TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 17 dicembre 2022

Maximilien Rubel, Karl Marx e il primo partito operaio

 


Maximilien Rubel

Karl Marx e il primo partito operaio


Il postulato dell'autoemancipazione proletaria percorre come un leitmotiv l'intera opera di Marx. È l'unica chiave per una corretta comprensione dell'etica marxiana. Ha ispirato tutti gli approcci teorici e politici di Karl Marx, dal 1844, quando, nella Sacra Famiglia, scrisse che "il proletariato può e deve liberarsi", fino alle vicende dell'Internazionale dei lavoratori, il cui motto, proclamato da Marx, era: "l'emancipazione della classe operaia deve essere opera della classe operaia stessa", fino agli ultimi anni della sua vita, quando, preoccupato per le sorti della rivoluzione russa, riponeva tutte le sue speranze nell'obshchina plurisecolare e nei suoi contadini.

La forza - o la debolezza - dell'etica marxiana è la sua fiducia nell'uomo sofferente e nell'uomo pensante: nell'uomo medio - il tipo umano più numeroso - e nell'uomo eccezionale, pronto a fare sua la causa del primo. Tra i due tipi umani si colloca la minoranza onnipotente degli oppressori, padroni dei mezzi di vita e di morte, con un esercito sempre più numeroso di scagnozzi della spada e della penna, la cui missione è mantenere lo status quo o ristabilirlo ogni volta che coloro che soffrono e coloro che pensano si uniscono per porvi fine, sognando di instaurare non il paradiso in terra, ma semplicemente la città umana su una terra umana.

L'unione di esseri sofferenti e pensanti non è prevista da Marx come un'alleanza tra esseri che si assegnano compiti diversi, dal punto di vista di una divisione razionale del lavoro, i primi condannati alla miseria e alla rivolta cieca contro la loro condizione disumana, i secondi con la vocazione di pensare per i primi e di fornire ai secondi verità preconfezionate. A questo proposito, Marx si espresse con una chiarezza che esclude ogni ambiguità, già nel 1843 in una lettera a A. Ruge: L'accordo tra chi soffre e chi pensa è in verità un accordo tra "l'umanità sofferente che pensa, e l'umanità pensante che è oppressa". In altre parole, i proletari devono elevare il loro senso di angoscia al livello di una coscienza teorica che dia alla miseria proletaria un significato storico e, allo stesso tempo, permetta alla classe operaia di elevarsi alla comprensione dell'assurdità della sua situazione. Se "l'arma della critica non può sostituire la critica delle armi", se "la forza materiale non può essere abbattuta che dalla forza materiale", resta il fatto che "anche la teoria si trasforma in forza materiale, non appena si impossessa delle masse".

L'immagine del movimento rivoluzionario non è quella di folle sofferenti e inconsapevoli, guidate da un'élite di uomini lucidi e solidali con la miseria, ma quella di un'unica massa di esseri in uno stato permanente di rivolta e di rifiuto, consapevoli di ciò che sono, vogliono e fanno.

È vero che le aspirazioni radicali del proletariato nascono il più delle volte spontaneamente, per il solo effetto di una situazione degradante. Ma è allora che compaiono esseri che sentono la degradazione delle masse come un'offesa alla propria dignità di uomini pensanti. Sono i primi a prevedere e annunciare la possibilità e la necessità di una rivoluzione radicale, che trasformi le basi materiali e il volto spirituale della società. Si uniscono al proletariato, di cui sentono i bisogni e gli interessi come propri, e lo educano alla maniera socratica, insegnandogli a pensare con la propria testa. Gli insegnano, innanzitutto, che la lotta di classe non è solo un fatto storico, cioè un fenomeno costante della storia passata, ma anche un dovere storico, cioè un compito da svolgere con cognizione di causa, un postulato etico che, se applicato consapevolmente, eviti all'umanità le ineffabili miserie che una civiltà tecnica all'apice della sua potenza materiale non può non generare finché si sviluppa secondo le sue stesse leggi, cioè secondo le leggi del caso. Mentre i predicatori religiosi o moralizzatori si sforzano di portare ai diseredati la consolazione di una redenzione o di una purificazione attraverso la sofferenza volontariamente accettata, i pensatori socialisti insegnano loro che sono vittime di un meccanismo sociale di cui essi stessi sono gli ingranaggi principali e che possono, quindi, far funzionare a vantaggio materiale e morale di tutti gli esseri umani, poiché lo sviluppo storico ha permesso all'homo faber di accedere a quella "totalità" di forze produttive che favorisce la comparsa dell'"uomo totale": "Di tutti gli strumenti di produzione, la più grande potenza produttiva è la classe rivoluzionaria stessa" (Anti-Proudhon).

Il carattere etico del postulato dell'autoemancipazione del proletariato è ampiamente dimostrato dall'idea di Marx del partito dei lavoratori. È noto che nessuno dei partiti proletari che Marx vide nascere o contribuì a far nascere gli sembrò corrispondere a questa idea. Ma ciò che è meno noto è il fatto - a prima vista sorprendente - che, anche dopo lo scioglimento della Lega dei Comunisti e per tutto il periodo precedente la fondazione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, Marx non smise di parlare del "partito" come di una cosa esistente. La sua corrispondenza con Lassalle e con Engels è, a questo proposito, estremamente significativa. In molte delle lettere scambiate tra i tre amici in questo periodo si parla del "nostro partito", anche se in realtà non esisteva alcuna organizzazione politica dei lavoratori.

Ma molto più rivelatrici per il problema che stiamo trattando sono le lettere di Marx a Ferdinand Freiligrath, il cantore rivoluzionario degli anni 1848-49, all'epoca dell'affare Vogt. Freiligrath aveva fatto parte della Lega dei Comunisti e aveva pubblicato i suoi versi infuocati sulla Nuova Gazzetta Renana, che Marx dirigeva. Come Marx, viveva a Londra, dove aveva un "onorevole" lavoro in banca. Poiché il suo nome era coinvolto negli intrighi che si stavano preparando in relazione alle calunnie diffuse da Vogt contro Marx e il suo "partito", Freiligrath si adoperò per essere esonerato dall'obbligo di comparire come testimone dell'accusa nei processi intentati contro Vogt da Marx a Londra e Berlino. Marx cercò, in una lettera il cui tono caldo non cedeva nulla al rigore politico, di convincerlo che i processi contro Vogt erano "decisivi per la rivendicazione storica del partito e per la sua successiva posizione in Germania" e che non era possibile lasciare Freiligrath fuori dai giochi, Vogt", gli scrisse Marx, "sta cercando di trarre vantaggio politico dal tuo nome, e pretende di agire con la tua approvazione infangando l'intero partito, che si vanta di annoverarti tra i suoi membri... Se siamo entrambi consapevoli di aver, ciascuno a suo modo e in barba a tutti i nostri interessi personali, mossi dai più puri motivi, sventolato per anni il vessillo sopra le teste dei Filistei, nell'interesse della "classe più laboriosa e più miserabile", sarebbe, credo, un piccolo peccato contro la storia, se ci scontrassimo per delle inezie, che si basano tutte su malintesi. "

Freiligrath, pur assicurando a Marx la sua incrollabile amicizia, nella sua risposta descrisse che, pur intendendo rimanere fedele alla causa proletaria, si considerava tacitamente libero da qualsiasi obbligo nei confronti del "partito" dopo lo scioglimento della Lega dei Comunisti. Per la mia natura", scriveva, "come per quella di ogni poeta, ci deve essere libertà! Anche il partito è come una gabbia, e si può cantare meglio, anche per il partito, da fuori che da dentro. Ero un poeta del proletariato e della rivoluzione, molto prima di essere membro della Lega e della redazione della Nuova Gazzetta Renana! Quindi voglio continuare a volare con le mie ali, voglio appartenere solo a me stesso e voglio disporre completamente di me stesso! In chiusura Freiligrath non mancò di alludere a "tutti gli elementi dubbi e abietti... che si erano attaccati al partito" e di esprimere la sua soddisfazione per non farne più parte, "se non altro per motivi di pulizia".

La risposta di Marx è di particolare interesse in quanto, insieme al Manifesto comunista e alla Critica del programma di Gotha, è uno dei pochi documenti in grado di far luce su uno dei problemi più importanti, se non il più importante, dell'insegnamento marxiano, un problema sul quale esiste ancora una grande confusione fra i marxisti.

Ricordando a Freiligrath che lo scioglimento della Lega dei Comunisti era avvenuto (nel 1852) su sua proposta, Marx dichiara che da quell'evento egli non è appartenuto e non appartiene ad alcuna organizzazione segreta o pubblica: “Il partito”, scrive, “quindi, in questo senso del tutto effimero, ha cessato di esistere per me otto anni fa”. Per quanto riguarda le conferenze di economia politica tenute dopo la pubblicazione del Contributo a una critica... (1859), esse non erano destinate a un'organizzazione chiusa, ma a un piccolo numero di lavoratori selezionati, tra i quali c'erano anche ex membri della Lega dei Comunisti.

Alla richiesta dei comunisti americani di riorganizzare la vecchia Lega, aveva risposto che dal 1852 non era più in contatto con nessun tipo di organizzazione: "Risposi... che ero fermamente convinto che il mio lavoro teorico fosse più utile alla classe operaia della collaborazione con le organizzazioni, che sul continente non avevano più ragione di esistere". Marx continua: "Quindi, dal 1852, non so nulla di un 'partito' nel senso della tua lettera. Se tu sei un poeta, io sono un critico e per me le esperienze del 1849-52 sono state sufficienti. La "Lega", come la Société des saisons di Parigi e cento altre società, è stata semplicemente un episodio della storia di un partito che ovunque nasce naturalmente dal terreno della società moderna”.

Più avanti leggiamo: "L'unica azione che ho portato avanti dopo il 1852 per tutto il tempo necessario, cioè fino alla fine del 1853..., è stato la sistematica derisione e il disprezzo... contro gli inganni democratici dell'emigrazione e le sue velleità rivoluzionarie"... Marx parla poi degli elementi sospetti citati da Freiligrath come appartenenti alla Lega. Le persone citate, infatti, non sono mai state membri di questa organizzazione. E Marx aggiunge: "È certo che nelle tempeste si smuove il fango, che nessuna epoca rivoluzionaria profuma di acqua di rose, che a volte si raccolgono rifiuti di ogni tipo. Quando si pensa ai giganteschi sforzi diretti contro di noi da parte di tutto il mondo ufficiale che, per rovinarci, non si è accontentato di avvicinarsi a reati penali, ma vi si è immerso fino al collo; quando si pensa alle calunnie diffuse dalla "democrazia dell'imbecillità" che non ha mai saputo perdonare al nostro partito di aver avuto più intelligenza e carattere di lei, se si conosce la storia contemporanea di tutti gli altri partiti e se, infine, ci si chiede cosa si possa davvero rimproverare all'intero partito, si deve giungere alla conclusione che questo partito, in questo XIX secolo, si distingue brillantemente per la sua pulizia. È possibile, con la morale e le pratiche borghesi, sfuggire agli schizzi di fango? È proprio nei traffici borghesi che essi si trovano al loro posto naturale... Ai miei occhi, l'onestà della morale ... non è in alcun modo superiore all'abietta infamia che né le prime comunità cristiane né il club giacobino né la nostra ultima Lega sono riusciti a eliminare dal loro seno. Solo che, vivendo nell'ambiente borghese, ci si abitua a perdere la sensazione di rispettabile infamia o di infame rispettabilità.

La lettera, in gran parte dedicata ai dettagli del processo contro Vogt, si conclude con queste frasi: "Ho cercato... di chiarire l'equivoco di un "partito": come se con questo termine intendessi una "Lega" scomparsa otto anni fa o una redazione di giornale scomparsa dodici anni fa. Per partito intendo un partito in senso eminentemente storico. Il partito in senso eminentemente storico era per Marx il partito invisibile della conoscenza reale piuttosto che la dubbia conoscenza di un partito reale, cioè non concepiva alcun partito operaio che incarnasse, per il solo fatto di esistere, la "coscienza" o la "conoscenza" del proletariato. Negli anni in cui Marx si tenne lontano da ogni attività politica, dedicandosi esclusivamente a un'intensa attività scientifica, non smise mai, quando se ne presentava l'occasione, di parlare a nome del partito invisibile di cui si sentiva responsabile. Così, nel 1859, ricevendo una delegazione del Workers' Club di Londra, non esitò a dichiarare che si considerava, con Engels, il rappresentante del "partito proletario". Lui ed Engels, diceva, avrebbero avuto questo mandato solo da loro stessi, ma sarebbe stato "controfirmato dall'odio esclusivo e generale" di "tutte le classi del vecchio mondo e di tutti i partiti".

Quando, negli anni Sessanta, si verificò una rinascita del movimento operaio nei Paesi dell'Occidente, Marx ritenne che fosse giunto il momento di "riorganizzare politicamente il partito dei lavoratori" e di proclamare di nuovo apertamente i suoi obiettivi rivoluzionari. Nella mente di Marx, l'Associazione Internazionale degli Operai era la continuazione della Lega dei Comunisti, il cui ruolo era stato definito da lui e da Engels alla vigilia della Rivoluzione di febbraio. La Lega non doveva essere un partito tra gli altri partiti operai, aveva un obiettivo più alto, perché più generale: rappresentare in ogni momento "l'interesse del movimento totale" e "il futuro del movimento", indipendentemente dalle lotte quotidiane condotte su scala nazionale dai partiti operai. L'Internazionale dei Lavoratori, fondata a Londra nel 1864 in circostanze incomparabilmente più favorevoli della Lega dei Comunisti nella stessa città nel 1847, doveva essere sia l'organo delle aspirazioni comuni dei lavoratori sia l'espressione vivente della loro conoscenza teorica e intelligenza politica. L'Associazione Internazionale degli Operai era, secondo Marx, il partito proletario, la manifestazione concreta della solidarietà dei lavoratori nel mondo. Gli operai", scriveva Marx nel discorso inaugurale, "hanno nelle loro mani un elemento di successo: il loro numero. Ma i numeri hanno un peso nella bilancia solo se sono uniti dall'organizzazione e guidati dalla conoscenza".

Per Marx, l'Internazionale dei Lavoratori era il simbolo vivente di quella "alleanza tra scienza e proletariato" a cui Ferdinand Lassalle, prima di morire, aveva legato il suo nome. Dopo la caduta della Comune di Parigi, l'Internazionale non poté più svolgere il ruolo assegnatogli dal suo protagonista, che preferì riprendere il suo lavoro scientifico, pervaso dal desiderio di lasciare alle future generazioni operaie un perfetto strumento di autoeducazione rivoluzionaria. Marx fu il primo a riconoscere che "le idee non possono mai condurre oltre un vecchio stato del mondo" e che "per realizzare le idee, occorrono uomini con forza pratica" (La Sacra Famiglia). Ma se è vero che le idee possono portare solo "oltre le idee del vecchio stato del mondo", ne consegue che la vera metamorfosi del mondo implica sia la trasformazione delle cose che quella delle coscienze, e che il tipo di "uomo che vive in uno stato permanente di rivolta e di rifiuto è, in un certo senso, un'anticipazione del tipo umano della città futura, dell'"uomo integrale".

Fonte: Masses. Socialisme et liberté, N°13, février 1948