Si discute molto di Greta Thunberg e della sua battaglia per uno sviluppo sostenibile. Molti, anche a sinistra, criticano la mancanza di una visione ecologica del marxismo visto sbrigativamente come una ideologia ottocentesca della crescita delle forze produttive. In realtà, come dimostra questo scritto del 1909 di Anton Pannekoek, eminente marxista olandese e uno dei padri del comunismo dei consigli, la questione era chiara nelle sue linee essenziali già agli inizi del secolo scorso. Anche in questo ambito la storia del Novecento conferma come la sconfitta dell'ondata rivoluzionaria degli anni Venti abbia comportato l'imbarbarimento della vita sociale in tutti i suoi aspetti compreso quello della sostenibilità ambientale. E questo paradossalmente a partire proprio dall'industrializzazione (capitalistica di Stato) forzata nell'URSS staliniana prima e nella Cina maoista poi.
Anton Pannekoek
La distruzione della
natura (1909)*
Numerosi scritti
scientifici lamentano con trepidazione la crescente distruzione delle
foreste. Ma non è solo la gioia che ogni amante della natura prova
per la foresta che deve essere presa in considerazione. Ci sono anche
importanti interessi materiali, addirittura vitali per l'umanità.
Con la scomparsa di grandi foreste, territori noti nell'antichità
per la loro fertilità, densamente popolati, veri e propri granai per
le grandi città, sono diventati deserti rocciosi. La pioggia ormai
vi cade raramente, mentre devastanti piogge torrenziali distruggono
gli strati sottili di humus che dovrebbero fertilizzarli.
Dove la foresta di
montagna è stata spazzata via, i torrenti alimentati dalle piogge
estive trasportano enormi masse di pietre e sabbia, che devastano le
valli alpine, disboscano e distruggono i villaggi i cui abitanti non
hanno colpa "del fatto che il guadagno personale e l'ignoranza
abbiano distrutto la foresta nelle alte valli e nella regione delle
sorgenti"
"Interesse personale
e ignoranza": gli autori, che eloquentemente descrivono questo
disastro, non si soffermano sulle sue cause. Probabilmente credono
che sia sufficiente sottolineare le conseguenze per rimpiazzare
l'ignoranza con una migliore comprensione del fenomeno e per
annullarne gli effetti. Non vedono che si tratta di un fenomeno
parziale, uno dei molti effetti del capitalismo, questo modo di
produzione che è lo stadio supremo della ricerca del profitto.
Come è accaduto che la
Francia sia diventata un paese povero di foreste, al punto da
importare ogni anno centinaia di milioni di franchi di legname
dall'estero e spendere molto di più per mitigare le disastrose
conseguenze della deforestazione attraverso il rimboschimento delle
Alpi? Sotto il Vecchio Regime, c'erano molte foreste demaniali. Ma la
borghesia, al potere dopo la Rivoluzione francese, non ha visto in
queste foreste demaniali che uno strumento di arricchimento privato.
Gli speculatori hanno deforestato tre milioni di ettari di boschi per
trasformare il legno in oro. Il futuro era l'ultima delle loro
preoccupazioni, solo il profitto immediato contava.
Per il capitalismo tutte
le risorse naturali hanno il colore dell'oro. Più velocemente
vengono sfruttate, più il flusso d'oro si accelera. L'esistenza di
un settore privato ha come effetto che ogni individuo cerca di trarne
il maggior profitto possibile senza nemmeno pensare per un attimo
agli interessi dell'umanità. Pertanto, ogni animale selvatico ha un
valore monetario, qualsiasi cosa esistente in natura e in grado di
produrre profitto è immediatamente oggetto di una corsa allo
sterminio. Gli elefanti africani sono quasi scomparsi, vittime di una
caccia sistematica per recuperare l'avorio. La situazione è simile
per gli alberi della gomma, che sono vittime di un'economia
predatoria in cui si stanno semplicemente distruggendo gli alberi
senza ripiantarne di nuovi. In Siberia, si dice che gli animali da
pelliccia stiano diventando sempre più scarsi a causa della caccia
intensiva e che la specie più preziosa potrebbe presto scomparire.
In Canada, vaste foreste
vergini sono ridotte in cenere, non solo dai coloni che vogliono
coltivare la terra, ma anche dai "cercatori" in cerca di
giacimenti di minerali preziosi; costoro trasformano i pendii delle
montagne in rocce nude per ottenere una migliore vista d'insieme del
terreno. In Nuova Guinea è stato organizzato un massacro di uccelli
del paradiso per soddisfare il costoso capriccio di un miliardario
americano. Le follie della moda tipiche di un capitalismo sprecone
hanno già portato allo sterminio di specie rare; gli uccelli marini
della costa orientale d'America devono la loro sopravvivenza solo a
un rigoroso intervento statale. Tali esempi potrebbero essere
moltiplicati all'infinito.
Ma le piante e gli
animali non possono essere usati dagli umani per i loro fini? Qui,
lasciamo completamente da parte la questione della conservazione
della natura come si porrebbe senza l'intervento umano. Sappiamo che
gli umani sono padroni della terra e che trasformano completamente la
natura per i loro bisogni. Per vivere, siamo completamente dipendenti
dalle forze della natura e dalle risorse naturali; dobbiamo usarle e
consumarle. Questo non è ciò di cui stiamo trattando qui, ma solo
del modo in cui il capitalismo ne fa uso.
Un ragionevole ordine
sociale dovrà utilizzare i tesori della natura messi a sua
disposizione in modo tale che ciò che viene consumato venga allo
stesso tempo sostituito, in modo che la società non si impoverisca e
possa arricchirsi. Un'economia chiusa che consuma gran parte delle
semenze cerealicole sta diventando più povera e ha maggiori
probabilità di fallire. Questo è il modo di gestione della natura
del capitalismo. Questa economia che non pensa al futuro vive solo
nel presente. Nell'attuale ordine economico, la natura non è al
servizio dell'umanità, ma del capitale. A governare la produzione
non sono le esigenze dell'umanità, ma l'appetito del capitale per il
profitto, per l'oro.
Le risorse naturali
vengono sfruttate come se le riserve fossero infinite e inesauribili.
Con le conseguenze dannose della deforestazione per l'agricoltura,
con la distruzione di animali e piante utili, appare la naturale
limitazione delle riserve disponibili e il fallimento di questo tipo
di economia. Roosevelt riconosce questo fallimento quando vuole
convocare una conferenza internazionale per fare il punto sullo stato
delle risorse naturali ancora disponibili e adottare misure per
prevenire il loro spreco.
Naturalmente, questo
piano in sé è un puro esercizio di retorica. Lo Stato può
certamente fare molto per prevenire lo spietato sterminio di specie
rare. Ma lo Stato capitalista è solo un triste rappresentante del
bene comune perché deve piegarsi agli interessi essenziali del capitale.
Il capitalismo è
un'economia senza cervello che non può regolare le sue azioni in
base alla coscienza dei loro effetti. Ma la sua natura devastatrice
non deriva solo da questo fatto. Nel corso dei secoli passati, gli
esseri umani hanno sfruttato in maniera insensata la natura senza
pensare al futuro di tutta l'umanità. Ma il loro potere era ridotto.
La natura era così vasta e potente che con i loro mezzi tecnici
limitati essi non potevano che infliggerle un danno circoscritto. Il
capitalismo, invece, ha sostituito alla domanda locale la domanda
globale, ha creato mezzi tecnici per sfruttare la natura.
Oggi sono enormi masse di
materiale che subiscono colossali misure di distruzione e sono
spostate da potenti mezzi di trasporto. La società sotto il
capitalismo può essere paragonata alla forza gigantesca di un corpo
privo di ragione. Nel momento in cui il capitalismo sviluppa un potere
illimitato, allo stesso tempo devasta l'ambiente in cui vive in un
modo privo di senso. Solo il socialismo, che può dare a questo
potente corpo un pensiero e un'azione consapevoli, sostituirà
contemporaneamente la devastazione della natura con un'economia
ragionevole.
*Zeitungskorrespondenz.
n° 75, 10 luglio 1909. Traduzione nostra dalla versione francese.