Clusone. Danza macabra
Mettendo
l'uomo di fronte ai suo limiti e alla totale incertezza del futuro,
le epidemie hanno da sempre avuto un nesso fortissimo con il sacro,
cioè con il mistero della vita e della morte. Questo vale anche per
noi, che, proprio in quanto uomini ipertecnologici e dunque presuntamente onnipotenti, del sacro non sentiamo più la voce.
Raffaele K. Salinari
Coronavirus e il
castigo del PIL
Il processo di
secolarizzazione del nostro modello di civilizzazione sembra, a prima
vista, inarrestabile; questa progressiva, ed ingravescente, perdita
degli aspetti trascendentali di ogni fenomeno della vita ha, per
ultimo, colpito quelli un tempo percepiti come i più connessi alle
inferenze del numinoso in tutte le sue molteplici forme: le pandemie.
Quella da coronavirus, in specifico, è in assoluto la prima nata e
gestita a nel segno della quantità, senza la benché minima presenza
di rimandi simbolici. Anche il divino, almeno inteso in senso
classico, qui è scomparso, a meno che non si prenda in
considerazione come nuovo idolo il dio denaro.
Vedo satana cadere come
la folgore
Risalendo il filo del
tempo troviamo invece un nesso fortissimo tra epidemie e sacro, in
particolare nel legame tra la morbosità che affligge una intera
comunità e il gesto del sacrificio; in altre parole tra la violenza
ed il sacro. Sin dai primordi, infatti, il gesto sacrificale veniva
evocato per combattere o scongiurare un flagello epidemico e, quanto
più questo era grave, tanto più il sacrificio non poteva che essere
estremo, capitale. Di questa particolare tipologia di sacrificio si
possono, molto schematicamente, tracciare gli elementi essenziali. Il
primo è la dinamica della scelta vittimaria, del
cosiddetto pharmakos: il soggetto che doveva essere sacrificato.
Al di là delle modalità di esecuzione sacrificale, analoghe in
molte culture tradizionali, il meccanismo deve essere operato su una
forma di vita in grado, col suo sacrificio, di ottenere la
riconciliazione con le Potenze divine che hanno scatenato il morbo, o
lo possono debellare o, ancora, che hanno il potere di prevenirlo,
poiché l’umanità, da sola, non riesce ad ottenere questi
risultati. Paradigmatico è il caso di Eracle che presiede alla
lapidazione del mendicante straniero ad Efeso per scacciare la peste.
Riportiamo allora la
storia come viene narrata da Flavio Filostrato nel suo Vita di
Apollonio di Tiana. La lapidazione di Efeso, abbiamo detto, è posta
in essere nel momento in cui la città è vittima di una tremenda
pestilenza; ecco il presupposto fondamentale: una grave crisi,
irrisolvibile attraverso le forze umane e che mette in pericolo
l’esistenza stessa della comunità. In secondo luogo un mendicante
straniero viene identificato come vittima sacrificale perché
“demonizzato” e dunque esponibile alla violenza riparatrice;
terzo elemento: il culto di Ercole, che viene così onorato chiamando
la forza del dio in soccorso della città appestata.
Dice dunque Filostrato
riferendo le parole di Apollonio: «Fatevi coraggio, perché oggi
stesso metterò fine a questo flagello (la pestilenza). E con tali
parole condusse l’intera popolazione al teatro, dove si trovava la
figura del dio protettore. Lì egli vide quello che sembrava un
vecchio mendicante, il quale astutamente ammiccava gli occhi come se
fosse cieco, e portava una borsa che conteneva una crosta di pane;
era vestito di stracci e il suo viso era imbrattato di sudiciume.
Apollonio dispose gli Efesi attorno a sé, e disse di raccogliere più
pietre possibili e scagliarle contro quel nemico degli dei. Non
appena alcuni di loro cominciarono a colpirlo con le pietre, il
mendicante che prima sembrava cieco gettò loro uno sguardo
improvviso, mostrando che i suoi occhi erano pieni di fuoco. Gli
Efesi riconobbero allora che si trattava di un demone e lo lapidarono
sino a formare sopra di lui un grande cumulo di pietre. Dopo qualche
momento Apollonio ordinò loro di rimuovere le pietre e di rendersi
conto di quale demone avevano ucciso. Quando dunque lo ebbero
riportato alla luce, trovarono che era scomparso… A causa di questo
la statua del dio protettore, Eracle, venne posta proprio nel punto
dove il demone era stato ammazzato». Dopo che la vittima è stata
uccisa, la crisi finisce e l’equilibrio viene ristabilito, ci
ricorda René Girard nel suo Vedo satana cadere come la folgore.
Qui, come si vede, la
relazione tra la pestilenza ed il divino è inscindibile, e non solo
per questioni meramente legate all’arretratezza delle cognizioni
scientifiche, ma come mentalità sacrificale, cioè come alleanza tra
l’umano ed il numinoso: di ciò che comunque detiene le risposte
ultime sulle grandi questioni della vita e delle morte. Il morbo che
colpisce tutti spinge così la comunità ad interrogarsi sul senso
stesso dell’esistenza. La scelta della vittima è dunque di volta
in volta dettata dalla relazione mitica con la Potenza alla quale si
offre il sacrificio; senza questo il gesto non ha senso alcuno e si
riduce a pura violenza fine a se stessa. E così, cosmologicamente,
il rito sacrificale riproduce il patto fondativo con la Potenza al
quale è dedicato; senza questo rimando la ritualità non ha nessuna
efficacia perché non rinnova l’alleanza, cioè la consapevolezza
di un destino comune tra umano e divino.
In questa prospettiva
pattizia la divinità non solo risana, ma previene: Ovidio,
nei Fasti (V, v. 622 sgg.), dice che, nei tempi
arcaici, Giove Fatidico prescrivesse ai nativi laziali di gettare nel
Tevere, ogni anno, una vittima umana per ogni gens, in onore del
«vecchio falcifero», cioè di Saturno. A questo «tuffo capitale»
pose fine Ercole, che sostituì i corpi umani con dei fantocci. Il
rituale proseguì poi nei secoli, durante le feste degli Argei il 15
maggio, con il lancio da parte delle Vestali, di fantocci in giunco
(scirpea), rappresentanti gli stessi Argei, i cosiddetti «Quiriti di
paglia», dal ponte Sublicio. Come abbiamo visto, qui viene
sostituita la vittima umana con un suo idolo, esattamente come già
nell’antica Grecia il pharmakos umano veniva rimpiazzato
da un animale; nella Bibbia, e prima ancora, dal «capro espiatorio»
o, come nel caso di Edipo e della peste ad Atene, dal suo esilio per
avere infranto le leggi delle moralità ed aver così attirato il
flagello sulla città. Anche in Edipo sussiste una forma di
sacrificio cruento: egli si acceca.
Ora, dato che Ovidio non
ci parla esplicitamente del mito fondativo, dobbiamo cercarlo in
relazione all’elemento distintivo di questo rito sacrificale
capitale, cioè nello specifico fatto che si tratta di un tuffo
mortale nell’acqua. E giacché il rito arcaico viene prescritto in
onore di Saturno, che evirò il padre Urano, possiamo pensare che
esso riproduca, attraverso la morte rituale o simbolizzata,
l’originale sacrificio divino che diede origine al Mondo. In
particolare, sempre nel sottolineare il nesso tra prevenzione del
morbo e divinità, ricordiamo come dai genitali di Urano nascesse
Venere, Afrodite, dea della Bellezza e dell’Amore, le forze
generatrici per eccellenza, e dunque contrarie a quelle distruttive
del morbo. Ritroveremo queste ascendenze quando parleremo
dell’epidemia di Spagnola sul finire del primo ventennio del ‘900.
Più in generale il rito sacrificale officiato nell’acqua rimane
una promessa di rinnovamento: anche nel battesimo l’acqua carica su
di sé ogni impurità per dissolverla e permettere così il sorgere
di un nuovo ciclo.
La peste medioevale
Ora, noi sappiamo che
forme di sacrificio cruento sopravvivono fino al Medioevo, ed
esattamente sino all’epoca dei grandi attacchi di panico scatenati
da una calamità di proporzioni bibliche come fu la peste nera, i cui
capri espiatori furono, di volta in volta, gli Ebrei o le streghe. La
peste nera è stata la malattia, in verità ancora presente nel mondo
moderno – solo negli USA ogni anno muoiono almeno una decina di
persone di peste bubbonica – che forse più di altre ha catalizzato
elementi irrazionali ed ascendenze religiose. Basti pensare alle
caratteristiche delle due figure fondamentali cui venne attribuita la
cause di tutto. Non parliamo degli «untori» di manzoniana memoria
poiché, notoriamente, essi erano solo un fattore di trasmissione del
male, non la sua eziologia. Certo importanti, non ne erano la causa
ma un suo tramite; gli Ebrei, invece, in quanto deicidi, ne
erano naturaliter i responsabili, per la loro colpa di
origine, così come per gli stessi motivi religiosi lo erano le
streghe. Anche qui il nesso tra violazione dell’ordine divino ed
epidemia come punizione, appare più che chiaramente.
Il caso degli Ebrei è
magistralmente descritto da Furio Jesi nel suo L’accusa del
sangue, la macchina mitologica antisemita, quando prende come esempio
paradigmatico di Ebreo medioevale uno dei protagonisti del Miracolo
di Teofilo. Questo è un dramma liturgico, messo in scena la prima
volta nel 1263, in cui l’autore, Rutebeuf, uno delle maggiori
personalità artistiche del ‘200 francese, racconta la storia di
san Teofilo di Adana che avrebbe prima, per vendetta, venduto la sua
anima al diavolo e poi, pentitosi, sarebbe stato salvato dalla
Madonna. Nel dramma il pio Teofilo, abbandonato da tutti perché
aveva rifiutato di divenire vescovo, si reca dall’Ebreo Salatino e,
per suo tramite, prima conclude un patto con il diavolo, che
ovviamente gli frutta ricchezza ed onori ma la dannazione dell’anima,
poi, pentitosi, invoca la Madonna. Nel nostro caso la figura centrale
è quella dell’Ebreo Salatino che fa da tramite con il demonio,
portatore di tutti i mali. Quest’opera, ci ricorda Jesi, fissa sino
al ‘900 la figura del semita diabolizzato e tentatore, cui si
appoggia la macchina generativa dell’immaginario antigiudaico,
composto da temi quali l’invidia per la loro ricchezza, il
disprezzo e la paura per il loro sapere, spesso anche scientifico, e
soprattutto quello medico, che veniva visto con sospetto. E Jesi,
opportunamente, conclude la sua riflessione proprio con l’omicidio
rituale che si sarebbe codificato, partendo da questo immaginario,
nel clima di paura e di terrore intorno al diffondersi delle epidemie
di peste nel XIV secolo. Anche nel caso delle streghe la relazione
diabolica è evidente, e le conseguenze analoghe.
La Spagnola
Guillaume Apollinaire
tornò dalle trincee della Prima guerra mondiale con una grave ferita
alla tempia. Un celebre quadro metafisico di De Chirico, dipinto
prima del fatto, lo ritrae come una silhouette che sembra una
sagoma di tiro al bersaglio con il centro proprio sulla testa, nel
punto dove Apollinaire verrà effettivamente ferito. Ma, mentre
il vate dell’avanguardia letteraria francese sopravvisse alla
Grande Guerra, non ebbe la stessa sorte di fronte alla Spagnola, la
terribile influenza che lo uccise insieme a molti altri del suo
calibro, come Egon Schiele, Max Weber ed Edmond Rostand, tutte
vittime illustri della ferale pandemia che, tra il 1918 e il 1920,
causò la morte di decine di milioni di persone. Ad onore del vero,
come sappiamo, il morbo non aveva nessuna origine prettamente
iberica: si chiamò così solo perché la stampa spagnola, non
compressa dalla censura bellica perché neutrale, ne parlò per
prima.
Anche in questo tornate
della relazione tra l’umanità ed i grandi flagelli, per certi
versi forse il più drammatico dopo quello della peste nera del
Medioevo, non mancarono di tornare in auge le ascendenze metafisiche
ed i conseguenti sacrifici vittimari, acuiti dall’incapacità di
una scienza, che già allora si credeva trionfante, di trovare alcun
rimedio. Si pensi che la Relatività Generale di Einstein, la più
grande teoria cosmologica scientifica che sostituì quella del Libero
Muratore ed alchimista Newton, è del 1916. E così la virulenza
della pandemia scatenò una serie di comportamenti del tutto simili a
quelli che abbiamo visto nel caso della peste ad Efeso: in Cile si
dette la colpa alle classi più povere, invasate dal demonio,
arrivando a incendiarne le case. A Odessa la popolazione rispolverò
rituali religiosi arcaici, gestiti da sciamani, per allontanare il
flagello, mentre in Sudafrica si può dire che nacque
l’apartheid poiché i bianchi accusarono i neri di essere
razzialmente portatori del flagello. Ma forse il fenomeno più
emblematico di questo nesso tra malattia e numinoso avvenne in
Brasile dove il carnevale del 1918 venne dedicato alla Morte per
Spagnola, con centinaia di carri che sfoggiavano demoni distruttori
mentre nei riti del Candomblè il culto degli Orixa
veniva gestito per esorcizzare il morbo dai corpi, ed una vera e
propria febbre erotica avvolgeva i partecipanti al carnevale in nome
di quella stessa Venere rigeneratrice della vita.
L’Aids ed il
Coronavirus
L’ultima
grande pandemia, peraltro ancora in corso, in cui forze sovraumane
sono state evocate, è quelle da HIV degli anni ’80 del secolo
scorso. Lo stigma di malattia inviata da dio per punire i costumi
sessuali di alcune comunità, all’inizio le più colpite dal virus,
è storia corrente. E questa sovrapposizione rende ancora più
emblematico il fatto che, solo pochi anni dopo, l’attuale pandemia
di Corona virus abbia cancellato di colpo ogni riferimento
all’ultraterreno, al metafisico, oscurando al contempo quella
relazione con la parte notturna ed irrazionale che però vive in
ognuno di noi e che, se rimossa, si ripresenta, in forme
secolarizzate, assumendo aspetti forse ancora più terrificanti. Come
leggere altrimenti il conto delle vittime del coronavirus calcolato
in base alla perdita di PIL? I giorni di quarantena presentati come
una catastrofe economica globale? Il dio denaro, sotto forma
dell’accumulo di oro, il metallo opposto a quello filosofico degli
alchimisti, si è dunque definitivamente imposto sui vecchi dei? Il
massimo della razionalità economica ci condanna al massimo
dell’irrazionalità relazionale? Sono domande sensate, per cui non
si tratta certo di tornare ai sacrifici vittimari, o di trovare nuovi
untori, come peraltro qualcuno vorrebbe, ma più semplicemente, o
difficilmente, riprender quella dialettica tra normalità e
normazione, tra cura di sé e cura dell’altro, di cui parlava
Foucault nelle sue ultime lezioni al College de France,
lasciandoci in eredità le sue riflessioni sul letto di morte tutte
rivolte a riconciliare l’umanità con i suoi mali visti come grande
opportunità per riflettere sul senso stesso della vita.
il Manifesto/Alias - 7 marzo 2020