TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 11 settembre 2022

Un rivoluzionario dimenticato. Michelangelo Pappalardi 7 Il Congresso di Lione e il Comitato d'Intesa di Parigi

 


Giorgio Amico

Un rivoluzionario dimenticato. Michelangelo Pappalardi 7

Il Congresso di Lione e il Comitato d'Intesa di Parigi

Dunque tutto era rimandato allo svolgimento del congresso del Partito comunista italiano che definisse una volta per tutte con chiarezza la linea strategica e al contempo risolvesse la questione posta dall'esistenza di una corposa mnoranza che ancora si rifaceva alle posizioni da sempre sostenute da Bordiga. Il congresso si svolse in forma clandestina proprio in Francia, a Lione, dal venti al ventisei gennaio 1926. Il fatto è troppo noto per trattarne diffusamente anche in questa occasione.Ci limiteremo ad osservare come il congresso sancì la vittoria schiacciante del Centto gramsciamo sull'opposizione, nonostante il tentativo di questa di evitare che tutto si risolvesse in un pronunciamento a favore o contro Bordiga in quanto leader carismatico. Ottorino Perrone era intervenuto a rimarcare come la «Sinistra» non si riducesse alla sola persona di Bordiga, ma rappresentasse una linea strategica internazionale e non solo italiana, alternativa a quella della direzione del Comintern. Amadeo Bordiga era solo il compagno più dotato e dunque più in vista, ma la battaglia intrapresa dalla «Sinistra» sarebbe continuata a livello internazionale anche nel caso di un suo abbandono della lotta:

«E’ certo che Bordiga rappresenta tra noi, per le doti eccezionali del suo ingegno, il compagno che meglio formula le opinioni della sinistra, ma egli capeggerà questa corrente alla sola condizione che metta a profitto delle opinioni che ha tante volte espresso il suo ingegno, la sua volontà, il suo spirito di sacrificio. Se domani egli dovesse comunque cambiare parere, il problema della sinistra rimarrà ontegro e diventerà più difficile per il proletariato italiano la elaborazione delle sue esperienze rivoluzionarie, ma Bordiga sarà travolto ed il proletariato farà ugualmente le sue battaglie».

Perrone non poteva saperlo, ma il suo sarebbe stato un intervento profetico. Pochi anni più tardi, nel 1930, Bordiga si sarebbe ritirato completamente da ogni forma di azione politica rompendo drasticamente i rapporti con suoi seguaci all'estero che avrebbero però continuato nonostante tutto a lottare in suo nome con ostinazione e con coraggio.

Nel febbraio del 1926, all’indomani del congresso, Bordiga è uno sconfitto, di fatto ormai ai margini del partito. Il congresso ha dato il 90 % dei suffragi alla mozione della Centrale e solo il 9,2 % alla sinistra. Bordiga è riluttante, ma finisce per cedere alle insistenze di Gramsci ed entra, con Venegoni, a rappresentare la sinistra nel Comitato centrale. Il partito è retto da un Ufficio politico, composto solo di membri della maggioranza. I rappresentanti della sinistra, Bordiga e Venegoni, non hanno alcun incarico operativo né lo richiedono. Bordiga ha accettato di entrare nel Cc solo per non incrinare l’unità formale del partito, ma non intende in alcun modo collaborare alla direzione di un partito che considera ormai avviato sulla via dell’opportunismo. È quanto ha dichiarato a Lione, rifiutando recisamente ogni forma di collaborazione con la maggioranza radunata attorno a Gramsci: 

«Il gruppo che è stato artefice di questa politica […] noi lo consideriamo come rappresentante del disfattismo opportunista visibilmente avanzato nel partito del proletariato. Noi crediamo nostro dovere, giunti a questo punto […] di dire senza esitazioni e con completo senso di responsabilità questa grave cosa, che nessuna solidarietà potrà unirci a quegli uomini che abbiamo giudicato, indipendentemente dalle loro intenzioni e dai loro caratteri psicologici, come rappresentanti dell’ormai inevitabile prospettiva dell’inquinamento opportunista del nostro partito».

Sconfitto a Lione, Bordiga, per il quale la lotta non riguarda il solo partito italiano ma l'intero movimento comunista internazionale, intensifica i suoi rapporti con i compagni in Francia in vista del V Congresso del Pcf, in programma a Lille dal 20 al 27 giugno 1926. Agli inizi di febbraio con una lettera da Napoli ai compagni parigini Bordiga da indicazioni precise sulla situazione francese e come muoversi all'interno del Pcf:

«Dobbiamo approfittare delle attuali possibilità di parlare in Francia. La parte generale delle nostro tesi, ampiamente completate al congresso, e che vi farò avere potrà esservi utile. Bisogna poi pigliare posizione sui problemi francesi. Spero di avere modo di lavorare un poco per voi in questo senso. Sulle cose interne del partito francese sono giuste le critiche della destra, della R[évolution] P[proletarienne] e del B[ulletin] C[ommuniste], ma questi gruppi hanno il torto di farne la quistione di base, mentre dobbiamo evitare di porre alla base una quistione di carattere morale e procedurale. Del resto le critiche ai bolscevizzatori francesi, alla loro asinità disfattista e al loro livore di tirnnalli in sedicesimo è la stessa critica che va fatta ai centristi di tutti i partiti e in ultima analisi al metodo di lavoro artificiale ed erroneo della Comintern, di cui abbiamo parlato apertamente al congresso. Quanto alle basi politiche di quei gruppi: non possiamo che combattere apertamenti quelli della R[évolution] P[roletarienne] per l'errore tattico sindacalista, e quelli della destra perché preconizzano una tattica di fronte unito politico a tipo brandleriano cogli opportunisti. Dobbiamo però dire che una tale tesi in se stessa è logica, come logica è la nostra di opporci ad ogni manovra coi socialdemocratici e i loro partiti, mentre la più assurda è quella ufficiale che non sa definirsi e copre di frasi estremiste il vero pericolo opportunista: Souvarine e i destri compiono poi l'errore di far capire chiaramente che sono pronti a schierarsi con l'esecutivo di Mosca e a dichiararsi loro i veri leninisti, bolscevichi, etc. purché Mosca colpisca alcune persone e offra alcune garanzie: noi non possiamo contentarci di questo, e sosteniamo che la critica deve raggiungere ed investire Mosca e i suoi metodi. Più rettilinei sono a tal proposito quelli della R[évolution] P[proletarienne], a parte la loro piattaforma completamente errata. Bisogna lottare nel senso che la soluzione della quistione del P[artito] F[francese] non sia più cercata nei limiti della quistione “des postes” come sempre, e nell'avvicendamento di individui, gruppi...e coppie alla dirigenza. Si dve porla come una quistione di elevamento della capacità politica del partito, che è rimasta alla zero iniziale di quattro o cinque anni fa nella coscienza teorica, nella capacità di azione e in tutto. Questo è possibile solo se internazionalmente si rompesse il trucco della immobilizzazione bolscevizzatrice. Non è solo quistione di permettere un congresso in tutta democrazia, come chiede la destra. Questo significherà che Mosca permette aun nuovo gruppetto di fregare gli altri che ora sono caduti in disgrazia, cogli stessi loro sistemi. Naturalmente noi dobbiamo porre alcune tesi sulla situazione francese e i compiti del proletariato e del P[artito] C[omunista] soprattutto in ordine alle quist[ioni] sindacali. Un P[artito] C[omunista] deve avere eguale preparazione a lottare contro la tattica fascista e quella democratica della borghesia. In Francia è più pericolosa la seconda, sia per la situazione oggettiva, sia per le tradizioni dei difetti del partito. Il partito dve esere teoricamente rieducato in questo senso. La più assoluta indipendenza verso i partiti cartellisti e socialdemocratici deve essere assicurata. Le quistioni sindacali devono essere viste come quistioni che interessano il partito che interviene in esse senza preservativi. La situazione consente la formazione di un inquadramento sindacale serio del partito, ben più importante che le cellule, mentre la base organizzativa dovrebbe essere la territoriale, non però a scopi elettoralistici. Gli italiani devono essere contro i comitati antifascisti misti. Contro il fascismo francese il P[artito] C[omunista] deve mirare ad assumere la direzione esclusiva della lotta sul suo terreno e coi mezzi diretti, denunziando il pacifismo di ogni altro partito come il vero ossigeno al fascismo nascente. Mi pare giusto il dire che il fascismo in Francia non è maturo anche perché è mancata una vera grande minaccia rivoluzionaria nel dopoguerra. Bisogna illustrare per la Francia il gioco democrazia-fascismo in Italia visto da noi non come contrapposizione ma come necessaria preparazione e successiva dialettica: vedi nostre tesi».

Come si vede, è la riproposizione pura e semplice delle posizioni espresse al congresso di Lione con l'aggiunta dell'accenno alle particolari caratteristiche della situazione francese e dell'inesistenza in quella realtà di un effettivo pericolo fascista.

Proprio per permettere ai compagni in Francia di avere una migliore conoscenza di ciò che era avvenuto a Lione un rappresentante della sinistra italiana a Parigi fu convocato a Milano per la fine di marzo. Di questo viaggio Bruno Bibbi, il compagno incaricato della missione, ha lasciato una viva descrizione:

«In Francia costituimmo, a similitudine dei compagni d'Italia, un "Comitato d'Intesa" per mantenere i contatti con tutti i compagni della sinistra emigrati ed essere pronti a rispondere all'eventuale appello, che ormai ritenevamo inevitabile dai compagni italiani. Fu a questo punto che ricevemmo un invito a delegare un compagno a prendere contatti a Milano per avere un resoconto del III Congresso del partito che nel frattempo aveva avuto luogo a Lione, senza che alcun esponente della sinistra italiana in Francia, che pur tanto rappresentava oltre l'ottanta per cento di tutti i membri del partito sul posto, fosse stato delegato al congresso.

A Milano il nostro rappresentante, che al ritorno portò una copia della dichiarazione di Bordiga al Congresso di Lione, da voi pubblicata nell'apertura delle note sulla storia della Sinistra, ebbe una profonda delusione. Si attendeva che dietro le [notizie] pubblicate dal centrismo a proposito del Comitato d'Intesa si trovasse il comitato direttivo di una solida organizzazione che, malgrado gli sforzi del centrismo, riuscisse a controllare la maggior parte del partito; ma al posto di trovare una rete organizzativa di collegamento tra il Comitato d'Intesa e tutti i gruppi della sinistra sparsi attraverso l'Italia, trovò un vuoto ed una disorganizzazione completa. Di fronte alla sorpresa del nostro inviato il compagno Vercesi sorridente ci spiegò che tutto quello che aveva pubblicato la nostra stampa ed i rappresentanti ufficiali del neocentrismo era un bluff e che la funzione del Comitato d'Intesa alla sua costituzione era esclusivamente quella di regolare gli interventi dei compagni della Sinistra nella discussione precongressuale e che nessuno, tanto meno Amadeo pensava ad atti di forza o di rottura con il partito e con l'Internazionale [...]. Con obiettività i compagni italiani informarono i nostri rappresentanti che Repossi dissentiva dalla linea della maggioranza della sinistra ed aveva compilato una circolare per la rottura che aveva deposto personalmente al domicilio dei compagni della sinistra di Milano.

Al suo ritorno a Parigi il nostro compagno fece una estesa relazione dei colloqui di Milano e di fronte ai fatti reali la quasi totalità dei compagni accettò adeguandosi alla posizione dei compagni italiani. Fu in questo frangente che una mezza dozzina di compagni capeggiati da Pappalardi e da Rossi si ribellarono e ruppero con la sinistra italiana in modo definitivo e presero contatti con gli operaisti tedeschi e notoriamente con Korsch».

In realtà le cose andarono in maniera diversa e la ricostruzione di Bibbi anticipa di almeno un anno la spaccatura del gruppo italiano ad opera di Pappalardi.


7.Continua