TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 1 ottobre 2019

Storia popolare della rivoluzione cubana 2. Il giovane Fidel




Seconda parte della nostra piccola storia popolare della rivoluzione cubana (uscita nel 1995), in cui si tratta della gioventù di Fidel Castro, della fallita insurrezione del 1953 e del processo che ne seguì.


Giorgio Amico

Storia popolare della rivoluzione cubana

2. IL GIOVANE FIDEL

Figlio di un piantatore di canna da zucchero della provincia di Oriente, laureatosi in legge all' Università della Avana, dove si era messo in mostra come il principale leader della organizzazione degli studenti democratici, sul finire degli anni Quaranta Fidel Castro aveva intrapreso la libera professione, assumendo, spesso gratuitamente, il patrocinio legale di operai, contadini e prigionieri politici. Il coraggio e l'assoluto disinteresse personale dimostrato in un mondo politico caratterizzato dalla più bieca viltà e corruzione, lo avevano in breve tempo imposto all'ammirazione degli elementi più avanzati della gioventù democratica e nazionalista. Attorno a lui si era così venuta creando una rete di compagni e di cellule che, pur non avendo ancora un programma politico né una forma organizzata, aveva tuttavia assunto le caratteristiche tipiche di un movimento cospirativo. E in effetti Fidel Castro fu il primo a comprendere che l'intero quadro politico era ormai radicalmente cambiato e che nella nuova fase aperta dal colpo di stato militare occorreva far fare al movimento democratico un salto di qualità. Se fino al marzo 1952 si trattava di restaurare pienamente la democrazia parlamentare, ora diveniva necessario rovesciare con le armi la dittatura militare. Sentiamo la sua testimonianza:

" Cominciai a pensare a restaurare la situazione anteriore e a unire tutti per liquidare quella cosa infame e reazionaria che era il golpe di Batista. Cominciai a organizzare personalmente i militanti poveri e battaglieri della gioventù ortodossa ed entrai in contatto con alcuni leaders di quel partito che si dicevano favorevoli alla lotta armata. Ero convinto della necessità di sconfiggere Batista con le armi per poter tornare alla situazione anteriore, al regime costituzionale (...) In poche settimane organizzai i primi combattenti e le prime cellule. Installammo stazioni radio clandestine e diffondemmo un piccolo giornale ciclostilato. Avemmo dei problemi con la polizia, che in seguito ci servirono da esperienza; da allora in poi, infatti, adottammo metodi estremamente cauti nella selezione e nell'organizzazione settoriale dei compagni". (1)

Dopo un anno di intensa attività cospirativa, l'organizzazione di Fidel poteva contare su circa duecento giovani militanti, in prevalenza studenti ed operai, pronti a mettere in gioco la propria vita in un'impresa quasi disperata: la presa della Caserma Moncada, alla periferia di Santiago.

L'ASSALTO ALLA CASERMA MONCADA

La presa del Cuartel Moncada, per importanza strategica la seconda base militare dell'isola, avrebbe dato il segnale d'avvio dell'insurrezione destinata a spazzare via la tirannia di Batista. Il piano, accuratamente predisposto da Fidel, che stava per compiere 27 anni, da suo fratello Raúl di 22, da Abel Santamaría e Jesús Montané Oropesa,(2) prevedeva l'attacco di sorpresa alla caserma, la cattura dei mille uomini della guarnigione, l'occupazione delle stazioni radio e il lancio di un appello al popolo cubano perché si unisse agli insorti. Mentre il grosso dei ribelli avrebbe attaccato il Moncada, un secondo gruppo di una trentina di uomini sarebbe andato all'assalto del presidio di Bayamo, importante nodo strategico sulla strada che collega Santiago con il resto dell'isola. Nonostante il grande divario di forze, l'impresa poteva avere buone possibilità di riuscita a condizione però di poter contare sul fattore sorpresa. Alle cinque della mattina del 26 luglio 1953 i rivoltosi partirono alla volta degli obiettivi assegnati. Prima ascoltarono un breve discorso di Fidel:

"Fra poco - egli disse - sapremo se saremo vincitori o vinti. Se saremo vincitori, avremo realizzato le aspirazioni di José Martí. (3) Se saremo vinti, la nostra azione servirà da esempio al popolo di Cuba e sarà ripresa da altri. In ogni modo il movimento trionferà". (4)

L'attacco, pur condotto con grande eroismo, si rivelò fin dalle prime battute un disastro. Dei tre gruppi che dovevano impadronirsi della caserma di Bayamo, due furono subito quasi interamente sterminati. Il terzo riuscì a entrare nella caserma, ma fu sopraffatto dalla guarnigione. Anche a Santiago l'effetto sorpresa andò subito perduto. Per difficoltà intercorse nell'attraversamento della città solo la metà dei novantacinque uomini che dovevano impadronirsi della caserma, si trovarono sul posto al momento dell'attacco. Così Fidel ricostruisce l'azione:

"Eravamo circa 120 uomini. Un gruppo occupò alcuni edifici, come quello del Tribunale che dominava un angolo della caserma; altri occuparono le case sul retro della caserma e il nostro gruppo puntò verso l'ingresso principale per fare irruzione sul davanti. Io mi trovavo nella seconda macchina. La sparatoria cominciò al mio fianco, quando incrociammo una pattuglia di ronda (...) Avendo incontrato quella pattuglia, la battaglia si sviluppò fuori della caserma e non dentro, come era stato previsto. I soldati furono messi in guardia, erano oltre mille uomini, e noi perdemmo il fattore sorpresa e il nostro piano fallì". (5)

Fallita la sorpresa, gli insorti, costretti a battersi contro un nemico soverchiante, dovettero ritirarsi. I soldati circondarono l'ospedale, occupato dal gruppo di Abel Santamaría e dopo un aspro combattimento catturarono tutti i 21 combattenti, fra cui due donne. Quasi tutti furono assassinati subito dopo feroci torture. A Abel, prima di ucciderlo, strapparono gli occhi. In tutta l'isola venne scatenata una gigantesca caccia all'uomo per catturare Fidel e gli altri superstiti dell'attacco. Uno dopo l'altro gran parte dei ribelli vennero catturati. Molti di essi furono assassinati sul posto. In tutto i caduti furono settanta. Il 29 luglio venne arrestato Raúl Castro, il 1 agosto fu la volta di Fidel, catturato mentre con alcuni compagni tentava di raggiungere le montagne della Sierra Maestra. La pressione di un'opinione pubblica disgustata dalla brutalità dell'esercito e l'intervento dell'arcivescovo di Santiago valsero a fermare la carneficina. Fidel e i suoi compagni furono sottratti alla ferocia della soldataglia e affidati alle autorità civili.Rinchiuso nel carcere di Boniato, in attesa di processo di fronte al tribunale di Santiago per aver organizzato e diretto l'assalto alla caserma Moncada, Fidel divenne famoso in tutta Cuba e il leader riconosciuto dell'opposizione alla odiata tirannia di Batista. Grande impressione destò nell'opinione pubblica cubana, anche nella componente più moderata, il coraggioso atteggiamento tenuto dal giovane avvocato durante il processo. Nonostante fosse in pericolo di vita, si seppe poi che lo stesso Batista aveva ordinato il suo assassinio in carcere, Fidel Castro trasformò il processo in una tribuna da cui accusare la dittatura per i crimini commessi contro il popolo cubano e i patrioti insorti.

LA STORIA MI ASSOLVERA'

Il 21 settembre 1953 presso la Corte di giustizia di Santiago si aprì il processo contro 122 imputati, accusati di insurrezione contro i poteri dello Stato. Orgogliosamente Fidel, che in quanto avvocato aveva rifiutato il patrocinio legale per difendersi da solo, rivendicò la legittimità dell'attacco, affermando che i ribelli avevano il diritto di tentare di rovesciare Batista proprio in nome della Patria e della Costituzione. Invitato a rivelare i nomi degli ispiratori della rivolta, con estrema dignità dichiarò ai giudici:

"Il solo autore morale di questa rivoluzione è José Martí, l'apostolo della nostra indipendenza". (6)

Di fronte a questo atteggiamento irriducibile che trasformava il dibattimento in un processo alla dittatura e all'imperialismo, il governo cercò in ogni modo di impedirgli di prendere la parola. Fidel, costretto ad un regime di rigido isolamento carcerario, fu fisicamente impedito di partecipare al processo. La sua posizione fu stralciata e il nuovo dibattimento si tenne il 16 ottobre. Il processo si svolse a porte chiuse e fu consentita solo la presenza di alcuni giornalisti che non poterono pubblicare nulla a causa della censura. Fidel Castro fu condannato a quindici anni di carcere. In quell'occasione egli parlò per due ore a sua difesa, pronunciando un discorso destinato a diventare il manifesto della rivoluzione cubana. Pacatamente, quasi a bassa voce, Fidel Castro espose le ragioni politiche e sociali che rendevano storicamente irreversibile la via rivoluzionaria:

"...Caso insolito, quello che si stava verificando, signori magistrati: un regime che aveva paura di presentare un imputato davanti ai tribunali; un regime di terrore e di sangue che si spaventava davanti alla convinzione morale di un uomo indifeso, disarmato, isolato e calunniato. Così, dopo avermi privato di tutto, mi si privava infine del processo nel quale ero il principale imputato (...)

Vi ricordo che le vostre leggi di procedura stabiliscono che il processo è "orale e pubblico"; nonostante questo, si è completamente impedito al popolo di assistere a questa udienza. Si sono lasciati passare solo due legali e sei giornalisti sui cui giornali la censura non permetterà di pubblicare una sola parola. Noto che quale unico pubblico, nelle sale e nei corridoi, ho un centinaio fra soldati e ufficiali. Grazie per la seria e cortese attenzione che mi si sta prestando ! Magari avessi davanti a me tutto l'Esercito ! Io so che un giorno brucerà dal desiderio di lavare la macchia terribile di vergogna e di sangue che hanno gettato sull'uniforme militare le ambizioni di un gruppetto senza coscienza... Da parte del governo si è ripetuto con molta enfasi che il popolo non assecondò il movimento. Non avevo mai sentito un'affermazione così ingenua e, nello stesso tempo, così piena di malafede. Si vuole in questo modo evidenziare la sottomissione e la pusillanimità del popolo; manca poco a che si dica che esso appoggia la dittatura (...)

Non è mai stata nostra intenzione combattere contro i soldati della caserma: contavamo piuttosto, approfittando della sorpresa, di impossessarci del suo controllo e di quello delle armi, di lanciare un appello al popolo, quindi riunire i militari e invitarli ad abbandonare l'odiosa bandiera della tirannia e ad abbracciare quella della libertà; a difendere i grandi interessi della nazione e non i meschini interessi di una cricca di persone; a girare le armi e a sparare contro i nemici del popolo e non contro il popolo in cui si trovano i loro figli e i loro genitori (...) 

Le nostre possibilità di successo si fondavano su ragioni di ordine tecnico e militare e di ordine sociale. Si è voluto creare il mito delle armi moderne quale presupposto di qualsiasi impossibilità di lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia... Nessuna arma, nessuna forza è capace di vincere su un popolo che si decida a lottare per i propri diritti...

Ho detto che la seconda ragione sulla quale si basava la nostra possibilità di successo era di ordine sociale. Perché avevamo la sicurezza di poter contare sul popolo ? Quando parliamo di popolo non consideriamo tale quei settori agiati e conservatori della nazione ai quali sta bene qualsiasi regime di oppressione, qualsiasi dittatura, qualsiasi dispotismo, i quali si prostrano davanti al padrone di turno fino a spaccarsi la fronte al suolo. Consideriamo popolo, quando parliamo di lotta, la grande massa irredenta cui tutti promettono e che tutti ingannano e tradiscono, quella che anela a una patria migliore, più degna e più giusta; quella che è mossa da ansie ancestrali di giustizia per aver sofferto l'ingiustizia e lo scherno generazione dopo generazione; quella che aspira a grandi e sagge trasformazioni in ogni ordine e che per riuscirci è disposta, allorquando crede a qualcosa e in qualcuno, soprattutto quando crede in se stessa, a dare fino all'ultima goccia di sangue. La condizione primaria della sincerità e della buona fede in un proposito è di fare, appunto, quello che nessuno fa, vale a dire, di parlare con tutta franchezza e senza paura (...)

I rivoluzionari devono proclamare le loro idee coraggiosamente, definire i loro principi ed esprimere le loro intenzioni perché non si inganni nessuno, né amici né nemici. Noi chiamiamo popolo, quando si parla di lotta, quei seicentomila cubani che sono senza lavoro e che desiderano guadagnarsi il pane onestamente senza dover emigrare dalla propria patria alla ricerca di sostentamento; quei cinquecentomila braccianti che vivono nei miseri bohios (7), che lavorano quattro mesi all'anno e che per il resto soffrono la fame e spartiscono la miseria con i figli, che non hanno neanche un fazzoletto di terra su cui seminare... quei quattrocentomila lavoratori dell'industria e quei manovali le cui pensioni, tutte, vengono defalcate, le cui conquiste vengono strappate, le cui abitazioni sono le stanze infernali delle cuarterias (8), i cui salari passano dalle mani del padrone a quelle dello strozzino e il cui futuro è la riduzione del salario e il licenziamento, la cui vita è il lavoro perenne e il cui riposo è la tomba; quei centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non è loro... che devono pagare i loro appezzamenti, come servi della gleba, con una parte del loro prodotto, che coltivano una terra che non possono amare, né migliorare, né abbellire... perché non sanno qual'è il giorno in cui verrà l'ufficiale giudiziario con la guardia rurale a dire loro che devono andarsene... Questo è il popolo, quello che patisce tutte le avversità ed è pertanto capace di combattere con estremo coraggio (...) 

Il problema della terra, il problema dell'industrializzazione, il problema della casa, il problema della disoccupazione, il problema dell'educazione e il problema della salute del popolo; ecco in concreto i sei punti alla cui soluzione sarebbero stati indirizzati risolutamente i nostri sforzi, unitamente alla conquista delle libertà civili e della democrazia politica... Il futuro della nazione e la soluzione dei suoi problemi non possono continuare a dipendere dall'interesse egoista di una decina di finanzieri, dai freddi calcoli sui profitti che dieci o dodici magnati progettano nei loro uffici con l'aria condizionata... I problemi della repubblica troveranno una soluzione solo se ci dedichiamo a lottare per essa con la stessa energia, rettitudine e patriottismo che le dedicarono i nostri liberatori per crearla... 

Un governo rivoluzionario con l'appoggio del popolo e la stima della nazione, dopo aver ripulito le istituzioni dai funzionari venali e corrotti, procederebbe immediatamente all'industrializzazione del paese... dopo aver sistemato sulle loro parcelle di terra nella veste di padroni i centomila piccoli agricoltori che oggi pagano i canoni, procederebbe a risolvere definitivamente il problema della terra...Un governo rivoluzionario risolverebbe il problema della casa riducendo drasticamente i canoni del cinquanta per cento, esentando da ogni tributo le case abitate dai loro proprietari, triplicando le imposte sulle case affittate, demolendo le infernali cuarterias per innalzare al loro posto edifici moderni e finanziando la costruzione di abitazioni in tutta l'isola....Infine, un governo rivoluzionario procederebbe alla riforma integrale dell'istruzione (...) 

"Un popolo istruito sarà sempre forte e libero"... No, questo non è inconcepibile. Quello che è inconcepibile è che ci siano uomini che vanno a dormire con fame mentre c'è anche un solo metro di terra incolta; quello che è inconcepibile è che il trenta per cento dei nostri contadini non sappia firmare... A coloro che per queste cose mi chiamano sognatore, dico come Martí: "Il vero uomo non guarda da quale parte si vive meglio, ma da quale parte si trova il dovere... ed è questo l'unico uomo pratico il cui sogno di oggi sarà la legge di domani" (...) 

Concludo la mia difesa, ma non lo farò come fanno sempre tutti gli avvocati chiedendo la libertà del patrocinato; non posso chiederla quando i miei compagni stanno patendo un'ignominiosa prigionia nell'Isola dei Pini. Mandatemi assieme a loro a condividere la loro sorte; è più concepibile che gli uomini onorati vengano uccisi o fatti prigionieri in una repubblica dove come presidente c'è un ladro criminale... In quanto a me, so che il carcere sarà duro come non lo è mai stato per nessuno, gravido di minacce, di vile e codardo accanimento, ma non lo temo, come con temo la furia del tiranno miserabile che strappò la vita a settanta fratelli miei. Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà". (9)

NOTE:

  1. Frei Betto, op. cit. , pag.133
  2. Abel Santamaria, studente, comandante in seconda dell'assalto al Moncada. Catturato dai soldati, fu assassinato dopo feroci torture. Jesús Montané Oropesa, impiegato, dopo l'assalto al Moncada e la successiva aministia raggiunse Fidel in Messico. Membro della Direzione nazionale del movimento 26 Luglio, venne catturato subito dopo lo sbarco e trasferito all'Isola dei Pini dove trascorse tutto il periodo della guerra rivoluzionaria. Dopo la rivoluzione rivestì la carica di direttore delle carceri e poi di ministro delle comunicazioni. Membro del Comitato Centrale del PCC.
  3. Scrittore e poeta. Padre dell'indipendenza cubana, caduto in combattimento contro gli spagnoli nel 1895. In italiano è da poco apparsa la traduzione di: Vitier-Fernández Retamar, Martí, Roma 1995.
  4. S. Tutino, L'Ottobre cubano, Torino 1968, pag. 203.
  5. Frei Betto, op. cit., pp.139-140
  6. T. Szulc, Fidel, Milano 1989, pag. 212.
  7. Tipica abitazione dei contadini poveri, fatta con tavole di palma, tetto di foglie e pavimento di terra.
  8. Le cuarterias erano abitazioni popolari prive di servizi igienici e in grave stato di degrado, ubicate soprattutto alla periferia delle città.
  9. F. Castro, op.cit., pp. 22-80