TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 9 marzo 2022

Ucraina. Il genocidio dimenticato

 


Roberto Massari

Ucraina. Il genocidio dimenticato

Mi è stato chiesto da più parti, in Italia e all’estero, perché tardassi a intervenire sui tragici fatti in corso in Ucraina - a titolo personale, ovviamente, non avendo Utopia rossa, per definizione e per scelta fondativa, una linea politica comune. (Senza dimenticare però che il secondo dei suoi Princìpi di adesione ideale recita: «Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione indipendentemente dalle loro direzioni politiche».)

Ho evitato di intervenire finora per le seguenti ragioni:

1. Speravo di ricevere dei materiali daI compagni di Utopia rossa in Ucraina (Kiev e Odessa), ma non riesco più a entrare in contatto con loro e ne ignoro la ragione.

2. Mi sembrava inutile e superfluo entrare nella sconclusionata discussione scatenatasi in Rete sulla necessità o no di impedire il massacro del popolo ucraino, di sostenere o no la sua resistenza all’invasione russa. Ma per uno con la mia storia personale - che l’unica lotta per l’autodeterminazione che non ha potuto sostenere (quella ungherese del 1956) è stato solo perché avevo dieci anni - e che per l’intera sua vita si è schierato attivamente sempre a favore della vittoria dei popoli in lotta per la loro indipendenza, che altro potevo dire o aggiungere per la lotta del popolo ucraino?

Schieratissimo per gli algerini contro la Francia, per i congolesi contro il Belgio, per i tibetani contro la Cina, per i vietnamiti contro gli Usa, per i palestinesi contro Israele, per i cecoslovacchi contro l'Urss, per gli angolani contro il Sudafrica, per gli eritrei contro l’Etiopia, per gli abitanti di Timor Est contro l’Indonesia, per gli abitanti di Grenada contro gli Usa, per gli irlandesi del Nord contro la Gran Bretagna, per i baschi contro lo Stato spagnolo, per i ceceni contro l’Urss, per i kosovari contro la Serbia, per gli afghani contro l’Urss e poi contro gli Usa, per gli iracheni contro gli Usa, per i curdi contro la Turchia… e sicuramente nella foga sto dimenticando qualche altra lotta importante per l’autodeterminazione, nel qual caso mi scuso presso i diretti interessati.

Date queste premesse di un’intera vita, che altro dovrei o potrei aggiungere per la lotta degli ucraini, senza cadere in vuoti slogan o considerazioni banali nella loro ovvietà?

3. Va anche detto che, a differenza della maggior parte delle lotte sopra elencate, questa volta gran parte dell’umanità è schierata dalla parte dei più deboli, cioè dalla parte degli ucraini contro gli invasori. Nel passato le cose non furono sempre così chiare, anche perché esisteva la penosa illusione che l’Urss e la Cina fossero paesi socialisti e per molti ciò rappresentava un freno ad esprimere solidarietà ai popoli da loro aggrediti, secondo la famigerata e orrenda teoria del «fine che giustifica i mezzi». E come all’epoca del Vietnam, oltre alla resistenza del popolo aggredito, vi sono anche movimenti di protesta in seno al paese aggressore. Mentre scrivo sono già 14.000 i russi imprigionati per aver protestato contro la guerra. Sarà infatti compito dello stesso popolo russo (come già per gli Usa del Vietnam) - e senza interventi esterni - contribuire alla fine della guerra, anche se non sarà possibile nell’immediato una vittoria degli ucraini. Ma col tempo verrà anche questa, come già per i vietnamiti, gli afghani o i cecoslovacchi.

4. Una ragione in più per tacere o mantenere un profilo defilato è il frastuono orchestrato in Rete da centinaia di siti che nella più totale ignoranza della storia mondiale del Novecento e in preda a deliri di protagonismo narcisistico, dicono le cose più disparate sul conflitto in corso, quasi tutti indaffarati a trovare delle giustificazioni all’intervento russo se non addirittura ad applaudirlo. Nel gergo di Internet sono i cosiddetti «putiniani» (schiera che includerebbe anche personaggi tra i più impensabili come Trump, Berlusconi fino all'altroieri, l’attuale metropolita ortodosso di Mosca).

A loro vanno affiancati quelli del «né coi russi né con la Nato», che è come dire: «noi viviamo sulla luna e quello che voi, governo russo, state facendo al popolo ucraino non ci riguarda perché noi siamo degli antimperialisti puri, quindi siamo anche contro la Nato e perciò non muoveremo un dito per impedirvi di proseguire il massacro: continuate pure, ma ricordatevi della nostra posizione politica equidistante e soprattutto così ben formulata…». Si ricordi comunque che questa posizione è difesa da quella stessa Rifondazione comunista che nel 2006 votò a favore della missione italiana in Afghanistan e a favore di tutte le altre missioni militari, fossero o non fossero sotto il cappello della Nato.

A questo mondo profondamente malato non vale la pena di rispondere e comunque sarebbe impossibile perché non ci si trova davanti a correnti di pensiero caratterizzate e unificate come nel passato (belle o brutte che fossero), ma davanti a una miriade sparsa di individui gesticolanti: ognuno si è fatto il proprio sito, ognuno sta pensando fondamentalmente al proprio ego, ognuno sta mettendo in pratica la propria autoglorificazione sulla scia del «io non me la bevo», già emersa tristemente con il mondo dei no-vax (che spesso e volentieri coincidono con i «putiniani»).

Questa del «io non me la bevo» è diventata ormai una delle leve principali per l’autocelebrazione del proprio io e assisteremo nel futuro a una crescita esponenziale di questo espediente «privato», al quale si può dare una netta definizione psicopatologica solo in termini di disturbi della personalità.

Del resto, come potremmo chiamare diversamente lo stato mentale di una persona che non sente sulla propria pelle le ferite non metaforiche che vengono impresse al corpo sociale di una nazione? non riesce a vedere il fratello uomo o la sorella donna nelle persone che vengono uccise in queste ore insieme ai loro figli e figlie? che razza di essere umano è un simile individuo incapace di commuoversi, incapace di solidarietà umana, incapace in fondo di essere egli stesso umano?

Può la politica assolvere tutto ciò, vale a dire questa disumanizzazione «programmatica»?

Se sì, al diavolo allora l’analisi politica se essa deve diventare un pretesto per affermare la propria bestialità verso altri esseri umani. Che dico, «bestialità»: gli animali mi perdonino, perché sappiamo che essi uccidono solo per difendersi o per nutrirsi. Mentre qui ci si trova davanti a individui mascherati da blog che glorificano i massacri in corso, addirittura inneggiano a un folle capo di Stato che ha minacciato di scatenare la guerra atomica se qualcuno gli ostacola l’aggressione. Il quale Putin è probabile che faccia la stessa fine di Berija, liquidato da una congiura dei «boiardi», cioè gli oligarchi ai quali questo ex poliziotto, staliniano e megalomane, sta facendo più danni che tutta la Comunità europea messa insieme. 

E riguardo alla minaccia nucleare lanciata da Putin, con che faccia si presenteranno i suoi improvvidi sostenitori nelle prossime mobilitazioni per il Pianeta, per il cambio climatico e tutto il resto, dopo aver trovato normale che un folle dottor Stranamore  minacci nuovamente la sterminio atomico, a 60 anni di distanza dalla paura che già si prese la mia generazione.

A questo mondo profondamente malato è comunque impossibile rispondere perché, trattandosi di una miriade di individui, occorrerebbe formulare una miriade di risposte diverse, laddove invece sarebbero molto più appropriati degli interventi terapeutici individualizzati di altra natura.

Non ha senso quindi cercare di far sentire la propria voce in questo frastuono. Ho quindi pensato di rendermi utile in una forma più modesta (del resto che altro potrei fare per aiutare il popolo ucraino nella sua lotta?), rivolgendomi ai giovani che, a differenza dei «da soli ideologici», hanno tutto il diritto di ignorare le vicende del passato che hanno portato alle tragedie del presente. Per loro quindi cercherò di far comparire su questo blog dei materiali formativi, sperando che circolino e passino di mano in mano… pardon, di video in video. Tali materiali, nella loro brevità, dovranno avere soprattutto l’effetto di stimolare la ricerca da proseguire su altri libri o saggi. Parleremo quindi del holodomor, della concezione leniniana dell’autodeterminazione dei popoli (l’unica cosa valida del patrimonio teorico di Lenin e che egli non ha mai cambiato, a differenza di tutte le altre), di Chernobyl, di piazza Maidan e, speriamo, anche della fine del conflitto.

Oggi cominciamo quindi dal genocidio dei contadini ucraini nel 1931-33: un crimine contro l’umanità non lo si dimentichi, e che tale è stato definito da alcune istituzioni internazionali. Dò quindi la parola a uno storico tra i più onesti, accurato nella sua metodologia di ricerca: il lucano Ettore Cinnella.




UCRAINA

IL GENOCIDIO DIMENTICATO

di Ettore Cinnella


[…] Ancor prima che la loro terra conquistasse l’indipendenza [nel 1991], gli ucraini all’estero equipararono a un vero e proprio genocidio nazionale quello che oggi chiamiamo holodomor [la morte per inedia imposta da Stalin agli agricoltori ucraini togliendo loro il ricavato dei raccolti e anche le semenze da piantare (n.d.r.)]. Dopo il 1991, poi, gli storici e l’opinione pubblica del nuovo Stato indipendente hanno accolto senza tentennamenti questa tesi, chiamando talvolta il martirio subìto dal loro popolo all’inizio degli anni Trenta l’«olocausto ucraino». Quest’ultimo termine a me sembra improprio e andrebbe riservato solo allo sterminio degli ebrei per mano dei carnefici nazisti. È invece lecito, e perfino doveroso, definire genocidio sociale la carestia terroristica che, nel 1932-1933, rubò la vita ad alcuni milioni - da tre a quattro - di agricoltori ucraini. Del resto, sono molti gli storici, anche russi, che concordano nel considerare un genocidio sociale la decimazione della popolazione contadina, anche ucraina, decisa da Stalin per collettivizzare le campagne. Quel che essi negano risolutamente è che il caso ucraino sia stato diverso da tutti gli altri, che cioè gli agricoltori di quella terra siano stati crudelmente puniti non solo perché contadini, ma anche perché appartenenti ad una determinata comunità nazionale.[…]

Sull’Ucraina la vendetta dell’onnipotente del Cremlino si abbatté qualche settimana più tardi che altrove, ma fu ancor più funesta, non foss’altro che per l’elevatissimo numero di agricoltori caduti  nei mesi della grande carestia, in modo simile al resto del paese: uccisi lentamente dall’inedia, falciati dalle tante epidemie, spentisi in séguito alle malattie contratte mangiando tossici surrogati di cibo o carne di carogne e di cadaveri. Sorge spontaneo, a questo punto, il quesito se possa definirsi genocidio, e di che tipo, il lento sterminio per fame di tre o quattro milioni di ucraini. […]

Gli abitanti delle campagne ucraine furono decimati in quanto contadini o subirono quel tremendo castigo anche per altre ragioni?

Rispondere alla prima domanda in modo affermativo, come si può e si deve, non chiude la questione e non appaga chi vuole indagare su quell’orribile misfatto storico. Anzitutto, assieme alla guerra senza quartiere contro i contadini, in quegli stessi anni Stalin sferrò un furibondo attacco all’intellighenzia ucraina, cioè ai custodi della memoria storica della nazione, e represse finanche il locale Partito comunista, reo di non obbedire compattamente agli ordini di Mosca.

Come interpretare tutto ciò se non come segni della volontà di annullare gli spazi di autonomia di cui l’Ucraina ancora godeva? D’altronde, proprio negli anni della collettivizzazione la coscienza patriottica dei contadini ucraini, qualunque essa fosse stata prima, fece passi da gigante individuando nel giogo sovietico e moscovita la vera causa dei mali della loro terra. […]

La coscienza nazionale dell’Ucraina contemporanea aveva preso corpo per la prima volta dopo la Rivoluzione bolscevica, quando il paese conobbe per pochi anni [1917-1922 (n.d.r.)] l’esperienza dell’indipendenza. La difficile via dell’autonomia nell’ambito dell’Urss fu percorsa negli anni ’20, ma si interruppe bruscamente in séguito alla svolta politica centralizzatrice decisa da Stalin. Il calvario del holodomor creò tra Ucraina e Russia un baratro, che non si è più colmato. Malgrado le ingenuità e le intemperanze dell’odierno nazionalismo ucraino, non si può dar torto a quanti pensano e dicono che, se non avesse fatto parte dell’Urss, l’Ucraina non avrebbe conosciuto un’esperienza annichilente come lo sterminio per fame di milioni di pacifici e laboriosi agricoltori.

La tragedia del holodomor non è soltanto una fosca pagina di storia, appartenente al passato e ormai archiviata. Essendo assurta a doloroso simbolo del riscatto nazionale dell’Ucraina, essa dev’essere conosciuta anche da chi vuol capire qualcosa dei sentimenti più profondi di quel popolo.

Anziché chiedere perdono e lenire così le antiche ferite, la Russia contribuisce a riaprirle, facendole sanguinare ancora una volta.

(tratto da: Ettore Cinnella, Ucraina. il Genocidio dimenticato, Della Porta Editori, Pisa 2015.)

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