In ricordo delle vittime della bomba di Piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli, militante anarchico, morto innocente nei locali della Questura di Milano.
Giorgio Amico
Piazza Fontana, lo Stato è nudo
Piazza Fontana fu per la mia generazione, o per lo meno per quella parte della mia generazione che in quel momento era attivamente impegnata in politica e rifletteva sull'esistente, la dimostrazione più evidente che il «re era nudo», che questo tipo di società, considerata non come un aggregato di individui, ma come un insieme di classi e di poteri, era disposta nei suoi stessi organi istituzionali ad abbandonare ogni tabù e ogni norma che si era data se quelli che erano gli equlibri che sorreggevano questi poteri e questi interessi erano anche minimamente messi in discussione.
Piazza Fontana fu per la mia generazione la rivelazione del carattere vero dello Stato al di là di ogni retorica. Caduti tutti gli orpelli sull'interesse generale e il bene comune, lo Stato si rivelò in quei giorni per quello che era veramente: puro esercizio della violenza in funzione del mantenimento degli assetti politici ed economici esistenti. In sostanza quello che già nell'Ottocento aveva affermato Friedrich Engels, o se si vuole, molto prima di lui, uno dei padri del pensiero politico moderno, Thomas Hobbes, con la sua teoria del Leviatano. Ovvero lo Stato come detentore del monopolio della violenza in nome della convivenza e della pace civile, ovvero della stabilità del potere.
In quei giorni tragici in molti capimmo che, quando gli interesse dei gruppi dominanti e non necessariamente solo nazionali vengono messi in discussione, allora lo Stato abbandona tutti i suoi orpelli per tornare ad essere il Leviatano: gruppi di uomini armati secondo la definizione di Engels, violenza pura. Un fenomeno già visto nella storia recente d'Italia. Nel 1922 con il fascismo andato al potere con l'appoggio pieno della monarchia, degli apparati dello Stato, dell'esercito, della magistratura, della Chiesa.
Nel dicembre 1969, dopo la bomba alla Banca dell'Agricoltura e il volo di Pinelli dalle finestre della Questura di Milano, per chi ragionava sull'esistente cadde il velo dagli occhi. Lo capì Pasolini, lo capimmo noi. Qualcuno voleva con il terrore fermare il movimento nato con le prime occupazioni del '67, l'ondata studentesca del '68 e quella operaia del '69. Un movimento che era stato soprattutto una grande festa libertaria. Ora la festa era finita. Se per qualcuno lottare contro il “sistema” era un gioco, quel gioco era finito. Come Pasolini conoscevamo nomi e appartenenze di mandanti ed esecutori. Lo Stato aveva dichiarato guerra ai suoi cittadini per preservare equilibri stabiliti altrove. L'Italia doveva ad ogni costo restare democristiana e atlantica. Il Partito comunista doveva rimanere fuori del governo. Lo voleva Washington, lo voleva la NATO , lo volevano i partiti “atlantici”, DC e PSDI in testa. Nessun cambiamento di quegli equilibri poteva essere tollerato.
Per questo nel 1978 al tempo del sequestro Moro, quelli della nostra generazione che non avevano dimenticato, sostennero la tesi del ” né con le BR né con lo Stato”.
Certo la lotta armata era una strategia perdente che poteva solo causare lutti e finire, come accadde, con una sconfitta epocale del movimento operaio e la liquidazione politica di un'intera generazione. E dunque andava respinta e combattuta politicamente. Ma non si poteva neanche solidarizzare con lo Stato delle stragi, dei depistaggi, dei golpe. Uno Stato che aveva dichiarato guerra ai suoi cittadini per mantenere equilibri che non erano solo italiani, ma internazionali.
Una tesi che allora fece e ancora oggi suscita scandalo fra i benpensanti, ma che allora fu anche la mia e che ancora oggi rivendico con la stessa convinzione.