TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 9 giugno 2010

Trionfo del sacro e/o laicità?







La difesa della laicità dello Stato, condizione di eguaglianza dei cittadini, dalle interferenze clericali è uno dei temi centrali del dibattito politico in Italia. Basti pensare alllo scalpore suscitato recentemente dal caso Englaro. Ma religione e sacro coincidono? E soprattutto laicità e sacro possono convivere e come? Gianluca Paciucci passa in rassegna alcune recenti pubblicazioni su questo tema tanto delicato e complesso.

Gianluca Paciucci

Trionfo del sacro e/o laicità?


Tra gennaio e febbraio 2009, un grumo di anniversari e eventi si è rappreso nel dibattito attorno alla laicità e al ruolo del cattolicesimo nel nostro Paese: cinquant'anni dall'indizione del Concilio Vaticano II; settanta dal Concordato tra chiesa cattolica e fascismo, e venticinque da quello con l'Italia craxiana; revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani; fase culminante del caso Englaro, in un crescendo di trivialità da parte di gerarchi cattolici e di semplici fedeli; senza contare i quotidiani ammonimenti del pontefice di cui occorre accusare non tanto la chiesa di Roma, che fa il suo mestiere, quanto chi, nei media e nella classe politica, le apre spazi infiniti. Inoltre nelle pieghe dei bilanci di Governi e Regioni, si lasciano nidificare milioni di contributi per iniziative della chiesa cattolica, a sancire l'obbedienza di interi gruppi politici, a destra come a sinistra, che diventa sottrazione di denaro pubblico a scopi privati, a volte anche inconfessabili.



“...Ma del resto tutta la storia delle relazioni fra l'Italia e il Vaticano è una storia di quattrini...”, scrive Michele Ainis a pagina 15 di Chiesa padrona (1), e segue l'elenco di regali del nostro Stato al Vaticano, che in cambio restituisce disprezzo, oltre che richieste sempre più alte, richieste politiche prontamente esaudite: si pensi solo alla lotta contro i Di-Co, causa non secondaria delle continue balbuzie del governo Prodi. Il volume di Ainis è limpido: dopo aver analizzato gli articoli della Costituzione sulla questione religiosa, l'autore si concentra sull'art. 7 e sul Concordato del 1929, che considera abrogato dall'art. 13 di quello del 1984, e sugli ulteriori veleni che quest'ultimo ha introdotto nel nostro Paese, “dall'8 per mille agli insegnanti di religione pagati dallo Stato e scelti dalla Chiesa, fino alle res mixtae, all'insegnamento nelle scuole della religione cattolica anziché della religione in generale, agli effetti civili delle pronunzie dei tribunali ecclesiastici...” (pp. 68-69). Il libertario Craxi, come l'anticlericale Mussolini, con in mezzo il sì all'art. 7 dello stalinista Togliatti, hanno pietrificato il dibattito attorno a un tema scottante: come a dover scontare il 'peccato originale' della breccia di Porta Pia, che peraltro liberò l'Europa da uno Stato retto, come disse Cavour, dal “più schifoso dispostismo”. Con un bel guizzo, Ainis trasforma le sue considerazioni in un elogio del primo comma dell'art. 7, che recita “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”: un pleonasmo, lo giudicò Calamandrei, ma non inutile, dato che “indipendenza significa reciproca incompetenza dello Stato e della Chiesa”, “sicché né lo Stato italiano può interferire sugli interna corporis della Chiesa cattolica, decidendo, per esempio, che le donne devono accedere alle cariche ecclesiastiche, né la Chiesa può interferire sull'ordinamento interno dello Stato”. Da tutto questo deriva “il valore dell'art. 7, nel suo primo comma: questa disposizione è il manifesto laico dello Stato italiano” (tutte queste citazioni sono a pag. 76); e se invece la Chiesa di Roma continua a mettere il naso negli affari interni dello Stato italiano, qui si vede la viltà dell'attuale classe politica italiana, sempre a caccia di voti e di mandati, e genuflessa a ogni ruggitello d'Oltretevere. Se pacato è il tono complessivo del libro di Ainis, il finale è sferzante: “Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno venne condotto al rogo, nudo, e con una museruola alla bocca. Oggi come allora, lo Stato laico ha il compito di strappare via questa museruola” (pag. 103). Noi abbiamo questo compito.



Ugualmente importante è il volume Perché laico1 di Stefano Rodotà. Anch'egli pone l'accento su alcuni articoli della Costituzione, per evidenziare il forte arretramento di chi dovrebbe difendere lo Stato laico, e che questo non fa. Gli articoli esaminati sono di semplice interpretazione e solo la malafede può stravolgerli. Se l'art. 13 recita, al primo comma, che “la libertà personale è inviolabile”, nel 32 al secondo comma troviamo che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Una lettura onesta di questi passi avrebbe evitato molte sciocchezze su quei tremendi momenti che sono la malattia e la morte, e che non è bene affidare a 'esperti', sempre di parte e spesso necrofili. Se da un lato “l'argomento di rispettare la vita fino alla sua fine naturale appare insostenibile alla luce del fatto che l'intera medicina si presenta come portatrice di artificialità”, pericolose sono quelle interpretazioni che vertono sul dovere di curarsi “che ha le sue radici nell'obbligo del suddito di non recare danno al sovrano, privandolo delle sue prestazioni” (p. 87).
Anche l'art. 33 non presenta arcani: al comma 3 è scritto che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” Commenta Rodotà: “Di fronte a una formula così chiara non valgono a nulla giochi dialettici come quello di chi dice che il divieto riguarderebbe la sola 'istituzione' delle scuole, non il loro successivo funzionamento...” (p. 65). Eppure la scaltrezza dei cattolici ha ottenuto che fiumi di denaro scorrano verso le scuole private, mentre i crocifissi sono nelle aule scolastiche della scuola pubblica (e non l'articolo 3 della Costituzione, che dovrebbe essere parola comune e unificante) e gli insegnanti di religione cattolica godono di uno statuto stupefacente. Molto efficaci, inoltre, le pagine del capitolo “Sapienza e dintorni”, sulla mancata visita di Benedetto XVI all'Ateneo romano, e alle relative polemiche, tra cui quelle sulla proposta di nomina del professor Luciano Maiani a presidente del C.N.R.: le raffiche di dichiarazioni di parlamentari di centrodestra, che Rodotà riporta alle pp. 116-117, sono agghiaccianti.



Certo, ridurre il cattolicesimo alle manifestazioni della sua gerarchia è limitante, anche se necessario: per superare questo limite, percorriamo due dei volumi che, negli ultimi anni, hanno parlato di un altro cattolicesimo/cristianesimo. Si tratta di Contaminazioni (3) di Marcello Vigli e Cristianesimo ribelle (4) di Enzo Mazzi. In entrambi vi è la consapevolezza di un originario stravolgimento dell'insegnamento di Cristo, presto solidificatosi in una tradizione e in riti che poco hanno a che fare con quanto conosciamo del messaggio iniziale (“...Di fatto del Gesù storico non si sa quasi nulla...”, Mazzi, pag. 84) (5). Il passaggio dalla parte del potere di un movimento tendenzialmente nato per rovesciarlo, va situato nel IV secolo d.C., 'quando il nostro mondo è diventato cristiano', per dirla con Paul Veyne, quando tra Costantino e Teodosio si è compiuta l'istituzionalizzazione del movimento.
Vigli, in particolare, ripercorre la storia della chiesa, dal “Dictatus papae” di Gregorio VII (1073-1085) alle affermazioni degli Stati nazionali; dalle ambiguità del primo quarantennio del Novecento (stagione dei concordati e delle connivenze con regimi autoritari/fascisti) alla rinascita del Concilio Vaticano II; e infine alla 'rivincita di Dio', come recita il titolo di un volume di G. Kepel. Un efficace excursus che non nasconde la furia di tanto cristianesimo 'reale', ma che pure fa emergere figure e fasi estremamente significativi, a livello sia di riflessione teorica sia di lotta concreta (basti solo pensare a Ernesto Bonaiuti -toccante la minibiografia di pagina 101-, a Maritain e Teilhard de Chardin, alle figure dirompenti di Barth, Bultmann e Bonhöffer, a Carlo Arturo Jemolo -e ai cattolici anticoncordatari-, e poi don Milani e padre Balducci). Il percorso ci porta alla formulazione di una serie di questioni per l'oggi, che vanno dalla rivendicazione della laicità (come metodo e come cultura) che “interroga” i cristiani, fino alla formulazione finale di una “fede laica”, che è certo un ossimoro, ma vitale: è la “fede senza religione” di Bonhöffer, è la fede come “spazio vuoto” di Barth.


La riflessione di Enzo Mazzi (4) parte invece dal cuore del '68 (anzi dei molti '68) e dalla rivendicazione della ricchezza di quell'anno, anno di intense relazioni comunitarie e di scontri, anno di gestazione della speranza (“...la speranza è la grande nemica del potere. Il quale si nutre di disperazione, paura, rassegnazione e sottomissione...” - pag. 9), tra Ernst Bloch -più volte citato- e Marcuse; e si sofferma sui mesi della repressione della Curia di Firenze contro la comunità dell'Isolotto, con momenti come questo: “...Il vescovo, ai primi di gennaio 1969, mandò a celebrare un prete di curia accompagnato da una trentina di noti fascisti picchiatori, armati di catene e di bastoni, una delle prime squadre neo-fasciste che si preparavano alla strategia della tensione...” (p. 116). Curia e fascisti contro un'assemblea che si era detta 'popolo di dio' e aveva messo in comune vite ed esperienze, in uno dei quartieri più poveri della città. Mazzi, dopo la rimozione dall'ufficio di parroco, tornò tra la sua gente “come uomo libero dai vincoli del sacro” (p. 117). Proprio questo 'liberarsi dal sacro' è la cifra del pensiero comunitario dell'Isolotto. Suggestive sono le pagine centrali del libro in cui Mazzi ragiona sulla “cultura sacrificale” che ancora domina tutta la modernità, e la cultura cattolica in particolare, cultura ribadita dalla Dichiarazione Dominus Jesus del 5 settembre 20005, di cui si dà una pregnante lettura (pp. 77-86). Come uscirne? Sostituendo la condivisione al sacrificio, innanzitutto: “...il messaggio che emana dalla simbologia dell'ultima cena potrebbe essere questo: la via della salvezza non passa attraverso il sacrificio rituale, che è solo consolatorio, anzi è un imbroglio mascherato da sacro (il Tempio ridotto a spelonca di ladri). La via della salvezza sta nella condivisione degli elementi offerti dalla natura e dal lavoro dell'uomo, essenziali alla vita, simboleggiati dal pane e dal vino...” (pp. 158-9); attuando la scelta per la casa e la piazza (intimità aperta e circolarità) al posto del palazzo e del tempio (separazione e verticalità); praticando l' “oltre”, il “principio speranza”, l' “utopia concreta”, perché “siamo feti in perenne formazione chiamati da un 'Oltre' che ci attende e che possiamo solo intravedere...” (p. 169); infine costruendo un pensiero forte contro la “violenza del crocifisso” e l' “idolatria di Gesù”, contro la “sua mitizzazione” e “l'esclusivismo della sua figura” (pp. 186-7). Mazzi si lancia in campi insidiosi e fertili, in quel vuoto che genera e che potrebbe essere terra di nuove sfide anche per un pensiero laico, progressivo e antagonista capace di ridiscutere sé stesso e di abbandonare le cittadelle del proprio piccolo potere (piccoli templi sono le sedi dei nostri partitini, associazioni, circoli...), del proprio sacro, ormai ridicolizzato da chi il sacro sa praticare con ben altra forza e senza ipocrisie.

Note

1. Ainis, Michele, Chiesa padrona, Milano, Garzanti, 2009, pp.115.
2. Rodotà, Stefano, Perché laico, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 191.
3. Vigli, Marcello, Contaminazioni, Bari, Dedalo, 2006, pp. 299.
4. Mazzi, Enzo, Cristianesimo ribelle, Roma, Manifestolibri, 2008, pp.190.
5. Mazzi pone l'accento sui cosiddetti 'loghia', ovvero le prime testimonianze scritte su Gesù, ora leggibili anche in italiano in Robinson, James (cur.), I detti di Gesù, Brescia, Queriniana, 2007, pp. 64.



Gianluca Paciucci è nato a Rieti nel 1960. Laureato in Lettere, è insegnante nelle Scuole medie superiori dal 1985. Come operatore culturale ha lavorato e lavora tra Rieti, Nizza e Ventimiglia; in questa città è stato presidente del Circolo “Pier Paolo Pasolini” dal 1996 al 2001. Dal 2002 al 2006 ha svolto la funzione di Lettore con incarichi extra-accademici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Sarajevo, e presso l’Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina, come Responsabile dell'Ufficio culturale. In questa veste è stato tra i creatori degli Incontri internazionali di Poesia di Sarajevo. Ha pubblicato tre raccolte di versi, Fonte fosca (Rieti, 1990), Omissioni (Banja Luka, 2004), e Erose forze d'eros (Roma, 2009); suoi testi sono usciti nell’ “Almanacco Odradek”. Dal 1998 è redattore del periodico “Guerre&Pace”. Collabora con le case editrici Infinito, Multimedia e con la "Casa della Poesia".