TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 14 settembre 2022

Un rivoluzionario dimenticato. Michelangelo Pappalardi 9. Il distacco da Bordiga e l'avvicinamento a Korsch

 


Giorgio Amico

Un rivoluzionario dimenticato. Michelangelo Pappalardi 9


Il distacco da Bordiga e l'avvicinamento a Korsch

Da questo momento inizierà da parte di Pappalardi un graduale distacco dalle posizioni di Bordiga di cui fino ad allora era stato un fedelissimo seguace. Il rivoluzionario molisano ritiene che i partiti comunisti e l'Internazionale non siano più recuperabili ad una politica di classe rivoluzionaria. Occorre di conseguenza costituire gruppi autonomi nella prospettiva della creazione a breve termine di nuovi partiti comunisti collegati fra di loro a livello internazionale.

Su questa base egli va a intavolare una serrata discussione con Karl Korsch, esponente di punta della dissidenza tedesca. Non si tratta però di un dibattito a livello personale, ma di un confronto politico fra organizzazioni. Korsch dirige il gruppo «Entschiedene Linke» (Sinistra intransigente) che comprendeva circa 5000 militanti, mentre Pappalardi va a costituire con qualche decina di compagni, fra cui molti di quelli che avevano dato vita all'effimero tentativo del Comitato d'Intesa parigino, un «Gruppo autonomo comunista» che da Parigi si estenderà poi anche a Lione e Marsiglia. La notizia ovviamente non sfugge alle autorità italiane che tengono gli emigrati sotto stretto controllo. Il sette luglio 1926 l’Ambasciata fascista di Parigi comunica al Ministero dell’Interno che Pappalardi dirigeva, nella capitale francese, un «Gruppo autonomo comunista», non riconosciuto dal Partito”. La rottura con Bordiga si può dunque datare on una certa precisione a fine giugno, inizio luglio 1926.

Nel marzo 1928, nel quarto [in realtà il terzo] numero di «Le Réveil Communiste», Pappalardi espliciterà le motivazioni di fondo della rottura:

«Ci siamo trovati in presenza di un processo di decomposizione del Comintern, processo che fissa da una parte il carattere social-democratico e al tempo stesso reazionario della sua forma organizzativa, e dall'altra rivela l'impotenza dei suoi elementi leninisti, sia a rigenerare un organismo definitivamente liquidato dal punto di vista rivoluzionario, sia a dar vita a una nuova forma politica della lotta rivoluzionaria del proletariato internazionale. Abbiamo già esaminato allora le cause di questa decomposizione e di questa impotenza dei leninisti nel Comintern, e rimpiangiamo soltanto che il processo di rigenerazione della lotta rivoluzionaria avanzi assai lentamente e che non esista ancora una linea di carattere internazionale. D'altronde non abbiamo dubbi che ciò si svilupperà come una reazione dialettica a questa decomposizione del vecchio organismo degenerato e che ciò avverrà nella prossima fase della lotta delle classi. Perché, se questo non si realizzasse, se il proletariato non fosse capace di dare alla storia del suo movimento nuove forze rivoluzionarie, dovremmo dire che ci siamo sbagliati nella valutazione dialettica del movimento storico. Cosa impossibile, salvo negare la storia stessa e l'intero suo divenire. (…)

Dobbiamo allora rimarcare come questa preoccupazione di ridursi allo stato di una setta priva di prospettive, corrisponda assolutamente alla impostazione timorosa del problema da parte della frazione del compagno Bordiga. Questa preoccupazione di rimanere un numero ristretto di compagni validi, troppo limitato, per mantenere il contatto con la grande massa del proletariato conduce questo compagno a negare la necessità di formare dei gruppi di base finalizzati allo sviluppo di una frazione internazionale. Egli vorrebbe ad ogni costo restare dentro al Comintern per non abbandonare il terreno di massa. Non si deve dimenticare che questa concezione di Bordiga data dal 1925-1926. Sembra inoltre che per questo compagno la preoccupazione di restare all'interno del Comintern non fosse dovuta alla fiducia nella possibilità di rigenerazione di questo organismo, ma soprattutto dal timore dell'isolamento. Questa possibilità di rigenerazione era vista in ogni caso da lui come un elemento accessorio. Il compagno Bordiga non aveva fiducia nella costituzione di frazioni in quanto queste non avrebbero rappresentato altro che un tentativo di accelerazione artificiale della “rifioritura” delle forze rigenerative del movimento rivoluzionario . (…)

Ciò che si deve dire è che noi non ci trovammo d'accordo con il compagno Bordiga sul punto dell'attesa passiva degli avvenimenti che dovevano produrre spontaneamente lo sbocciare di nuove forze rivoluzionarie in seguito alla liquidazione pratica della politica centrista. Noi pensiamo innanzitutto che occorra inserirsi nel processo di questa liquidazione graduale come frazione aperta che denunzia al proletariato gli elementi, a volte invisibili, di questi sviluppi opportunisti. Ci teniamo molto a sottolineare questo disaccordo con il compagno Bordiga, soprattutto a fronte delle insinuazioni dei nostri bolscevizzatori italiani che hanno dichiarato che noi pretendiamo di rappresentare la pura linea bordighista. Noi non abbiamo mai concepito la nostra adesione alla linea bordighista come una sottomissione scolastica del nostro pensiero a questa linea.

(…) Noi abbiamo dunque, sono ormai due anni, sostenuto faccia a faccia con il compagno Bordiga la necessità della frazione aperta, perché sostenevamo che la bolscevizzazione aveva già compiuto il suo ruolo di socialdemocratizzazione del Comintern, e non vedevamo assolutamente alcuna possibilità di organizzare, sul terreno della disciplina di partito, una resistenza seria a partire dalla base del Comintern. Non temevamo allora, né temiamo oggi un isolamento provvisorio dalle masse. Questo isolamento che ci da il carattere di setta ( o sarebbe meglio dire, di piccolo gruppo, comunque estraneo a ogni forma di settarismo), non ci impedisce il contatto con il movimento reale della massa proletaria nella storia.»

È in questo periodo che, come testimonia Michel Roger, Pappalardi ha contatti con Pierre Naville che ne manterrà un ricordo positivo di uomo «assai fine, molto intelligente e capace di una conversazione gradevole». Contatti che avvengono nei locali della «libreria operaia» in Boulevard de Belleville a Parigi, gestita dai coniugi Proudhommeaux.

In quel momento il gruppo conta fra i 50 e i 60 membri, tutti operai, sparsi fra Parigi, Lione e Marsiglia.

Termina qui la pubblicazione delle bozze provvisorie della prima parte del lavoro su Michelangelo Pappalardi. Nella seconda parte, in via di completamento, viene ricostruita la storia tormentata del gruppo e dello stesso Pappalardi fino alla sua morte prematura nel 1940. Nel testo definitivo, oltre ad un ricco apparato di note omesso in questa presentazione, è compresa un'ampia raccolta degli articoli più significativi apparsi sulle riviste del gruppo. Le Réveil communiste e L'ouvrier communiste. La ricostruzione della storia, quasi sconosciuta, di Pappalardi, unico esponente italiano del comunismo dei consigli, rappresenta il completamento del mio vecchio libro su Karl Korsch del 2004 di cui è prevista per i prossimi mesi una nuova edizione a cura di Massari Editore. Pur mantenendo l'impostazione originaria, il testo è stato integralmente rivisto. Ma ne parleremo quando il libro sarà disponibile.