Bordiga, il fascismo e la guerra (1926-1944)
Nella storia politica di Amadeo Bordiga, fondatore e primo capo del Partito comunista d’Italia, esiste un vuoto di quasi 15 anni, dal 1930 al 1944, di cui egli non parlò mai se non per accenni minimi. Dopo la lettera a Korsch del 28 ottobre 1926, nella produzione scritta di Bordiga esiste un vuoto totale, interrotto solo da alcune lettere del periodo del confino, e da una serie di lettere e memoriali per lo più di argomento privato inviate ad autorità di polizia negli anni ‘30. Lo testimonia lo scrupoloso studio bibliografico, l’unico finora esistente, curato nel 1995 da Arturo Peregalli e Sandro Saggioro. Nel volume, di ben 250 pagine, gli anni fra il 1926 e il 1945 occupano meno di tre pagine. Un vuoto destinato a durare fino alla primavera del 1945 e a segnare una frattura indelebile nella vita politica di Bordiga. Certo, nel dopoguerra egli riprende la parola e rivendica, come se nulla fosse stato, la piena continuità ideale e politica con la propria battaglia precedente il 1927. Ma è una forzatura e per un semplice motivo: non si può essere rivoluzionari a corrente alternata a seconda delle fasi politiche attraversate.
Il dovere di un rivoluzionario, è persino banale, è fare la rivoluzione e questo nei momenti storicamente più sfavorevoli significa non fughe in avanti avventuristiche, ma tenerne aperta la possibilità per il futuro con la penna e la parola. Questo fece Marx dopo il 1848, accingendosi allo studio scientifico dell’economia per comprendere il perché della sconfitta della rivoluzione, e Lenin con il suo enorme lavoro analitico-organizzativo negli anni intercorsi fra la sconfitta del 1905 e il 1917. Questo è ciò che, fra mille contraddizioni, fece Trotsky e che gli costò la vita per mano di un sicario staliniano inviato in Messico a impedirgli per sempre di pensare. Ma anche quello che tentò di fare, pur con un’estrema povertà di mezzi, il pugno di militanti internazionalisti italiani riuniti in Belgio e in Francia attorno a Ottorino Perrone. Per non parlare di Gramsci capace, giorno dopo giorno, nonostante l’isolamento politico e la malattia, di compilare quei Quaderni che restano quanto di meglio il marxismo seppe esprimere in quegli anni terribili.
Bordiga no, egli scelse il ritiro alla vita privata, il silenzio e l’inazione. A questo dovere rivoluzionario Bordiga abdicò proprio negli anni in cui più importante era tirare dei bilanci e condurre una lotta senza esclusione di colpi contro i totalitarismi gemelli del fascismo e dello stalinismo, manifestazioni entrambe della controrivoluzione in atto. Lo fece poi nel dopoguerra, e con risultati non disprezzabili, ma solo quando l’odiatissima democrazia gli permise di farlo in tutta tranquillità e senza alcun rischio. Negli anni bui della dittatura, in tempi di ferro e di fuoco, segnati dall’avvento del nazismo in Germania, dalla rivoluzione spagnola e dalla Seconda guerra mondiale, oltre che dalla liquidazione per mano staliniana dell’intera vecchia guardia bolscevica, la sua scelta fu quella di restare alla finestra e di mantenere un silenzio che qualcuno ha definito «impressionante».
Proprio a questi anni di ostinato silenzio pubblico, ma anche di imbarazzanti dichiarazioni private, è dedicato il libro “Bordiga, il fascismo e la guerra (1926-1944)”, appena finito di stampare per i tipi della Massari Editore, che sulla base di una larga mole di testimonianze e documenti, permette al lettore di farsi una opinione più precisa di quello che realmente accadde e di come il fondatore del Partito comunista si relazionò con il regime negli anni dell'apparente trionfo del fascismo e poi in quelli rovinosi della guerra.
A partire dalle prossime settimane il libro sarà ordinabile nelle librerie oltre che in rete. Può essere tuttavia già richiesto direttamente all'editore.