L'ultimo romanzo di Bruno Marengo. Una storia intramente giocata sul filo del memoria in un'Italia che sembra aver completamente dimenticata la sua storia.
Sergio Giuliani
Il tempo non ritorna
Il compiacersi di ricordi e un uso troppo chiuso e parziale del patrimonio della memoria è davvero un cattivo padrone ed è la spia di una irrisolta situazione di dialogo col prossimo per cui troppo si privilegiano le emozioni individuali e non rielaborate.
Ciò spiega il perché tanta cosiddetta “letteratura” ci venga a noia come un eccesso di miele e ci costringa a ricercare messaggi che siano davvero “libri” e non taccuini da psicanalisti a buon mercato.
Bruno Marengo non corre di certo questo rischio perché, da sempre nell’agone politico, ha rastremato ed educato le proprie pulsioni individuali e scrive ormai, dopo tante altre prove letterarie, in maniera concreta e piana.
Sgomberato il percorso da alcune insistenze memoriali che un poco facevano velo ai suoi esordi, ormai scrive senza ricorrere al !”fantastico”, al posticcio delle quinte di teatro e fa della sua esperienza un pretesto per costringerci a farci di una ragione del ribaltarsi dell’Italia così come l’abbiamo conosciuta e voluta e dell’improgrammabile, ma necessario futuro dei giovani.
Per questa tensione politica in senso lato ha scritto, a brevissima distanza di tempo, due romanzi che insistono precisi sullo stesso arco storico ed emotivo: il diventare “senza età” della generazione che era fanciulla o poco più (ma non tanto da non ricordarla o non averla imparata dalla cultura di casa ) al tempo della Resistenza
Due romanzi di sogno: in “Esperando Sevilla” un viaggio mai compiuto in una Spagna del tutto immaginata e poco ingrigita dal franchismo e in questo ultimo, “Il tempo non ritorna”, l’aquilone trascinante è la ricerca della gozzaniana “Isola non trovata” che qualcuno dice di aver visto, ma…..
Il secondo libro è, materialmente, la metà del primo. Marengo ha sfrondato i tanti episodi che gli vengono alla mente e la sua scure rigorosa non ha lasciato spazio all’intenerimento, al sorriso complice, alla confidenza, allo strizzar d’occhi al lettore. Solo apparentemente il breve romanzo è di intrattenimento piacevole: è un documento di bilancio di più di sessant’anni di storia visti da una città, Torino, allora avanguardia dell’antifascismo di Gramsci, di Gobetti, Di Foa, Di Bobbio, di Galante Garrone e quanti altri e dell’industria metalmeccanica italiana.
E’ la Torino che abbiamo allora scoperto con Pavese e con le edizioni Einaudi, la Torino che ci riallattava di cultura dopo il digiuno retorico del fascismo. E’ un romanzo d’amore per la città del barocco più leggero che esista, dei guasti architettonici mussoliniani (la torre littoria,il tratto iniziale di via Roma) e dell’incanto di angoli come Piazza Carlina, ma anche dell’amore di due ragazzi d’allora, nato a scuola, seguitato nella Resistenza e poi affidato a reincontri casuali, senza che sia mai stato negato e senza l’ultimo tocco che sarebbe parso ovvio, il vivere insieme.
Ma forse, sembra far intendere Marengo,proprio questo è l’inspiegabile crisma di un sentimento d’eccezione; non certo le contingenze della vita che non hanno potuto scalfirlo più di tanto.
Nell’ondante muoversi dell’esistenza, i due si ritrovano e si riallontanano con la stessa naturalità, fino a percorrere un lungo arco di vita legati da un affetto forte proprio perché estraneo ad angosce zuccherose. Lavorano ognuno a progetti diversi, ma quello che Tobino definì “..il giglio di quell’amore.”, ovvero il làscito della Resistenza è rimasto, eccome.
Per una rimpatriata voluta dai compagni di scuola, ormai tutti “senza età” i due si ritrovano (o, meglio, si ri-scontrano). La Torino di metà Novecento è molto mutata e l’uomo-senza-età deve rispondere duramente ai decerebrati degli slogans “Turin ai turineis” con l’antico canto anarchico “Nostra patria è il mondo intero/ nostra legge la libertà…”
E si è fatta l’ora del bilancio di un’esperienza: il grande inno porta via con sé le “canzonette” di gioventù e riprecipita l’uomo-senza-età, ci riprecipita in una società ribaltata e a contatto di giovani lontanissimi da chi li ha generati, pieni di ingenuità affettuose e di durezze, che non vogliono guardare in un futuro di cui nessuno sa e può dir loro nulla di preciso, di sensato.
Tutto all’aria, dunque? Tutto inutile: la fede politica, la militanza, le linee di comportamento sociale di chi ormai è senza-età? Inutile ricercare il punto dove si è deragliati? Esiste? E i sogni muoiono per consunzione o perché assassinati?
Gran tema, che rode un uomo scrittore come Marengo che l’agire politico lo ha ben conosciuto (è stato, tra l’altro, sindaco di Savona e di Spotorno ed ora è Presidente dell’Anpi savonese) e noi tutti. Egli lo vive senza recriminazioni, senza bestemmie, al di là del suo protagonista che ha un risentimento libertario per difendere immigrati e ragazzi che protestano (almeno quello: il diritto di rovesciare per non essere rovesciati!) E chissà – lo aspetta con fiducia – che dai nebbiosi comportamenti di oggi non nasca (e dovrà pur nascere!) un futuro per i giovani.
Non condivido l’apoditticità del titolo. Forse il nostro tempo non ritorna, pieno di rughe come ormai è. Ma ritorna qualcosa dell’esperienza, che ci matura con dolore, certo! Ne condivido, però, l’allerta “politico”il divenire sociale non fa mai due passi eguali, ma ha degli scarti: E Bruno Marengo, fatto saggio d’esperienza, ci invita ad ascoltarci e a capirci, senza pigrizie e viltà, come forse fa l’albero che perde le foglie, sopravvive al gelo che l’affatica e, in qualche modo, sa di rimetterle. Non eguali a quelle finite a terra, non durevoli oltre l’estate, ma sicuramente rinate.
Bruno Marengo
Il tempo non ritorna
De Ferrari ed.re 2010
€ 12
Sergio Giuliani, insegnante appassionato e controcorrente, è stato per molti anni una delle voci libere della scuola savonese. Esperto d'arte, critico letterario, cura la pagina delle recensioni librarie del giornale "Il Letimbro".