TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 17 marzo 2024

La sinistra italiana e Stalin

 


Simul stabunt vel simul cadent.

La sinistra italiana e Stalin





In questo quaderno pubblichiamo, riprendendolo dagli atti parlamentari, il resoconto delle sedute che il 6 marzo 1953 Senato e Camera dei deputati della Repubblica dedicarono alla commemorazione di Stalin. Una documentazione importante non solo per comprendere meglio il clima di quel particolare momento della storia politica italiana, ma anche per approfondire la conoscenza di alcuni degli esponenti principali di una sinistra quasi interamente asservita allo stalinismo e alla propaganda sovietica.

L'intervento di Scoccimarro in rappresentanza del Partito comunista ne è forse l'esempio più chiaro e, nella sua brutale ottusità ideologica, segna una delle pagine più buie della storia del Senato. Il discorso dell'esponente comunista, che riprende senza batter ciglio una ad una le peggiori menzogne della propaganda staliniana, al punto di esaltare come una conquista della civiltà quella collettivizzazione forzata delle campagne costata la vista a milioni di piccoli contadini, è paragonabile per il disprezzo della verità e dell'autorità morale del Parlamento solo ai discorsi tenuti nella stessa aula da Benito Mussolini negli anni infausti della dittatura. E non cambia ovviamente nulla che l'esponente comunista fosse fanaticamente convinto delle sue idee. Anche Mussolini era convinto di ciò che sosteneva e di essere la guida di una rivoluzione di tipo nuovo che avrebbe trasformato in meglio l'Italia. Insomma, anche se espresse in buona fede, le menzogne restano comunque menzogne.

Che dire poi della celebrazione apologetica di Pertini, che interviene per il Partito socialista ? Frase dopo frase vediamo crollare il mito costruito su di lui durante e dopo gli anni della Presidenza della Repubblica, portando alla luce il cinismo di quello che fu in realtà un politico mediocre, prima autonomista, poi stalinista, poi di nuovo autonomista. A differenza di Nenni, personaggio altrettanto contraddittorio ma che ragionava secondo una visione politica di prospettiva, Pertini si dedicò soprattutto a difendere la rendita di posizione derivante dal suo comunque importante passato antifascista, appoggiando di volta di volta chi gli pareva potesse garantirgli meglio gli spazi di potere, peraltro esigui, detenuti all'interno del gruppo dirigente socialista. Un cinico, lo definirà Panzieri e anche in questa occasione Pertini si mostrerà attento a non eccedere nei toni, allineandosi allo stalinismo imperante nella sinistra ma con moderazione. Limitandosi, insomma, a fare della mera retorica da comizio.

Più calibrato l'intervento di Togliatti alla Camera, ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno delle capacità dialettiche dell'uomo, ma anche del suo insopportabile vezzo a posare da professorino. La sua citazione manzoniana, che di fatto assimila Stalin a Napoleone, è un pezzo da antologia.

Quanto a Nenni, non può non colpire, nonostante dall'inizio degli anni Trenta a decine si contassero le testimonianze sui metodi usati nella gestione del potere dall'autocrate del Cremlino, la asserita, ma chissà quanto sincera, convinzione che parlare per la Russia di dittatura fosse una mera calunnia a fini propagandistici di un Occidente guerrafondaio e bellicista che in Stalin combatteva soprattutto l'eterno anelito dell'umanità alla pace.

La storia, si sa, è impietosa e non fa sconti. Tre anni dopo, proprio uno dei principali complici di Stalin, quel Chruščëv responsabile dello sterminio per fame dei contadini ucraini insofferenti del potere sovietico, rivelerà al mondo gli orrori della dittatura staliniana. Era la conferma di ciò che Souvarine, Serge, Silone – giusto per citare alcuni dei testimoni più noti di quegli orrori – avevano coraggiosamente sostenuto già dalla fine degli anni Venti. Ma non servirà a molto. La verità rende libero solo chi vuole essere libero. Lo dimostrerà sempre in quel 1956 la difesa ostinata dell'URSS in occasione della rivoluzione ungherese fatta da Togliatti e da un Ingrao chissà perché ancora oggi da qualcuno visto come un “eretico” del comunismo.

Abbiamo, per completezza di documentazione, aggiunto poi in appendice l'articolo che Enrico Berlinguer, allora segretario dei giovani comunisti, scrisse in quei giorni sulla rivista “Pattuglia”. Colpisce in quell'ossessivo invito all'impegno, ripetuto come una formula religiosa o un giuramento solenne, già un accenno di quel moralismo curiale, spacciato per etica, che caratterizzerà gli interventi del futuro segretario comunista negli anni del compromesso storico. A dimostrazione di una continuità di pensiero e di un Partito incapace di affrontare realmente le contraddizioni della propria storia e di fare una volta per tutte i conti con lo stalinismo.

Sarà solo nel dicembre 1981 che Berlinguer parlerà di “fine della spinta propulsiva” del comunismo sovietico. Una affermazione a cui non seguirà però alcuna riflessione autocritica né alcun atto concreto. Una semplice presa d'atto da spendersi nel teatrino angusto della politica italiana. Come se sessant'anni prima, nel marzo 1921, non ci fosse stata la Comune di Kronstadt, e poi la collettivizzazione forzata delle campagne, lo sterminio per fame dei contadini ucraini, l'industrializzazione fondata sul lavoro schiavo fornito dai Gulag, le grandi purghe di fine anni Trenta, il patto Ribentropp-Molotov e l'alleanza di fatto con il nazismo che aprì le porte alla guerra, il XX Congresso, l'asservimento dei popoli di mezza Europa e la repressione sanguinosa della rivoluzione ungherese, l'URSS era restata fino ad allora il faro del socialismo che segnava con la sua luce la rotta dell'umanità verso un avvenire radioso di civiltà e di pace. Solo nel 1981, lo ripetiamo, ci si accorgerà che quel faro non faceva più luce. Una presa d'atto tardiva e neppure condivisa da tutti, come dimostrerà l'opposizione prima della componente cossuttiana e poi la storia fallimentare del Partito della Rifondazione comunista.

Simul stabunt vel simul cadent, verrebbe da dire. PCI e stalinismo erano dal 1926 indissolubilmente legati. Lo dimostrerà nel 1991, a 38 anni dalla morte di Stalin, il crollo parallelo dell'impero sovietico e del Partito comunista italiano.


Giorgio Amico


Il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu