TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 9 marzo 2022

Miseria - Una storia Arbëreshe

 


In libreria l'ultimo libro di Mario Calivà, attivissimo esponente della rinascita culturale arbëreshe in Italia. Certo, gli arbëreshë di Piana sono una piccola minoranza, ma il libro di Mario, carissimo amico dai tempi in cui presentò proprio qui a Savona il suo bel libro sulla strage di Portella della Ginestra, ci ricorda che un popolo vive finché vive la sua lingua e la sua cultura non si pietrifica in folclore, ma sa interfacciarsi con il presente. Ce lo ha insegnato François Fontan nel suo libro sull'etnismo, ce lo dimostrano i fermenti culturali delle valli occitane, penso alla realtà della Rafanhauda, e degli Arbëreshë di Sicilia. Ne proponiamo la prefazione.


Miseria - Una storia Arbëreshe

Prefazione di Gazmend Kapllani*

Tutte le strade portano a Piana degli Albanesi, Hora e Arbëreshëvet. Hora – un paesino di strette viuzze, di sogni rurali e nevrosi divine - si trasforma, così, in un luogo chiuso e allo stesso tempo universale. Al centro di questo universo ruota la storia di Salvatore e Giuseppina. Lui è stato testimone diretto - “dopo aver percorso l’Italia da capo a coda” - di uno dei grandi eventi del mondo: la Prima Guerra Mondiale. Giuseppina, invece, svolge il ruolo tradizionale di una donna che vive in una società patriarcale dove nessuno non può e non vuole vivere fuori dalla famiglia e dalla chiesa. Si sposano senza innamorarsi e fanno quello è giu- sto fare: una famiglia.

L’ordine normale delle cose sembra governare la loro vita anche se il loro mondo interiore ed este- riore comincia ad agitarsi in maniera sconvolgente. Intanto, ricomincia la violenza di un’altra guerra mondiale che vede l’Italia protagonista. Durante il secondo dopoguerra in Sicilia i comunisti sono molto vicini a prendere il potere. Per questo si innesca il banditismo di Salvatore Giuliano.

Tutti gli eventi importanti coinvolgono direttamente gli arbëreshë di Piana i quali hanno una relazione molto importante con la storia. Infatti, sono in Sicilia dal 1488 dopo la fuga dai Balcani per sfuggire alle armate vincenti degli Ottomani. I loro avi erano diventati famosi in tutta l’Europa cristiana per la resistenza eroica contro i musulmani. Poi, sconfitti, avevano varcato il mare ed erano finiti lì, in quel posto in cui gli inverni sono rigidi. Con il tempo anche la storia si era scordata di loro, perché la storia dimentica sempre gli sconfitti e si occupa solo dei vincitori. E loro, esistendo tra il ricordo della gloria passata e l’imbarazzo della sconfitta, erano diventati rigidi come gli inverni di quel luogo.

Ma sotto quella rigidità dei costumi, delle credenze e dei rituali, si agitano i desideri e le passioni umane, le loro paure, le loro nevrosi, i loro sogni e le loro illusioni. La grande storia di solito lascia fuori le emozioni. Ma per lo scrittore rappresentano la materia prima. E per questo lo scritto- re, inevitabilmente, si interessa alle emozioni, soprattutto se obliate dalla storia. Cioè a quelle cha hanno scritto, scrivono e scriveranno sempre la vera storia umana, di ogni luogo e di ogni tempo.

Mario Calivà, con la maestria di un cronista pirandelliano, in bilico tra realtà e fantasia, racconta la storia degli uomini e delle donne di Piana di quasi un secolo fa. Con una lingua semplice e profonda costruisce una realtà fatta di paradossi e passioni dove si mettono a nudo le commedie e le tragedie delle relazioni umane: Hora e Arbëreshëvet, luogo culturalmente unico nel Mediterraneo, che ha resistito sempre ai venti folli della storia, delle identità e delle lingue. Alla fine della lettura del romanzo quello che rimane di Hora è l’impressione di un quadro, come “un effimero dipinto ad olio che non sarebbe mai asciugato”. Ed è questa impressione di “un effimero dipinto” che costituisce la vera forza di questo romanzo che è il coacervo di un intero universo umano e geografico, così piccolo e immenso.


* Professore alla DePaul University – Chicago, Usa