Isabelle Huppert in Madame Bovary di Claude Chabrol
Nella società consumistica regna incontrastato il culto del nuovo. Questo vale anche per la letteratura. Chi legge più i classici? Eppure nulla è più attuale di un classico e Madame Bovary non fa certo eccezione.
Armida Lavagna
Se il romanticismo è un artificio letterario anche nell'epoca dei microchip
Emma Bovary da personaggio letterario è diventata icona di un modo di vivere la vita, o meglio di non viverla: piuttosto di misurarla, trovandola costantemente inadeguata al “modello” ideale che pretende di riscontrare nella realtà quotidiana, senz’altro risultato che la delusione e il disinganno. Semplicemente perché è impossibile. Perché lo iato tra letteratura e vita, tra sogno e realtà è incolmabile.
E’ questo che la condanna prima all’insoddisfazione, poi all’infelicità: considerare realizzabile l’amore passionale ed eterno dei romanzi, la vita eccezionale, priva di noia e abitudine, degli eroi letterari. In fondo, un inganno non dissimile da quello che secondo Dante condusse alla perdizione Francesca da Rimini, abilissima nell’esporre i principi dell’amor cortese da lei drammaticamente traslati dalla letteratura alla vita e subiti alle estreme conseguenze.
Se dell’amor cortese di Francesca è percepibile con immediatezza dal lettore moderno il carattere astratto e letterario, a causa dei suoi “codici” per alcuni versi lontani da quelli contemporanei, per l’idea dell’amore e della vita che Emma incarna il discorso è diverso.
Di bovarismo ci si può scoprire facilmente malati, salvo negarlo subito con un guizzo d’ironia a nascondere il timore che serpeggia immediato davanti a quella minacciosa diagnosi. Malati magari in forma lieve, o transitoria. Come le annoiate telespettatrici delle soap-opera figlie e nipoti di Dallas e Dinasty. Come le folle di ragazzi e ragazze affetti da sindrome dell’Isola dei famosi.
La confusione tra reale e virtuale, nel campo delle relazioni e dei sentimenti viene spesso proposta come tutta contemporanea, generata dalle più recenti “conquiste” tecnologiche. E invece no.
Quale opera più attuale di questa, la cui protagonista giunge alla rovina e al suicidio proprio per non aver saputo adattarsi alla vita reale, inseguendone una letta sui libri (antenati remoti di internet come trampolino per gli esseri umani verso la comunicazione più profonda o la solitudine più incurabile), intravista nel mondo reale solo come un miraggio effimero, un’illusione dolce che si fa amara, una promessa di avventura che si risolve in inganno, o in stanchezza, o in fuga, senza mai appagare il cuore e l’anima?
Emma non si può amare, in lei non ci può immedesimare, perché la si teme. Si può compatire, si è tentati di disprezzarla, di meravigliarsi della sua ottusità e della sua ostinazione, della sua incostanza e del suo profondo, insanabile egoismo. La sua morte non ci commuove.
Perché Emma è un personaggio scomodo. Ci costringe a vedere le conseguenze di ciò che accadrebbe a sognare troppo, a fuggire a priori schemi e convenzioni, a cedere alla tentazione di pensare più a se stessi che alle persone accanto alle quali viviamo. L’eroina più imbevuta di romanticismo della storia della letteratura ci svela impietosamente – finendone vittima - che il romanticismo è un artificio letterario. Ci scaraventa nella stagione cruda del realismo e del naturalismo. Nella realtà, quell’idea di amore è destinata al fallimento: per logorio, per disillusione, perché nato da una frode, perché per sua natura inconciliabile con una durata diversa da quella di un sogno, di un’avventura, della lettura di un romanzo.
E noi, seduti di fronte a un seducente schermo televisivo o appesi a inconsistenti relazioni parallele in formato elettronico, nel secolo che sta assistendo alla crisi dell’istituzione del matrimonio, all’erosione del concetto storico di famiglia, all’assottigliarsi implacabile del numero medio di anni della durata di una relazione di coppia, proprio non vorremmo sentircelo dire. Per non scoprire che questo romanzo è attuale, che il contrasto tra reale e virtuale non è nato con i microchip. Per non scoprire con disappunto che Emma è stata in fondo una donna temeraria quanto ingenua, implacabile sicofante del perbenismo vuoto di un’intera epoca e società, spietata rivelatrice del carattere ipocrita del matrimonio borghese ma anche – inconsapevolmente – del carattere fatalmente illusorio dell’amore romantico.
Emma non si può amare, in lei non ci può immedesimare, perché la si teme. Si può compatire, si è tentati di disprezzarla, di meravigliarsi della sua ottusità e della sua ostinazione, della sua incostanza e del suo profondo, insanabile egoismo. La sua morte non ci commuove.
Perché Emma è un personaggio scomodo. Ci costringe a vedere le conseguenze di ciò che accadrebbe a sognare troppo, a fuggire a priori schemi e convenzioni, a cedere alla tentazione di pensare più a se stessi che alle persone accanto alle quali viviamo. L’eroina più imbevuta di romanticismo della storia della letteratura ci svela impietosamente – finendone vittima - che il romanticismo è un artificio letterario. Ci scaraventa nella stagione cruda del realismo e del naturalismo. Nella realtà, quell’idea di amore è destinata al fallimento: per logorio, per disillusione, perché nato da una frode, perché per sua natura inconciliabile con una durata diversa da quella di un sogno, di un’avventura, della lettura di un romanzo.
E noi, seduti di fronte a un seducente schermo televisivo o appesi a inconsistenti relazioni parallele in formato elettronico, nel secolo che sta assistendo alla crisi dell’istituzione del matrimonio, all’erosione del concetto storico di famiglia, all’assottigliarsi implacabile del numero medio di anni della durata di una relazione di coppia, proprio non vorremmo sentircelo dire. Per non scoprire che questo romanzo è attuale, che il contrasto tra reale e virtuale non è nato con i microchip. Per non scoprire con disappunto che Emma è stata in fondo una donna temeraria quanto ingenua, implacabile sicofante del perbenismo vuoto di un’intera epoca e società, spietata rivelatrice del carattere ipocrita del matrimonio borghese ma anche – inconsapevolmente – del carattere fatalmente illusorio dell’amore romantico.