TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 5 gennaio 2022

La borghesia genovese e la tratta atlantica degli schiavi

 


Riprendiamo il tema già trattato del commercio degli schiavi nell'Atlantico, proponendo alcune pagine da “Marxismo negro. La formación de la tradición radical negra” di Cedric J. Robinson, in cui si dimostra come la tratta iniziò grazie agli ingenti investimenti di capitale da parte della borghesia genovese.*

La borghesia genovese e l'età della scoperta

Ancora più importanti di queste relazioni politiche, tuttavia, e più direttamente collegate al nostro interesse per i portoghesi come forza storica che pose le basi per la tratta degli schiavi dell'Atlantico, furono i mercanti e i banchieri di origine italiana stabiliti in Portogallo (e nei regni spagnoli) durante quel periodo. Anche se l'uso che Verlinden fa del termine "nazione" è figurativo piuttosto che politico, la sua valutazione del ruolo storico di quei capitalisti è utile:

l'Italia fu l'unica nazione veramente colonizzatrice durante il Medioevo. Dall'inizio delle crociate, Venezia, Pisa, Genova, poi Firenze e l'Italia meridionale sotto gli Angioini, così come sotto gli Aragonesi, erano interessati al Levante e alle possibilità economiche e coloniali che vi offriva il graduale declino dell'impero bizantino. Fu all'incirca nello stesso periodo che i mercanti italiani apparvero nella penisola iberica e ottennero un'influenza che doveva persistere fino al periodo moderno, sia nell'economia europea che in quella coloniale.10

Virginia Rau nota che "i primi riferimenti documentari disponibili sulle attività dei mercanti italiani in Portogallo risalgono al sexcolo XIII. Quando iniziamo a sentirne parlare, erano già entrati coraggiosamente nel mercato monetario portoghese.

Questi "commercianti italiani" erano in realtà (in ordine di importanza) genovesi, e figli di Piacenza, Milano, Firenze e Venezia. Rau spiega inoltre che nel XIV secolo, il cui inizio fu opportunamente segnato dalla nomina da parte del re Dinis [Dionisio "il Labrador"] di un genovese (Manuel Pessanha [Emanuele Pessagno]) all'ammiragliato portoghese nel 1317, Lisbona era diventata "il grande centro del commercio genovese".

Con Lisbona e Porto come basi operative, i capitalisti-traders genovesi [. ...] si integrarono in tutta la struttura del potere portoghese, servendo come prestatori di denaro alla monarchia, finanziatori delle ambizioni e delle avventure dello stato, monopolisti in base a carte di sicurezza reali, e infine nobili portoghesi attraverso una serie di eventi che includono decreti reali, matrimoni con la nobiltà nativa e la partecipazione a progetti militari organizzati dallo stato.

Proprio come l'esempio di Rau sulla famiglia Lomellini suggerirebbe- a partire dalla comparsa del mercante Bartholomeu Lomellini in Portogallo nel 1424 fino all'integrazione dei suoi eredi e parenti nell'aristocrazia terriera di Madeira e nella nobiltà peninsulare verso la fine del secolo - e, i principi mercanti genovesi ebbero molto più successo nel loro adattamento rispetto ai loro concorrenti compatrioti (cioè italiani).

A differenza degli arroganti veneziani, i genovesi si resero disponibili finanziariamente, intellettualmente e fraternamente ai loro ospiti. Come ha osservato Wallerstein:

Nella misura in cui [la borghesia portoghese] mancava di capitale, lo trovava facilmente disponibile nei genovesi, che, per ragioni proprie legate alla loro rivalità con Venezia, erano disposti a finanziare i portoghesi. E il potenziale conflitto tra gli indigeni e la borghesia straniera fu smorzato dal desiderio dei genovesi di incorporarsi alla fine nella cultura portoghese.

Mentre i veneziani continuavano a concentrarsi sul dominio del Mediterraneo, e i fiorentini sul loro commercio continentale e nord-atlantico di banche e lana, i genovesi si posizionarono per trarre vantaggio dal commercio che alla fine sarebbe progredito dal Maghreb al medio Atlantico e infine al commercio transatlantico. A metà del XV secolo fu il loro capitale a determinare la direzione e il ritmo della "scoperta". Verlinden osserva:

Lagos [Portogallo] divenne, dal 1310 circa, un porto importante sulla rotta dei convogli italiani verso l'Europa nord-occidentale. Se si ricorda che Lagos, molto più di Sagres, fu il punto di partenza delle prime scoperte portoghesi, l'importanza dei legami stabiliti lì con marinai e imprenditori italiani diventa più evidente.

Inoltre, fu lo status privilegiato di questi italiani in Portogallo a facilitare l'elaborazione a Roma della rivendicazione portoghese che si tradusse in bolle papali a protezione del commercio portoghese e dell'imperialismo statale.

E furono i capitalisti genovesi a sostenere i legami tra le classi dirigenti inglesi e portoghesi, favorendo una relazione con il commercio inglese e lo stato inglese che era direttamente complementare alla loro presenza in Portogallo. In Inghilterra, come in Portogallo, i genovesi costituivano la maggioranza dei mercanti italiani, che a loro volta costituivano la maggioranza dei mercanti stranieri in quel regno durante il XV secolo.

Anche lì ottennero esenzioni reali dalle tasse e dalle restrizioni commerciali, e riuscirono a monopolizzare le merci importate, come le medicine straniere (come la melassa medica) e altre droghe in voga in quel secolo, così come il sughero e lo zucchero portoghesi, dopo essersi assicurati una posizione di monopsonio nei loro punti di origine. Infine, anche in Inghilterra, come prestatori di denaro per i loro re e come intermediari e commercianti per i monopoli reali, arrivarono ad occupare posizioni importanti nel commercio inglese:

Invano gli inglesi protestarono contro i lussuosi privilegi ottenuti da questi mercanti dai re bisognosi, di cui erano diventati i finanziatori, chiedendo che si limitassero a beni di loro fabbricazione; incapaci di competere in ricchezza con le potenti città italiane, le piccole città inglesi ricevettero poca attenzione.

In un'Inghilterra dilaniata dalla guerra civile, dagli intrighi di palazzo e da una classe aristocratica in ascesa, l'appoggio finanziario degli italiani insieme al loro commercio e alle concomitanti fonti di informazioni poteva essere decisivo. La monarchia inglese, con i suoi collaboratori commerciali e finanziari italiani e non, si assicurò per il momento una certa indipendenza dalle sue classi aristocratiche e borghesi autoctone. Così i capitalisti italiani erano in una posizione decisiva per determinare il ritmo, il carattere e la struttura del primo commercio transatlantico di schiavi per il secolo successivo. Senza di loro e senza la complicità di una parte dell'aristocrazia inglese e delle classi mercantili portoghesi e inglesi, e, naturalmente, della nobiltà clericale di Roma, è dubbio che ci sarebbe mai stato un impero portoghese, e senza quell'impero nulla sarebbe stato come è stato.

Cedric J, Robinson, Marxismo negro. La formación de la tradición radical negra, Madrid 2019, Editorial Traficantes de Sueños, pp. 200-203

* Per rendere più scorrevole il testo sono state omesse le numerose note

(.Nostra traduzione dallo spagnolo)