconoscere il forte stridio della nuova qualità delle contraddizioni e finisce con l’assumere posizioni “mediane” ormai fuori dal tempo e frutto soltanto di una concezione arcaica dell’autonomia del politico.
Siamo di fronte a fatti che stanno mutando il quadro complessivo: al di là dell’Atlantico la difficoltà nell’insediamento di Biden sarà da verificare nei suoi effetti al riguardo della politica che potrà essere concretamente sviluppata dal nuovo Presidente che dovrà agire in un paese spaccato (Bremner oggi aggiunge anche “sotto ricatto di nuove insurrezioni”), e al di qua dell’Oceano ci sarà da analizzare l’esito della Brexit nel quadro di un tentativo di ritorno all’atlantismo.
Il tutto nel contesto dell’incertezza globale derivante dall’emergenza sanitaria.
La vigilia sembra proprio essere quella di uno “spostamento d’asse”.