TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 14 settembre 2010

Coppia al bar


Edward Hopper, Nighthawks (1942)

Un brevissimo racconto, tratto da una raccolta in preparazione ispirata alla pittura di Edward Hopper.


Giorgio Amico

Coppia al bar



Camminavo lungo i portici della grande piazza alberata che un tempo erano stati il cuore di quella città. Ora ospitavano bar, pizzerie e un paio di ristoranti cinesi contornati da polverose lanterne rosse. Leggevo nomi esotici, fasulli come il cibo che si poteva trovare all'interno. Non che altrove ci fosse più autenticità. Quella città era un enorme equivoco.

Camminavo assorto nei miei pensieri. Non avevo chiaro dove stessi andando. Mi lasciavo portare dai ricordi, dalle sensazioni che quei luoghi mi suscitavano dentro.

Non era tardi, ma le strade erano semideserte. Non era stato sempre così. Lo sapevo bene. C'era stato un tempo fatto di sere animate e di vie affollate, ma era finito da un pezzo. "Dopo le otto in giro non si vede più nessuno – mi venne di pensare - La gente ha paura e si chiude in casa. Paura di che, poi?" Il fatto è che era una città di vecchi, senza passioni, senza speranza.

Pensieri inutili, di una malinconia malata.

Svoltai l'angolo che dava sul corso alberato, attraversai la grigia piazza e mi infilai nei vicoli. Anche lì il deserto. Entrai nel primo locale che vidi aperto, quasi sotto la volta della antica torre comunale.


Nighthawks, particolare

Superata la soglia, passai davanti al bancone e mi diressi nella saletta posteriore. Luci soffuse, divanetti, musica di sottofondo. La stanza era quasi deserta, solo una copia sedeva ad un tavolo d'angolo conversando a bassa voce.

Lei era bella. Di una bellezza non appariscente, ma che colpiva al primo sguardo. Era quasi senza trucco, lunghi capelli biondi, occhi azzurri profondi e tristi. Aveva un corpo sodo. Fianchi robusti che mettevano in evidenza la vita sottile e due piccoli seni. Non sapevo perchè, ma quella donna mi attirava, non riuscivo a staccarle lo sguardo di dosso.

Lui era il tipo dell'intellettuale, più vecchio di lei, fra i cinquanta e i sessanta. Le teneva la mano e le parlava concitato, tutto proteso in avanti.

E ad un tratto tutto mi sembrò privo di senso. Anche il loro parlare. Le parole che si scambiavano erano suoni indistinti, segni di solitudine, echi d'ombra.

Lei ora piangeva silenziosamente, le mani a nascondere il viso. Vedeva le sue spalle sussultare e il suo petto sollevarsi affannoso. Lui restava lì, seduto accanto a lei, immobile, incapace anche del più piccolo gesto.

Spinsi indietro la sedia e mi alzai.

Fuori il cielo si era fatto completamente buio. La notte mi avvolgeva silenziosa.

Una notte come tante che non lasciava memoria.