TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 17 settembre 2022

Castelvittorio e Pigna, alla ricerca del Canavesio e di Calvino. Pagine di diario.

 


Giorgio Amico


Castelvittorio e Pigna,  alla ricerca del Canavesio e di Calvino.
Pagine di diario.


Sarà la bellezza aspra dei luoghi o che lì affondiamo le nostre radici, ma in nessun altro luogo ci è capitato come nelle vallate dell'estremo Ponente ligure di sentire il richiamo archetipale della terra che fu dei padri. Lungo sarebbe l'elenco dei luoghi dove ci siamo sentiti a casa, come Ulisse nella sua Itaca ritrovata. Alcuni di questi luoghi negli anni sono cambiati. Snaturati dal turismo di massa, non li sentiamo più nostri. Affollatissimi, sembrano aver ripreso nuova vita, ma in realtà non hanno più anima né identità. Esiste purtroppo anche una chirurgia estetica dei luoghi che non elimina le rughe lasciate dal tempo, ma le utilizza trasformando il paesaggio, che da esperienza interiore, diventa cartolina o, peggio ancora, set da fiction televisiva.

Non è il caso dell'alta Val Nervia, di Pigna e Castelvittorio. Terra aspra, che pare chiusa al forestiero, ma che in realtà è pronta a concedersi a chi sappia coglierne la profonda bellezza. Ricordo sbiadito, ma ancora vivo, di tempi lontani in cui cuore dei liguri era la montagna e non la costa. I tempi delle vie del sale, dei pastori transumanti, dei pellegrinaggi annuali al Santuario di Nostra Signora del Laghetto quando le montagne non dividevano, ma univano e di cui resta l'eco in un dialetto che sa di Provenza.

Per Calvino, che la percorse tutta, prima ragazzo al seguito del padre agronomo e cacciatore, e poi da partigiano, una “terra di montagne coperte dai boschi fittissimi dove si nascondono i cinghiali”. 

Una terra attraversata da sentieri punteggiati da cappelle, chiesette, piloni, croci a proteggere il viandante dai pericoli del cammino, ma ancora di più a sancire la sacralità di quei luoghi dove un tempo il Signore delle vette manifestava la sua potenza dall'alto del Monte Bego con la tempesta e la folgore simboli terribili della presenza del numinoso nell'esistenza quotidiana degli uomini. E ancora più indietro, al tempo in cui su animali e piante regnava la Dea che nel potere vivificante delle fonti si mostrava Grande Madre. Un passato testimoniata ancora oggi dal santuario di Nostra Signora del Fontan, ma anche dalla implacabile caccia a chi nonostante lo scorrere del tempo e delle culture, continuava a tramandare ciò che la Dea aveva insegnato alle donne. Quelle herbarie, guaritrici e ostetriche, bruciate come streghe.

Terre aspre, di montagna, rifugio di eretici, catari e valdesi, a cui i Signori di Tenda offrivano riparo dai domenicani che dal grande convento di Taggia si partivano per dar loro una caccia spietata.

Fin qui, si è detto, saliva da Sanremo nei primi anni Trenta il giovane Calvino, seguendo il padre che, titolare di una cattedra ambulante di olivicoltura, veniva, lui scienziato insigne, ad istruire i contadini nei primi rudimenti di un'agricoltura moderna che non si risolvesse solo in fatica e scarno frutto.

Contadini tenaci, abbarbicati a fazzoletti di terra, strappati alla montagna con un lavoro di secoli e passati con orgoglio da padre in figlio, generazione dopo generazione. Pastori transumanti che scendevano dagli alti pascoli diretti al mare e finivano a svernare con le greggi sulla costa, lontano fino alla spiaggia di Spotorno.

Liguri di montagna, duri come la pietra, dai volti rugosi come gli ulivi, carichi di memoria come il Pietravecchia o il Toraggio, ma capaci di erigere chiese simili a gioielli di luce dove l'arte del Canavesio ancora ci colpisce con la sua forza visionaria. Lucente come la spada dell'Arcangelo Michele o magica come il grande fiore di pietra che adornano la facciata della Parrocchiale di Pigna.

Comunità libere di uomini liberi, ribelli per natura ad ogni forma di oppressione. “Chi canterà – scrive Calvino che in quelle valli combatté giovanissimo partigiano- la gloriosa popolazione di Castelvittorio, i vecchi cacciatori di cinghiali insorti alla difesa del loro paese, che resistettero con tanto valore?”.

Non saranno certo gli uomini a cantare questa canzone, lo sappiamo bene, ma il vento che soffia dal Toraggio e che di inverno porta la neve, assieme al canto degli uccelli e allo scrosciare dei torrenti che scendono a valle.

Luoghi magici dove la voce tonante del Signore delle vette e il canto armonioso della Dea ancora risuonano.

Savona, 1 ottobre 2016