Giorgio Amico
I grandi rastrellamenti dell'inverno 1944
I grandi rastrellamenti della fine del 1944 segnano un momento centrale nella storia della Resistenza, anche se non sempre gli storici lo hanno considerato tale. Delle quasi settecento pagine della loro recentissima – e sia detto per inciso, mediocrissima - Storia della Resistenza Marcello Flores e Mimmo Franzinelli dedicano a quegli avvenimenti un paio di pagine, mentre si dilungano per decine di pagine su episodi, del tutto marginali, riguardante i contrasti tra garibaldini e partigiani di altre formazioni in alcune località del Nord.
In realtà, gli avvenimenti dell'autunno-inverno 1944 sono stati cruciali per l'esito della lotta, Roberto Battaglia, primo grande storico della Resistenza, nel suo lavoro che nonostante gli anni resta ancora in molte parti insuperato, li definisce la pagina più tragica della Resistenza dedicandogli un intero capitolo dal titolo significativo «Grandi speranze.Terribili lutti».
Grandi speranze generate dalla rapida avanzata delle truppe alleate nella primavera del 1944 che fa pensare che la guerra, almeno in Italia, sia ormai prossima a finire con una rapida occupazione della Valle Padana e la resa dei tedeschi. È convinzione diffusa che non si andrà oltre l'estate, al massimo all'inizio dell'autunno. Sull'onda di questa speranza si moltiplicano le zone liberate, dall'Ossola, alla Carnia, dalla repubblica di Montefiorino alla città di Alba.
Ma, arrivate all'Apennino tosco-emiliano, che diventerà poi la cosiddetta «Linea gotica», gli Alleati improvvisamente si fermano, quando Bologna dista appena una ventina di chilometri e i partigiani stanno già preparando l'insurrezione in città. I motivi sono molteplici.
Lo sbarco degli Alleati a giugno in Normandia e poi agli inizi di agosto in Provenza cambia l'andamento della guerra sul fronte occidentale. Centrale diventa lo sfondamento a nord sulla linea del Reno, il fronte italiano diventa secondario.
Sul piano diplomatico i colloqui in corso fra le tre grandi potenze – Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione Sovietica – che porteranno poi alla Conferenza di Mosca del 9 ottobre, dividono l'Europa secondo aree di influenza precise. L'Europa orientale diventa di competenza sovietica e di conseguenza non c'è più la necessità per gli angloamericani di arrivare velocemente in Austria per prevenire l'Armata Rossa.
L'ampiezza della Resistenza italiana sul piano militare e il suo attivismo politico rappresentano una fonte di preoccupazione per gli alleati che diffidano dei comunisti . Il timore è che si ripeta in Italia ciò che sta accadendo in Grecia, dove una volta cacciati i tedeschi, è iniziata una feroce guerra civile fra il governo monarchico sostenuto dagli inglesi e i partigiani comunisti. In qualche modo la Resistenza italiana va messa sotto controllo. Il risultato sarà il cosiddetto Proclama Alexander che il 13 novembre invita i partigiani a smobilitare in vista dell'inverno.
Pochi giorni prima, il 27 ottobre, si erano fermate le operazioni sulla linea gotica. Il comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, il maresciallo Kesselring, può impegnare tutte le truppe disponibili nella lotta antipartigiana. Più che di rastrellamenti si deve parlare di una vera e propria gigantesca offensiva che impegna almeno 7 divisioni tedesche e tutte le forze utilizzabili della RSI.
L'ordine di servizio del comando tedesco è significativo. Kesselring non si fida dei fascisti: “Nessuna comunicazione deve essere trasmessa. Per quanto riguarda i comandanti italiani, possono essere messe a conoscenza solo gli elementi considerati di tutta fiducia”. L'offensiva dovrà essere condotta con “la massima asprezza”. Considerato che il movimento partigiano è ormai saldamente radicato fra le popolazioni, occorre fare terra bruciata. Lo scopo dell'operazione in preparazione non è solo l'annientamento delle bande partigiane, ma terrorizzare la popolazione. In questo quadro si inseriscono le stragi di indiscriminate di civili, le più feroci dell'intera guerra, di cui Marzabotto è il caso più noto.
In realtà le operazioni antipartigiane erano già iniziate in estate. Tra agosto e settembre l'intervento è limitato ad alcuni settori del Nord-Est per tenere libere le comunicazioni con l'Austria. A settembre l'attacco si generalizza. La repubblica di Montefiorino, che controlla i passi sull'Apennino, è la prima ad essere attaccata e distrutta, poi è la volta della Carnia, dell'Ossola che fa da tramite con la Svizzera, poi la Garfagnana per ripulire le retrovie della Linea gotica. Infine Alba, occupata dai partigiani per 23 giorni, le valli piemontesi e la Liguria per rendere sicuro il retroterra del fronte francese.
Rispetto al Proclama Alexander il CLN si divide. I moderati sono per sospendere le azioni militari e limitarsi al sabotaggio. È Edgardo Sogno, che con la Organizzazione Franchi opera alle dirette dipendenze dei Servizi inglesi, il più accanito a sostenere questa tesi. Sarà Longo a nome del comando generale, ma di fatto del PCI, a dire no alla smobilitazione. Una decisione che impedisce che la Resistenza italiana sparisca dalla scena politica. A questa ferma presa di posizione del PCI e di Longo, sostenuto da socialisti e giellini, si deve se nel 1947 De Gasperi potrà affrontare con dignità la difficile prova della Conferenza di pace. Il movimento partigiano ha continuato a combattere, nel marzo 1945 è passato alla controffensiva e nell'aprile con una grandiosa insurrezione popolare ha abbattuto la Repubblica fantoccio di Mussolini e costretto i tedeschi alla resa. Gli italiani si sono liberati da soli. Per questo possono presentarsi a testa alta alla Conferenza di pace. E ciò, non va mai dimenticato, è accaduto perché nonostante un inverno durissimo, forse il più freddo dell'intero secolo, una minoranza decise di non abbandonare le armi e di continuare la lotta.
Una minoranza perché per gli effetti congiunti del Proclama Alexander, che demoralizzò soprattutto i combattenti meno politicizzati e coscienti da poco saliti in montagna, e dei grandi rastrellamenti, il movimento partigiano passò da quasi 150 mila uomini a meno di 50 mila. Non potendo resistere sulle montagne, i reparti partigiani scesero in pianura. Dalle valli alpine il cuore della lotta partigiana diventò la pianura, le Langhe, il Monferrato, l'Oltrepo pavese. Fu la cosiddetta “pianurizzazione”, accompagnata dall'intensificazione della lotta dei GAP e delle SAP nelle città.
Fondamentale fu l'appoggio dei contadini. La Resistenza diventa guerra totale di popolo. È l'appoggio popolare a far superare la prova. In pianura le bande sono costrette a frammentarsi, a suddividersi in gruppi di due o tre combattenti, ospitati dai contadini nelle loro cascine nonostante il rischio sempre presente delle rappresaglie tedesche. Il cuore della lotta, l'anello forte, per usare la bella espressione di Nuto Revelli, sono le donne. Sono loro ad accogliere i partigiani, ad accudirli, a sfamarli. In quei giovani vedono i loro figli, i loro mariti, i loro fratelli, partiti per la guerra, soprattutto per la Russia, e mai tornati. I partigiani diventano i loro figli. Sarà il coraggio delle donne delle campagne a ridare motivazioni, forza e nuovo slancio alla Resistenza. Saranno le donne delle Langhe e della campagna padana a sconfiggere Kesselring. Ed è triste che non ci sia un monumento che lo ricordi e che anche nei libri si parli quasi esclusivamente dei partigiani combattenti. Una omissione che va al più presto superata.