TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 28 gennaio 2010

Marino Magliani, La Tana degli Alberibelli




Marino Magliani, La Tana degli Alberibelli

Domenica 31 gennaio alle 16.30 a San Biagio della Cima, presso il Centro polivalente Le Rose, nell'ambito delle iniziative relative al Premio Internazionale Frontiere-Biamonti Giorgio Bertone presenterà il volume La Tana degli Alberibelli (Longanesi, 2009) di Marino Magliani, vincitore del Premio “Pagine di Liguria”.
Quinto romanzo dello scrittore imperiese, La Tana degli Alberibelli racconta, con l'andamento appassionante del giallo d'autore, di un mistero che poco a poco si dipana tra ricordi della guerra partigiana, corruzione politica, affarismo e criminalità organizzata, offrendoci un'immagine vivissima del Ponente ligure e dell'Italia di oggi.
Ne riportiamo l'inizio, seguito da un articolo in cui l'autore racconta la genesi del romanzo.

La Tana degli Alberibelli
Incipit


Al largo della costa ligure, 19 febbraio 2008

La citta’ spariva dalla vista, inghiottita dai flutti, e riemergeva dopo qualche istante.
La sovrastava il vecchio borgo, resti gialli di mura di cinta e una ragnatela di palazzi moderni, qualche palma sbattuta, un convento pieno di logge.
L’uomo chiuso nella mantellina remava verso levante, controvento, guardando davanti a se´, la cima del molo. L’appuntamento era lassu’, sull’ultima panchina. Ma non si era fidato. Per questo era sul gozzo.
Appena le onde gli rotolarono al fianco, lascio’ i remi, s’abbasso’ il cappuccio e prese il binocolo nello zainetto. Per guardare meglio si era alzato. Si asciugo’ la faccia e punto’ l’imboccatura del molo. I soliti pensionati passeggiavano a ridosso. Oltre, il muraglione spartivento era deserto. Anche dalle parti del faro e tra gli scogli, era tutto tranquillo. Con il binocolo seguı’ orizzontalmente l’intera struttura fino alla panchina in cima. La’ noto’ una figura. Era certamente lui. Sentı’ il sudore colare caldo lungo la schiena, le braccia e il volto si rilassarono, si risedette sul banco del gozzo e attese. Dopo un po’ guardo’ l’ora, cerco’ il cellulare e chiamo’ di nuovo.
« Sto arrivando. Scendo ora la scalinata di Santaleula… Mi bastano pochi minuti, ripeto: indosso un giubbotto nero e un cappellino rosso della Ferrari.»
« Sono gia’ qui », fu la risposta.
« In cima? »
« Vedi solo me. »
« Bene. »
Spense e riprese il binocolo. La figura s’era alzata dalla panchina e s’era rivolta alla costa. Dalla citta’ si levavano rumori di traffico, sirene. Sul molo e sul mare, non giungeva quasi nulla.
Santaleula. La citta’ col porto turistico che sarebbe diventato il piu’ grande del Mediterraneo. Gli occhi ci avrebbero fatto l’abitudine, come si impara a collegare a una bocca un sigaro, una barba a una faccia. Controllo’ di nuovo l’imboccatura del molo. I rimbalzi rendevano instabili anche le mani. ”Ora deve arrivare…”
Perse il punto d’imboccatura e, quando lo ritrovo’, vide che era apparso qualcuno. Andatura da giovane. Era risalito per la scaletta e avanzava sul muraglione spartivento, vestito di scuro. Di che colore fosse il cappello, ne´ se l’aveva in testa, non poteva dirlo, ma era lui. Non poteva che essere lui. Non era un giorno da passeggiate sul molo.
L’aveva convinto solo un paio di giorni prima, l’aveva conosciuto a Sanremo, al casino’. Duecento euro al momento piu’ le spese e duemila a lavoro fatto. La consegna di foto di corna. Gli aveva fornito gli indumenti per farsi riconoscere. Il giovanotto aveva accettato, s’era provato il cappellino fin da subito, senza fare domande. Assieme ai duecento aveva preso la busta delle foto e l’aveva tastata. Prima di sera sarebbe tornato al casino’. Adesso, camminava ben visibile, sul muraglione, cappellino in testa e giubbotto nero.
L’uomo sulla barca non aveva piu’ dubbi. Mancava ancora una cosa, la piu’ importante, fra poco avrebbe verificato anche quella.
E, se non era una trappola, avrebbe remato ancora un po’ e accostato. Poi si sarebbe fatto vivo con una seconda telefonata… Il binocolo slitto’ in cima. La persona dalle parti della panchina attendeva. Forse a questo punto aveva riconosciuto il cappellino rosso.
”Sì, a questo punto ha visto che stai arrivando…”
Guardo’ verso l’imboccatura del molo… Tutto tranquillo. Si rilasso’, si chino’ a riempire d’acqua salata l’incavo della mano e si bagno’ la faccia fin dentro le narici. Poi prese a remare, avvicinandosi ancora un po’ agli scogli. Ora ne distingueva a occhio nudo il colore e le scalette, i lampioni… Il colore di un cappello no.
Binocolo. Imboccatura… Un movimento. Una macchina s’era fermata alla sbarra. Erano scesi in tre. Potevano essere operai del porto.
Si accorse che succedeva dell’altro anche dalle parti del faro, un paio di persone, sbucate fuori come dal nulla dagli scogli, andavano incontro al passeggiatore solitario. I tre all’inizio avevano allungato il passo, le distanze si accorciavano. Il passeggiatore venne fermato all’altezza di una scaletta, e fatto scendere tra gli scogli…
L’uomo sul gozzo non ci guardava da tempo, aveva invertito la rotta, tirato i remi in barca e acceso il motore. Non punto’ subito la costa, il piano a cui aveva pensato in caso di fuga, prevedeva di oltrepassare l’ansa della Foce e guadagnare la spiaggia di ciottoli sotto l’Aurelia. La’ aveva lasciato la moto.
Con una mano, senza abbandonare il timone, prese il telefono e chiamo’.
« Mi aspettavano. » Non aggiunse altro.
Un rumore alle sue spalle. Aumentava e copriva tutto. Mollo’ il timone, tolse la pistola dallo zainetto pieno di fogli, l’appesantı’ con un pezzo di tubo di ferro che era sugli assi e lo getto’ in mare. Lo zainetto sparı’ nei flutti. Aggiusto’ la rotta verso la costa, puntando definitivamente la Foce e le palme delle Ratteghe.
A mezz’aria, l’elicottero viro’ e seguı’ la rotta dei gabbiani che penetravano la vallata.

Marino Magliani

Genesi di una storia

Una donna, ecco cosa mancava alla storia che stavo scrivendo. Era una storia sul tradimento, una parola che si sente spesso in Liguria, ma non il solito tradimento tra un uomo e una donna, in Liguria il tradimento è una cosa che riguarda sostanze, i possedimenti, si sa dai, toccagli tutto a un Ligure dell'interno, ma non toccargli la roba. Per questo se gli tocchi la roba è tradimento. Volevo scrivere di una donna tradita dai suoi fratelli, una donna buona, e perché era buona derubata della sua parte di eredità. Per farlo dovevo scrivere di un testamento falsificato, storia di una donna che apparteneva alla piccola borghesia proletaria e che aveva faticato fino ai trent'anni nel suo con suo padre e sua madre, i fratelli e le sorelle. Ma poi padre e madre erano morti e la roba se l'erano divisi fratelli e sorelle. Testamenti falsificati, si è detto, bisogno di perizie di grafie, denunce, la donna aveva solo pianto e non aveva denunciato. E così lei, la donna tradita, alla fine era dovuta andare in giornata, e ogni giorno passava davanti alle case che non possedeva più, in mezzo alle terre che non possedeva, e ci passava per andare in giornata da altri.. Ogni giorno il cosmo le chiedeva di perdonare i suoi fratelli. La donna tradita che volevo narrare aveva perdonato, era una donna che non insultava mai nessuno, che non si lamentava mai, che se poteva dava una mano ai più bisognosi di lei, una donna che lavava le lenzuola dei poveri e faceva le iniezioni ai malati.
Questa storia non l'ho scritta, troppe volte avrei calcato la mano sulla tastiera, troppe volte avrei dovuto cambiar tastiera.
Ho finito per scrivere un romanzo sulla Resistenza e su un territorio pubblico regalato a un monopolio, a un cartello, a una scatola cinese. Storie di ingiustizie come quella della donna tradita. Ecco che alla fine avevo lo stesso la mia storia di tradimenti. Ma una donna. Ecco cosa mancava ancora alla storia che avevo scritto. Un giorno, mentre leggevo un blog che seguo quotidianamente, ImperiaParla, un posto dove si respira il salino delle mie spiagge, lessi di una donna che durante la guerra civile aveva fatto la spia, era successo in montagna, questa donna aveva ascoltato, visto e annotato e quand'era tornata coi suoi, nelle questure e nei covi saloini, la Resistenza aveva subito duri colpi, nascondigli scoperti, imboscate, esecuzioni. Lei partecipava alle punizioni, ma tornava nell'entroterra con un cappuccio in testa. La chiamavano la donna velata. Era la donna che serviva alla mia storia.

(Da: New Magazine Imperia - marzo/aprile 2009)



Marino Magliani
La Tana degli Alberibelli
Longanesi 2009