Eleusi, sede degli antichi Misteri che portano ancora il suo nome, è la capitale della cultura europea per il 2021. Alla sua tradizione iniziatica è stato dedicato, a cura di Davide Susanetti e Mattia De Poli, un libro collettivo Eleusi Cuore sapienziale d’Europa edito da Padova University Press. Attraverso le sue pagine gli autori si chiedono: cosa è rimasto oggi di quei Misteri? E le risposte sono affascinanti, perché riportano all’oggi ciò che potremmo pensare sia confinato in un passato che non ci ri-guarda più.
Raffaele K. Salinari
In cammino verso Eleusi
Ad un certo punto della sua lucida follia Nietzsche si chiede: «Cos’è Arianna?». Si noti bene, non «chi è» ma «cosa è». La domanda simboleggia qui l’ipostasi di una Potenza, qualcosa di materiale ed immateriale al tempo stesso, un principio labirintico come il mito che lo rappresenta e lo svolge. Il suo senso è quello di porre l’interlocutore nei meandri di un percorso percettivo visionario e caleidoscopico che – come le parti che costituiscono il corpo del Minotauro – via via che penetriamo in esso e da esso ci facciamo affascinare, illumina i contorni e la consistenza stessa della nostra realtà interiore. «Io sono il tuo labirinto» dirà Dioniso ad Arianna…Questa doppia percezione, fatta di corpo e anima, intuizione e razionalità, eccitazione e serenità, estasi e consapevolezza, è il cuore di ciò che avveniva ad Eleusi nell’antichità.
La città della cultura e i suoi Misteri
Eleusi, sede degli antichi Misteri che portano ancora il suo nome, è la capitale della cultura europea per il 2021. Alla sua tradizione iniziatica è stato dedicato, a cura di Davide Susanetti e Mattia De Poli, un libro collettivo Eleusi Cuore sapienziale d’Europa edito da Padova University Press. Attraverso le sue pagine gli autori si chiedono: cosa è rimasto oggi di quei Misteri? E le risposte sono affascinanti, perché riportano all’oggi ciò che potremmo pensare sia confinato in un passato che non ci ri-guarda più.
In realtà, anche se non è dato sapere cosa di preciso accadesse durante i riti dedicati a Demetra e a sua figlia Kore-Persefone, le divinità che presiedevano alle iniziazioni eleusine, anche noi moderni possiamo sperare di cogliere la natura essenziale dell’epopteia, della visione di «Quelle Cose», come venivano definite nella filosofia Greca classica: «Felice chi entra sotto terra dopo aver visto Quelle Cose: conosce la fine della vita, conosce anche il principio dato da Zeus», dice Pindaro. Gli fa eco Virgilio che, nelle Georgiche, riprende il concetto: «Felice l’uomo che ha potuto conoscere il perché delle cose e si è buttato alle spalle ogni paura e il destino che non dà tregua e lo strepito dell’avaro Acheronte».
La fonte della felicità dunque, per gli antichi, era la conoscenza, il risultato quotidiano di quel «conosci te stesso» senza il quale essa non sarà né vera né tantomeno duratura, poiché è autenticamente tale solo nella ricerca della libertà di essere come libertà nell’Essere. E, non a caso, l’Essere è il Tutto, cioè il Mondo stesso inteso nelle sue varie componenti. Ma, per giungere a questo risultato, o almeno percorrere la via che vi porta, è necessaria, ieri come oggi, una disciplina, una melete che, gradualmente ma con coerenza, ci accompagni consapevolmente nel labirinto delle possibilità e delle contraddizioni, per risolverle abbracciando il nostro stesso Minotauro, per ricongiungerci ad esso nella luce dell’aletheia, della verità.
L’esperienza iniziatica
Tornare oggi ad Eleusi significa, allora, cercare le tracce della Strada Sacra che conduceva il mystes verso i Misteri. Possiamo farlo cercando quelle immagini guida che con la loro potenza metaforica costruiscono il mezzo di trasporto ed il luogo stesso verso cui dirigerci: dobbiamo, in altre parole, metterci in stato di rêverie. Qui, evidentemente, non stiamo parlando di semplici sogni ad occhi aperti, né tantomeno di perderci nei meandri senza schema delle fantasticherie, ma di percorrere una rigorosa disciplina immaginale che ci metta in risonanza con le corrispondenze che legano il mondo «dentro» a quello «fuori» di noi. Ma è ancora possibile sognare in questo modo, incubare sogni lucidi – come si faceva in preparazione dei riti eleusini – nei nostri letti, con le sveglie pronte a suonare ogni mattina; è praticabile riacquisire, come dice René Guénon nel Re del Mondo, il «senso dell’eternità»?
Il grande dio Pan (non) è morto!
Gli autori del libro
ci dicono che non è stato sempre così difficile sognare; ecco che
il passato di Eleusi diventa il riferimento per un altro futuro,
forse il solo possibile. Noi sappiamo che siamo arrivati all’oggi,
o meglio a costruire le categorie mentali con le quali ragioniamo da
quasi tre millenni, da quando, al tramonto dell’Evo antico,
l’Occidente ha progressivamente incominciato a pensare che il
distacco dalla Natura, dalle sue voci, gli avrebbe consentito di
dirigere altrove il destino; che spingendosi oltre il pendolo della
perenne oscillazione ciclica vita-morte-vita, avrebbe finalmente
liberato la vita individuale dai limiti stessi della Vita. Ora forse
cominciamo a comprendere che così facendo l’abbiamo privata dal
suo senso, finito solo per mortificare la nostra stessa
esistenza: tornare ad Eleusi significa allora tornare
all’ascolto.
Plutarco, nel De defectu oraculorum, racconta
come durante il regno di Tiberio la notizia della morte di Pan
venisse rivelata a tale Tamo che sentì gridare, dalle rive di Paxos:
«Quando arrivi a Palodes annuncia a tutti che il grande dio Pan è
morto!». Gli autori cristiani riportarono l’episodio come fine del
politeismo; in realtà quella voce, oramai confusa, senza una
provenienza precisa, annunciava la morte della nostra capacità di
cogliere le suggestioni della Natura. Oggi, in piena pandemia da
Covid 19, dovuta ai tanti spillover che l’antropocene ha
causato, non dovremmo forse cercare di rimetterci all’ascolto di
ciò che simboleggiava quell’antico dio? Questo è il senso che,
oggi più che mai, scandiscono i passi del cammino verso Eleusi: è
tempo di un passaggio di-verso.
Il passaggio di-verso
Ecco allora che, per ritrovare il nostro cammino, dobbiamo pensare al ricongiungimento tra ciò che vive «dentro» e ciò che esiste «fuori» di noi: questo è il primo passo sulla Strada Sacra, la Ierá Odós che porta ai Misteri di Eleusini: il passaggio verso il luogo ed il tempo nel quale «la salvezza del Mondo consiste con la salvezza dell’anima»; la nostra Eleusi personale in piena contemporaneità.
Eleusi, infatti, era prima di tutto un luogo di passaggio cui si arrivava attraverso un cammino di-verso, come per tutti i luoghi iniziatici. Una situazione nella quale la strada fatta per giungervi era altrettanto, se non più, importante della permanenza in essa. Ed i passaggi di-verso sono tutte le situazioni in cui non possiamo sostare più di un istante ma, in questo istante, siamo posti di fronte all’evento che sembra illuminare ogni evento possibile. I passaggi di-verso allora, conducono al luogo in cui si tesse il nodo della nostra vita all’interno di «ciò che è comune a tutte le cose», la «trama nascosta più forte di quella manifesta» diceva Eraclito. Qui è dove possiamo incontrare il nostro risvolto, il disegno composto dal nesso tra trama ed ordito, natura e cultura; così, nell’intreccio si combina l’avvenire dell’anima individuale con quella del Mondo.
Quando finalmente giungeremo ad Eleusi, dovunque essa sia, sapremo che senza di noi immersi pienamente in questo luogo, il Mondo stesso non ha luogo… dunque «non ha luogo». Questo «qui ed ora» è dunque in ogni situazione piena della consapevolezza e della pienezza del nostro esserci, così come ogni giorno è quello del Giudizio. E dove viene esaltato questo passaggio di-verso è presente la conoscenza misterica, da Parmenide a Nietzsche, poiché testimonia ciò che non appartiene alla rappresentazione, all’apparenza, ma ha la natura stessa della realtà. Un esempio concreto è quello del Cammino di Santiago di Compostela, e più in generale di tutti i Cammini intrapresi al medesimo scopo.
La Strada Sacra è allora davanti a noi come una corda sospesa sull’abisso della scissione: scrutarlo mentre camminiamo verso la nostra Eleusi significa ri-conoscerci in ciò che abbiamo rimosso, renderci a noi stessi ed alla Vita che ci sostiene, liberarci dallo stato di semi-umani dominati dalla nostra stessa dis-umanità: in altri termini, come nella natura di ogni iniziazione, vuol dire re-esistere. La re-esistenza è allora questa restituzione del nostro Io all’anima mundi; un atto consapevole, animato da una pratica di conversione spirituale che porta ad effetto la possibilità di vivere le indefinite e sottili connessioni che ci inseriscono nella trama del Cosmo.
Ciò che incontriamo sul cammino verso Eleusi ci insegna che nessuna di queste relazioni dev’essere recisa, perché ogni radice troncata o dimenticata ci si rivolta infine contro, avvolgendoci in una stretta della quale diventiamo schiavi. Per essere chiari: non è forse altro il panico, latente o manifesto nei suoi attacchi, che la voce del grande dio Pan quando, non potendo più sussurrarci di rispettare le compatibilità tra noi e ciò che esso rappresenta, è costretto a bloccarci affinché ci asteniamo dal fargli e farci ancora del male? In questa veritiera prospettiva la voce del Covid ci lancia lo stesso terribile messaggio.
In compagnia degli dei
Eleusi è anche la patria degli Dei; sì, è vero che gli Dei «sono noi»: se osserviamo il Pantheon classico ci accorgiamo subito come esso rifletta il polimorfismo della psiche umana, archetipizzata sotto forma divina, poiché «noi possiamo solo fare nel tempo quello che gli Dei fanno nell’eternità» ci ricorda J. Hillman. Ma, ancora una volta, non ascoltando più le loro voci, che sono le nostre, abbiamo commesso un tragico errore, fonte di molti altri che ci hanno portato a perdere il cammino verso Eleusi: pensare che il movimento mitologico fosse discendente, cioè dagli Dei agli uomini, che essi fossero insomma una mera antropomorfizzazione del numinoso. No, ci dice Eleusi: il senso è invero ascendente, essi sono ciò che noi potremmo essere, uno specchio delle nostre potenzialità ascensionali, i custodi delle «acque superiori», non i produttori degli stagni inquinati.
Fratellanza e Manifestazione
Questo significa riconoscere che non possiamo percorrere la strada verso Eleusi da soli. Anche se il cammino è per sua natura personale, è altresì vero che c’è bisogno di una guida ed anche delle giuste compagnie. Non a caso ogni anno erano centinaia le persone che si muovevano verso il santuario eleusino, e la prima parte della strada era percorribile da tutti, iniziandi, iniziati, e non. Questa componente del corteo sacro è sempre rimasta in ombra, misconosciuta o interpretata dai mitografi come semplice corollario scenografico; in realtà la fratellanza tra animato ed inanimato, visibile ed invisibile, che questa prima parte del corteo esprimeva, era fondamentale per consentire agli iniziandi di proseguire la strada. La musica ed i canti, le danze, ma anche la voce degli animale e la fragranza delle piante, rappresentavano il Tutto che accompagna e contiene la vita: le voci delle Muse e della loro madre, la Memoria, simbolo della comune appartenenza di uomini e cose.
In realtà, se per un momento viaggiamo nello spazio e ci rechiamo presso alcuni popoli ancora legati alle tradizioni, vediamo che la pratica del totemismo è precisamente quella che avveniva nel corteo verso Eleusi. In processione non c’erano solo gli uomini, ma tutte le espressioni della Natura, a significare che la visione era possibile solo se il cammino veniva fatto insieme a tutte le altre forme della Manifestazione. È proprio la fratellanza tra tutte le forme del vivente allora, intesa come intersezione tra questi livelli, che dovrebbe fondare una visione che rende armonica al resto del Mondo la nostra stessa ricerca interiore dato che, alla fine, sarà proprio questo senso di comune provenienza, e dunque di destino, a farci vivere nell’intimo della nostra vita spirituale l’esperienza della comunione con il Principio: il segreto di Eleusi.
L’enigma della Sfinge
Il cammino verso Eleusi ci pone dunque una sfida: per rispondere alle angustie della modernità abbiamo bisogno di rispondere nuovamente all’enigma della Sfinge, ma in un altro modo, con un nuovo sguardo. E allora, dobbiamo intendere la domanda della Sfinge in questi termini: chi è un uomo che può riconoscersi nel Mondo, e «chi è» un Mondo che può riconoscersi nell’umanità? Per ritrovare la Strada Sacra dobbiamo fare in modo che la nostra risposta sia in armonia col modo in cui gestiamo la nostra vita, e ciò dovrebbe a sua volta essere in armonia con il funzionamento effettivo dei sistemi viventi: ciò che noi chiediamo di essere dovrebbe essere compatibile con ciò che chiediamo di essere al Mondo intorno a noi. Senza questo intento la Strada Sacra perde di senso, non «ha senso», e noi neppure.
Il Manifesto/Alias – 20 febbraio 2021