TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 26 luglio 2011

Giovanni Boine: un autore da riscoprire



Un grande dimenticato della letteratura del Novecento, un autore da riscoprire.

Claudio Magris

Perchè dobbiamo riscoprire Boine

«Mi fermò per via chiamandomi a nome, col mio nome di ieri. Ora cos' è questo spettro che torna (l' ieri nell' oggi) e questa immobile tomba del nome?» Questa fulminea epifania è il terzo dei Frantumi di Giovanni Boine, pubblicati nel 1915 sulla rivista La Riviera ligure, e sembra rivelare l' assurdità dell' io e della sua continuità nel tempo, irrigidita e convenzionale come un nome inciso su una lapide.

Ma Boine - genio precoce e precocemente scomparso, nel 1917, a trent' anni - non cede affatto, come tanti suoi contemporanei, all' angosciosa e fascinosa dissoluzione dell' io in frammenti discontinui. Un altro dei Frantumi dice: «Difendo il dovere che l' ieri m' assegna, come l' assalito la casa un fisso dovere nel mareggiar dell' arbitrio! Ragiono ogni mio atto timoniere alla ruota».

La statura di Boine - uno dei veri, pochi grandi del nostro Novecento, oggi poco conosciuto forse perché così poco consumabile - deriva dall' asciutta forza, morale e poetica, con la quale egli ha affrontato la contraddizione fra la Vita - selvaggiamente anarchica e assetata di passione individuale e insieme universale, in entrambi i casi travolgente le piccole frontiere dell' individualità - e la legge (il Codice, come egli dice) il limitato ma protettivo e anch' esso sacro ordine quotidiano, con i valori trasmessi da chi ci ha preceduto e da chi condivide il nostro destino.

Vicino a La Voce e amico di Papini, Prezzolini e Soffici ma non perciò meno duramente critico nei loro confronti e nei confronti della rivista stessa, Boine partecipa al fervore morale di quegli anni di rinnovamento - per parafrasare il titolo di un' altra rivista fondamentale cui collaborò - e di quella generazione e ne condivide alcune tendenze stilistiche al poema in prosa. Ma egli si distingue da quel gruppo per una maturità - forse dovuta al suo cattolicesimo sofferto ma classico - che lo preserva dalle puerili, facili e talora becere intemperanze di Papini o di Soffici e anche dall' acerbo del Mio Carso che Slataper supera soltanto con quel capolavoro postumo che è il saggio su Ibsen.

Boine è morto giovane, di tisi, ma la sua opera ha una saldezza - e una sostanziale compiutezza, nonostante molti testi inconclusi - che ha poco in comune col facile e suggestivo alone di immaturità che spesso avvolge l' artista morto giovane e caro agli dei. Boine è un vero poeta; c' è in lui - direbbe Saba - il bambino che si stupisce delle cose e ne piange, ma c' è anche l' adulto che domina lo smarrimento e il pianto e dà loro dura forma.

La sua creatività pervade pure quegli straordinari, spesso brevissismi studi critici raccolti sotto il titolo Plausi e botte, in cui l' inequivocabile giudizio personale si unisce a una classica, equanime oggettività e ad una potenza espressiva che fa di quel libro anche e soprattutto un libro di letteratura e non solo sulla letteratura. Boine penetra nelle pieghe essenziali e più nascoste dei testi, smascherando la falsità celata negli atteggiamenti anche apparentemente più sinceri e immediati. Quando Soffici pur da lui anche ammirato, si abbandona alle sue sferzate sugli italiani, convinto come i suoi lettori di dar voce a schietti e originali sentimenti morali, Boine ne svela subito il carattere artefatto e programmato: « questi giudizi scommetto che pensava degli italiani così anche prima col che poi non dico che la pensasse male. C' è gente che ha il solo torto d' aver sempre ragione a priori; e c' è gente che nasce per inquisire, prima di saper se da inquisire c' è. Ma c' è da inquisire, c' è ».




Tra le sue varie prose narrative spicca quel vero, piccolo capolavoro che è il romanzo Il peccato, storia di un amore fra il narratore-protagonista (geniale ed ambiguo punto di vista narrativo, messo in evidenza da Davide Puccini in un eccellente studio) e una suora; un breve romanzo che per l' originalità della prospettiva e l' asciutta, ardente delicatezza interiore della vicenda può osare il confronto con i sommi precedenti di Manzoni o di Diderot. L' anarchia e insieme l' ordine del Cattolicesimo - sostanza del pensiero e della visione del mondo di Boine, i cui interessi religiosi vanno dai mistici al rapporto contraddittorio col Modernismo al senso profondo della tradizione - pervadono il romanzo e ne diventano la sostanza poetica, l' acume psicologico e la tensione drammatica. Non a caso il romanzo è più debole - forse per mancanza di rifinitura - nella parte finale, nella rappresentazione dello sbocco felice della vicenda, incerta e poco convincente perché troppo facilmente conciliata.

Il peccato è una grande opera perché cala in una storia concreta di vita e di amore quella contraddizione fra legge del cuore (peccato?) e legge oggettiva che percorre come un filo rosso tutta l' opera di Boine - anche grandi saggi dedicati a questioni filosofiche e a problemi politici - e ne costituisce, oggi più che mai, la sorprendente attualità. La risposta di Boine a questa contraddizione è una risposta dura. Il «peccato» che infrange la continuità della concreta tradizione vissuta - sia esso una trasgressione passionale o una visione universale, entrambe rivoluzionarie e negatrici dell' ordine limitato in cui vivono le società e i loro valori - non viene represso ma tanto meno giustificato in nome delle facili e retoriche ragioni del cuore, passionali o umanitarie esse siano. Il «peccato» si inserisce a sua volta in quel codice che esso viola; è uno dei tanti elementi - ribelli o conservatori - il cui incrociarsi, scontrarsi e fondersi contribuisce a costruire, anche modificandoli, gli argini di quell' ordine e di quel codice. È difficile dire se per Boine - e per noi - ciò sia un conforto o uno sgomento. Certamente è un tema oggi più che mai essenziale, nella vertigine di ordini e disordini in cui viviamo; un tema che un grande frammentario scrittore di cent' anni fa sa far diventare non solo pensiero e idea, ma anche e soprattutto carne e sangue.

(Da: Il Corriere della Sera del 14 luglio 2008)