TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 30 marzo 2022

ANTONIO FLAMMINIO Oggetti pittorici per la ginnastica mentale 1974



ANTONIO FLAMMINIO

Oggetti pittorici per la ginnastica mentale
1974
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte, 31 marzo-29 aprile 2022


Con la seconda mostra del 2022, Entr’acte propone una selezione di lavori, totalmente inediti, di Antonio Flamminio che appartengono al suo “periodo razionale”, che culminerà nel 1979 con l’allestimento ideato per “Arte e scienza”, manifestazione inclusa nel ciclo di mostre coordinato da Guido Giubbini al Teatro del Falcone in preparazione dell’apertura, avvenuta nel 1985 del Museo d’arte contemporanea di Villa Croce.

Si tratta di opere che accoglievano la lezione dell’astrattismo geometrico, praticato a Genova, negli anni ’60 da autori di rilevanza nazionale come Rocco Borella, Gianfranco Zappettini e gli esponenti di Tempo 3 (gruppo composto da Bargoni, Carreri, Esposto, Stirone, oltre che dal fiorentino Guarneri), in una versione del tutto personale che fondava l’elaborazione della forma su rapporti predeterminati e la modulazione del colore su formulazioni matematiche elementari. A queste modalità costruttive Flamminio associava, com’era d’altronde nello spirito dell’epoca, un intento etico, intrinseco per un verso alla stessa dinamica progettuale, ma connotato socialmente, come si evince dallo stesso titolo del ciclo: “Oggetti pittorici per la ginnastica mentale”.

In sostanza l’artista ricercava una prassi compositiva che consentisse allo spettatore di “avvicinare” e “possedere” l’oggetto-quadro mediante la percezione dei criteri razionali in base ai quali era strutturato, resi direttamente avvertibili all’osservazione, consentendo in tal guisa una fruizione “democratica”, capace di aggirare lo scoglio della soggezione imposta da retrostanti componenti culturali complesse.

“Il fruitore – annotava Flamminio in uno scritto coevo – può, attraverso la scoperta dell’impianto costruttivo, percorrere a ritroso l’esperienza dell’autore e giungere così al cuore concettuale dell’opera, incontrando sulla sua strada l’attraente ostacolo del bello artistico”.

Il compito dell’artista, secondo il pensiero di Flamminio – esplicitato, in anni più vicini, in lavori che appartengono al canone postmoderno, senza però deflettere dal proposito originariamente dichiarato – consiste nel realizzare oggetti che “analogamente a quelli di utilità fisica (abiti, mobili, attrezzi)” risultino idonei a stimolare l’esercizio mentale del pubblico, “piuttosto che provvedere soltanto a consumare, edonisticamente poco coinvolti, come fanciulli, la propria necessità di giocare facendo Arte”.

Ma, al di là della “funzione democratica”, o – se si vuole – pedagogica, intesa a proporre un linguaggio estetico comprensibile a chiunque voglia riflessivamente accostarvisi, nelle tele di Flamminio si innesta una funzione immaginativa che – pur muovendo da un alfabeto essenziale, fatto di proporzioni, di bande verticali e orizzontali, di rari elementi obliqui, di graduazioni cromatiche attentamente governate e sovvertito da tratti curvilinei talora minimali, altrove dominanti – perviene ad esiti di quieta felicità visiva, in costante trasformazione. (s.r.)