Giorgio Amico
Italo Calvino, studioso di fiabe 2. Da James Bruyn Andrews a Vladimir Propp e Bruno Bettelheim
Nel 1954 La casa editrice Einaudi decide di pubblicare accanto ai grandi libri di fiabe popolari straniere una raccolta di fiabe italiane e affida l’incarico ad Italo Calvino che ricostruisce così la genesi del libro:
“La prima spinta a comporre questo libro è venuta da un'esigenza editoriale: si voleva pubblicare, accanto ai grandi libri di fiabe popolari straniere, una raccolta italiana (...) Era per me - e me ne rendevo ben conto - un salto a freddo (…) m'immergevo in questo mondo sottomarino disarmato d'ogni fiocina specialistica, sprovvisto d'occhiali dottrinari, neanche munito di quella bombola d'ossigeno che è l'entusiasmo - che oggi molto si respira - per ogni cosa spontanea e primitiva, per ogni rivelazione di quello che - con un'espressione gramsciana fin troppo fortunata - si chiama oggi il "mondo subalterno"; bensì esposto a tutti i malesseri che comunica un elemento quasi informe, mai fino in fondo dominato coscientemente come quello della pigra e passiva tradizione orale.
Intanto, cominciando a lavorare, a rendermi conto del materiale esistente, a dividere i tipi delle fiabe in una mia empirica catalogazione che via via ampliavo, venivo a poco a poco preso come da una smania, una fame, un'insaziabilità di versioni e di varianti (…) Ero stato, in maniera imprevista, catturato dalla natura tentacolare, aracnoidea dell'oggetto del mio studio; e non era questo un modo formale ed esterno di possesso: anzi, mi poneva di fronte alla sua proprietà più segreta: la sua infinita varietà ed infinita ripetizione. E nello stesso tempo, la parte lucida di me, non corrosa ma soltanto eccitata dal progredire della mania, andava scoprendo che questo fondo fiabistico popolare italiano è d'una ricchezza e limpidezza e variegatezza e ammicco tra reale e irreale da non fargli invidiar nulla alle fiabistiche più celebrate dei paesi germanici e nordici e slavi”
Calvino valuta il suo come un lavoro scientifico a metà:
“È scientifica infatti la parte di lavoro che hanno fatto gli altri, quei folkloristi che nello spazio d'un secolo hanno messo pazientemente sulla carta i testi che mi sono serviti da materia prima; e su questo loro lavoro s'innesta il lavoro mio, paragonabile come tipo d'intervento alla seconda parte del lavoro svolto dai Grimm: scegliere da questa montagna di narrazioni, sempre le stesse (riducibili all'ingrosso a una cinquantina di tipi) le versioni più belle, originali e rare; tradurle dai dialetti in cui erano state raccolte (o dove purtroppo ce n'è giunta solo una traduzione italiana - spesso senz'alcuna freschezza d'autenticità - provare - spinoso compito - a rinarrarle, cercando di rifondere in loro qualcosa di quella freschezza perduta)”
Lo scrittore dunque imposta il suo lavorare su tre fasi: scegliere le fiabe più significative, tradurle dalla versione dialettale in italiano e rinarrarle. Una riscrittura intesa come un'opera di restauro che rende a pieno sia la freschezza del racconto che il suo significato profondo.
Una volta terminata, la raccolta comprenderà complessivamente duecento fiabe di cui solo sette liguri provenienti dall'estremo Ponente (cinque) e da Genova (due). Il che conferma il dato già evidenziato di come la fiaba trovi il suo habitat naturale nelle campagne più che nelle città, dove l'evoluzione culturale è stata più rapida e ha cancellato gran parte della antica tradizione orale. Calvino spiega così, perché nonostante il suo profondo legame alla Liguria, quel territorio sia tanto poco rappresentato nella sua raccolta:
“Pochissimo della Liguria (e per me era come per chi, girando il mondo, passi davanti a casa sua e trovi l'uscio chiuso), ma non per un'apparente aridità poetica dell'indole ligure; quel che ho trovato mi conferma in un'idea che avevo - fondata su sparsi indizi soggettivi - d'un gusto fantastico goticizzante e grottesco”
E aggiunge in nota ad ulteriore spiegazione:
“I Contes ligures dell'Andrews, un folklorista inglese che abitava a Mentone,(...) il volume Terra e vita di Liguria di Amedeo Pescio, per quel che riguarda le fiabe, ritraduce quasi esclusivamente Andrews in genovese. Non conosco altre pubblicazioni liguri in materia. Un fantasioso scrittore e illustratore per l'infanzia, Antonio Rubino, narrò in giornali per ragazzi e libri molte leggende del suo paese, Baiardo, nell'entroterra di Sanremo.)”
E a questo punto si rende necessaria una breve digressione su chi fosse questo bizzarro inglese, che poi inglese non era.
James Bruyn Andrews (1843-1909) nasce in una ricca famiglia di New York. Per motivi di salute si stabilisce prima in Spagna e poi dal 1871 a Mentone. Membro della Société des lettres, sciences et arts des Alpes-Maritimes et de l’École de Bellanda de Nice, si dedica a studi di linguistica e di folklore sulla regione di Mentone. In particolare si dedica a raccogliere racconti popolari e fiabe che raccoglie poi nel 1892 in francese, traducendoli dal ligure ancora parlato dagli anziani in un territorio che fino al 1861 era stato sabaudo, con il titolo «Contes Ligures». Fiabe raccolte dalla viva voce della gente. Le sue fonti sono quasi esclusivamente donne, tanto che potremmo chiamare la raccolta I racconti della nonna, sia della borghesia che del popolo. Nella versione originale in dialetto ligure questa differenza sociale si nota, sia per le modalità narrative usate che per la correttezza formale del linguaggio. Differenze preziose per comprendere come anche la memoria orale abbia modalità di trasmissione diverse a seconda della collocazione sociale e dunque culturale delle fonti. Diversità che ovviamente non si trovano più nella traduzione francese, dove il linguaggio e le modalità del raccontare diventano uniformi. Questi racconti tradizionali provengono in larga parte da Mentone (quarantaquattro), Roccabruna e Sospello, da Ventimiglia (sei) e arrivano fino ad Arzeno d'Oneglia e Genova (quattordici). Insomma, James Bruyn Andrews è il primo a raccogliere le fiabe della tradizione ligure di Ponente.
E di nuovo ci tocca fare una digressione. Questa volta andando addirittura all'estremità opposta dell'europa, nella lontanissima Russia alla ricerca di uno studioso, Vladimir Propp (1895-1970), che rappresenterà un punto di riferimento fondamentale per Calvino.
Nei suoi studi, fondamentali per chi voglia avvicinarsi con criteri scientifici a questo genere narrativo e per questo utilizzati moltissimo nella nostra scuola dell'infanzia e primaria – all'avanguardia, lo diciamo con orgoglio, nell'uso didattico della fiaba - Morfologia della fiaba e Radici storiche dei racconti di fate, Propp, che era un linguista, sviluppa il seguente schema di catalogazione e di interpretazione della fiaba che si può così riassumere:
1) Le fiabe sono di tre tipi: fiabe magiche, fiabe della vita e fiabe degli animali.
2) Esistono otto categorie di personaggi-tipo:
L'antagonista: colui che lotta contro l'eroe.
Il mandante: il personaggio che esplicita la mancanza e manda via l'eroe.
L'aiutante magico: la persona che aiuta l'eroe nella sua ricerca.
La principessa o il premio: lo scopo del viaggio dell'eroe che spesso termina quando riesce finalmente a sposare la principessa, sconfiggendo l'antagonista.
Il padre di lei: colui che fornisce gli incarichi all'eroe, smaschera il falso eroe e celebra poi il matrimonio.
Il donatore: il personaggio che prepara l'eroe o gli fornisce l'oggetto magico che lo aiuta a superare la prova.
L'eroe o la vittima: colui che compie l'impresa e sposa la principessa.
Il falso eroe: la persona che si prende il merito delle azioni dell'eroe o cerca di sposare la principessa.
Spesso, uno stesso ruolo può essere ricoperto da più personaggi.
3) Lo schema della narrazione segue una scansione codificata:
1. L´introduzione alla situazione
2. Una mancanza oppure una sciagura viene rivelata e spinge l´eroe a partire da casa
3. L´eroe incontra il donatore (personaggio da cui ottiene un oggetto magico qualsiasi con l´aiuto del quale riesce a eseguire i compiti assegnati)
4. Strada facendo l´eroe può incontrare dei personaggi che lo aiutano – gli aiutanti
5. L´eroe compie i lavori assegnati
6. L´eroe vince l´antagonista
6. L´eroe ottiene il trofeo, quasi sempre la mano della principessa.
Calvino condivide le tesi di chi vede nella fiaba l'ultima testimonianza di riti e miti antichissimi, sopravvissuti ai millenni ben custoditi dall'inconscio collettivo, come in ultima analisi fa lo psicoanalista austriaco, poi naturalizzato americano, Bruno Bettelheim (1903-1990) nel suo splendido libro Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (1976) in cui sostiene che le fiabe dei Grimm sono rappresentazione di temi freudiani e dei passaggi che deve affrontare il bambino per raggiungere una maturità equilibrata.
“Le scuole – scrive Calvino - che studiano i rapporti tra la fiaba e i riti della società primitiva danno risultati sorprendenti. Che le origini della fiaba siano là mi pare indubbio”
E aggiunge in nota richiamandosi a Propp:
“Confrontando le fiabe popolari russe con le testimonianze degli etnologi sui popoli selvaggi, Propp arriva alla conclusione che la nascita di molte delle fiabe popolari giunte fino a noi sia avvenuta nel momento di trapasso dalla società dei clan, basata sulla caccia, alle prime comunità basate sull'agricoltura; quando cioè i riti di iniziazione caddero in disuso e i racconti segreti che li accompagnavano o precedevano cominciarono a esser narrati senza più alcun rapporto con le istituzioni e le funzioni pratiche cui erano legati, persero ogni significato religioso e diventarono storie di meraviglie, crudeltà e paure”.
(Seconda parte di una lezione tenuta a Quiliano nel gennaio 2018 nell'ambito dei corsi dell'UniSabazia. Le citazioni di Calvino sono tratte dalla introduzione alla sua raccolta di fiabe italiana pubblicata da Einaudi.)
2. Continua