Mimmo Lombezzi
“Danilo Montaldi, vita di un militante politico di base”: una guida per la sinistra nell’ora dell’incertezza
L’anno zero del Pd fa coincidere la sua tempesta identitaria (“Chi siamo? Dove andiamo? Cosa vogliamo?”) con una riedizione di Tangentopoli che coinvolge un’icona del sindacalismo lombardo e uno stato che ha sacrificato ai cantieri del QatarCup 6000 operai. Questo mix esplosivo offrirà alla destra un'occasione unica per cancellare le inchieste di Gratteri e di Mani Pulite e per lanciarsi nella (di)gestione del PNRR, che un tempo non lontano proprio la capacità politica del Pd aveva conquistato.
Bene, ora che il Cigno Nero domina l’orizzonte della sinistra, gioverebbe alla medesima la lettura di un libro appena uscito per i tipi di DeriveApprodi. Si intitola “Danilo Montaldi vita di un militante politico di base (1929-1975)” ed è una documentatissima biografia, scritta da Giorgio Amico, scrittore e saggista savonese. L’autore ripercorre le tappe della ricerca che portò Montaldi a scrivere opere come “Autobiografia della leggera” o “Militanti politici di base” che affascinarono anche Pasolini.
Se si sopravvive al racconto della navigazione di Montaldi nell’arcipelago di scazzi, fratture, scissioni e fissioni della sinistra rivoluzionaria, si scopre un filo che attraversa tutte le sue ricerche e che oggi può dare concretezza al Mantra prediletto del partito democratico: “ritrovare il contatto con il territorio”. Perché è da lì che è sempre partito e ripartito Montaldi da quando, ragazzo ed ex-partigiano, seguiva il padre, nelle osterie della bassa cremonese - cercando un posto dove “non eccheggiasse Canzonissima” - a quando, più tardi, lavorava con l’operaio-scrittore Franco Alasia sulle “Coree” della periferia Milanese, dove i “terroni” in arrivo in massa dal Sud incontravano lo stesso disprezzo, la stessa diffidenza e le stesse difficoltà che oggi colpiscono gli immigrati.
“Per i milanesi - scrive Giorgio Amico – sono solo dei ‘terroni’, anche se poi, come la ricerca dimostra, molti di essi arrivano dalle campagne ormai in crisi della pianura padana…. L’obiettivo di Montaldi e di Alasia è dare visibilità agli invisibili, a un proletariato che lavora e produce, ma che formalmente non esiste, perché lavora spesso in nero e dunque non può richiedere la residenza che viene concessa, in base a una normativa risalente all’epoca fascista, solo a chi risulta occupato. Ma senza il certificato di residenza non ci si può iscrivere alle liste degli uffici di collocamento. Da qui la precarietà dell’esistenza e la condanna a non poter uscire dal lavoro nero e da una condizione di supersfruttamento”.
Se pensiamo alla mutazione economica del Savonese, da provincia industriale a provincia a vocazione turistica con una rete di aziende piccole e frammentate, colpisce l’invisibilità di chi ci lavora quasi sempre in condizioni di subordinazione e di precarietà assoluta. Si si pensa al mondo del precariato, dai bar, ai ristoranti, ai bagni alle librerie , dalle commesse ai riders, colpisce come la sinistra storica, spesso ostaggio delle associazioni di commercianti e di gestori di locali, non abbia saputo ancora dare una visibilità, prima ancora che una rappresentanza, a quella che è ormai la nuova classe lavoratrice.
Chi va in piazza e parla sono di solito i sindacati o i delegati delle ultime fabbriche stampellate dallo stato, ma esiste un modo sommerso che ti racconta orari impossibili, piccoli ricatti o situazioni di demansionamento che, non solo non osa parlare apertamente (perché rischia il posto), ma quasi sempre non trova nemmeno un portavoce.
“Si ignora quasi sempre da parte operaia – scriveva Montaldi nel’73 – che esista una letteratura fatta di testimonianze proletarie. In genere, il proletariato tende a non lasciare tracce di sé , si ritiene che l’esperienza di fabbrica, o comunque del lavoro, o privata , non valga la pena di essere raccontata, commentata, viene data per scontata, per poco interessante, per banale da parte stessa di chi la esercita”.
“Qui – scrive Giorgio Amico – abbiamo la genesi di quella che diventerà negli anni a venire l’attività centrale dell’intellettuale cremonese : ascoltare gli operai, raccogliere le loro testimonianze , far conoscere le loro storie di vita. Gli interventi sono riportati integralmente senza nessun commento. Nella rubrica, troveranno spazio testimonianze di diverse situazioni di lavoro: un rettificatore,un operaio di una piccola industria di vasche da bagno poi manovale in fabbrica e poi disoccupato, un panettiere, un impiegato di una ditta industriale, un operaio di fabbrica, un sabbiaiolo, una pacherista (guidatore di escavatore N.D.A) [...] Montaldi vuole un contatto diretto con la classe, con quella base che nessuno davvero conosce e questo si può ottenere solo attraverso un lavoro di ricerca che non resti però relegato allo stadio del ciclostilato, ma trovi visibilità anche attraverso il passaggio nei luoghi che contano della cultura di sinistra non egemonizzata dagli stalinisti”.
Molto prima del XXmo congresso e delle mille successive contorsioni del Pci per difendere la “Patria del Socialismo”, Montaldi si rende conto della mutazione mostruosa che è avvenuta con lo stalinismo che per lui “aveva significato il soffocamento dell’autonoma e spontanea azione delle masse – scrive Giorgio Amico - il partito aveva preso il posto della classe privandola del ruolo di soggetto centrale della lotta per il socialismo. Ne era derivata una cultura di sinistra incentrata su intellettuali delegati ad esprimere, proprio in quanto ‘organici’ al partito, il punto di vita dei proletari. Per Montaldi occorreva ridare voce agli operai, a quei ‘militanti politici di base’, ridotti a puri esecutori di una politica decisa in modo burocratico dall’alto”.
(Si colloca in questo quadro la sferzata di Montaldi alla mancanza di pudore di Rossana Rossanda. Quando seppe che l’invasione sovietica dell’Ungheria e gli orrori dei processi staliniani avevano trattenuto Cassola dall’iscriversi al Partito Comunista, Montaldi racconta che Rossanda disse: “Dio benedica Cassola che sapeva tutta la verità prima o la sa adesso. Io,e molti compagni come me, ne eravamo più modestamente all’oscuro”.)
Questo tipo di attenzione, politica prima che sociologica, consentì a Montaldi una lettura assolutamente originale anche della rivolta di Genova del 30 giugno 1960.
“A giugno – scrive Giorgio Amico – il partito neofascista annuncia che terrà a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, il proprio congresso nazionale. Il 30 giugno, alla vigilia dl congresso Genova insorge. Decine di migliaia di persone scendono in piazza rispondendo a un appello della Cgil, che ha proclamato lo sciopero generale, e dei partiti di sinistra. La reazione dei manifestanti , in larghissima parte giovani, è durissima : dopo ore di scontri violenti, la polizia è costretta a ritirarsi. Nonostante il congresso sia stato sospeso, la protesta dilaga in tutta Italia. Obbedendo a precise direttive del governo la polizia spara: in tutto si conteranno 11 morti, di cui 5 nella sola Reggio Emilia. Il paese pare sull’orlo della guerra civile. Travolto dalla protesta popolare che non si placa, il 19 luglio, Tambroni, isolato dalla stessa Dc si dimette… Mentre ‘L’unità’ e l’Avanti’ presentano l’accaduto solo in chiave di lotta antifascista e di difesa della Costituzione repubblicana, Danilo Montaldi e il gruppo di Cremona sottolineano con forza il manifestarsi per la prima volta,dopo molti anni, di una iniziativa autonoma della classe operaia, di cui i ’giovani dalle magliette a strisce’ rappresentano l’avanguardia… una fase qualitativamente nuova dove sono i militanti di base a prendere la parola e gestire le lotte”.
“I fatti di luglio – scriveva Montaldi – sono stati giudicati da buona parte della stampa nazionale come un ‘tentativo rivoluzionario da parte di teddy-boys e di masse esasperate’…e questa opinione è stata ripresa anche da certi ‘uomini di sinistra’ preoccupati che non venisse attribuita a loro la responsabilità degli avvenimenti, ma i lavoratori , se sono di qualcosa ‘esasperati’ è di sentirsi trattati nel lavoro, nella vita pubblica, nei partiti, nei sindacati, come gente che va costantemente guidata”.
Oggi la situazione è radicalmente mutata : e’ scomparsa la “classe operaia”, o meglio è migrata all’estero nelle periferie industriali della Cina o dell’India ed è tramontato anche il sogno della palingenesi rivoluzionaria che ispirava Montaldi, ma il suo metodo di ricerca, le sue tecniche d’intervista e quell’ attenzione vera “per gli uomini in carne ed ossa con le loro esperienze sofferte di vita“, come scrive Giorgio Amico, restano una lezione più attuale che mai, specie in una città di operai pensionati e di precari invisibili.
Una guida per la sinistra nell’ora dell’incertezza e della restaurazione di destra: “Danilo Montaldi, vita di un militante politico di base”, di Giorgio Amico, DeriveApprodi editore.
Savona News, 12 dicembre 2022