"Kamikaze non si nasce. Forse si diventa.
E non e' vero che non importa come: importa sempre come.
Ma importa a pochi".
Un operaio
“(…) Ci sono vicende che accadono solo per essere conosciute. Perché altri le sappiano. E questo succede sia a vicende reali sia a vicende inventate. Quando qualcuno conosce queste vicende, senza accorgersene perde un pezzo di carne. Ma ne nasce subito un altro. Conoscere una di queste storie vuole dire rinnovare un pezzo della propria carne. Sono storie che hanno a che fare con la carne di chi le conosce nella misura in cui esistono per essere conosciute. Ecco. Questo è il senso: la carne. E' qualcosa di incomprensibile. Ma c'entra la carne. (…) Questa storia è una di un quelle lì, di quelle che c'entrano con la carne.
IN-EC-CESSO
Una bomba per cintura
luci
Simona Gallo
testo e recitazione
Marco Gobetti
direzione
Anna Delfina Arcostanzo, Simona Gallo, Marco Gobetti
Martedì 23 febbraio 2010 h 21
Cinema Teatro Ambra
Viale Brigata Ravenna 8 Alessandria
Le basi e l’urgenza del dire
Ad un secolo dalla conquista delle otto ore lavorative, è in atto nelle fabbriche una subdola rigenerazione degli atti di potere, di quel silenzioso e logorante mobbing che è il terrorismo psicologico fatto di sguardi, urla - o "non sguardi" e silenzi - e meccanicistiche disumanità. Atti di potere taciuti e sottovalutati, che l'ingresso dell'informatica nell'industria ha definitivamente offuscato, creando robot perfettamente mascherati: semidei imbellettati competenti e rassicuranti da una parte e uomini sani saggi tranquilli e felici dall'altra.
Oggi accade spesso che per gli operai, i pensieri e i sogni - nell'attimo stesso in cui nascono - si trasformino rispettivamente in peccati gravi ed illusioni.
Le fabbriche sono specchio fedele della società occidentale contemporanea, fiera dei suoi due fondamentali ingredienti:
- una classe dirigente spaccona impreparata ed arrancante, manovrata da uno stato maggiore furbo sprezzante e interessato;
- una cittadinanza licenziata da anestetici ora dolcissimi ora amarissimi, vittima e artefice del proprio inarrestabile precariato culturale.
Fra i due ingredienti un muro pesantissimo, reso perfettamente invisibile ad arte, da forze superiori molto terrene.
Occorre smettere di bere spettacolo e di dare spettacolo: urge diventare spettacolo, per ritornare ad esistere.
Recuperare passato e presente, per agire pacificamente ma intelligentemente. Lavorare non per sopravvivere, ma per vivere guadagnando futuro.
"E' opera di fantasia ma del tutto verosimile e alquanto sconvolgente questo curioso monologo di Marco Gobetti, attore ed autore che nel suo percorso dosa saggiamente esperienze in compagnia o in solitudine.
Queste ultime però sono sempre marcate da una strenua esigenza narrativa. Vuole raccontare, e lo sa fare bene, certe storie. Come questa di un operaio barricatosi nel cesso di una fabbrica, esasperato dal mobbing, vessato da innumerevoli grandi e minute violenze; ha un palmare e un cellulare, comunica con l'esterno tramite e-mail e qualche furente risposta a un telefonino dotato di buffa suoneria, che sdrammatizza, perché il contesto è tragico. Appiccicata al busto, il protagonista ha una cintura di esplosivi.
Si farà saltare in aria se la direzione non accetterà le sue richieste, che sono di poter andare a funghi qualche mattina, di avere insomma una vita più libera, scardinata dalla produzione. Quasi dialoga con il pubblico; su un palchetto rettangolare traccia limiti di carta igienica. Screzia di ironia un'attesa snervante, snocciolando un soliloquio di ottima fattura. "
Maura Sesia - La Repubblica, 15 settembre 2007