TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 31 marzo 2011

Da leggere: Giorgio Ficara, Riviera


“O mæ mâ in dialetto ligure significa ‘il mio mare’, ma anche ‘il mio male’, la mia malinconia”. Il mare che ho di fronte, e ha di fronte il paese di mia madre con le sue casette multicolori, è per me l'aria di casa: libeccio frusciante sulle onde, vele, rosse reti al sole, campane, canti nei carrugi. E' un segno disponibile dell'infinito, che ha fatto sempre di questo luogo una specie di nave pronta a partire. Ma il luogo, di cui parlo, esiste ancora?” Questo il significativo incipit del nuovo libro di Giorgio Ficara, che ci accompagna tra luoghi e personaggi della Riviera ligure. Un libro di scoperte e di sorprese alla ricerca di un mondo che, se mai esistito, ormai da tempo non esiste più, diventato un luogo dell'animo.


Paolo Mauri


Ricordi e poesia della Riviera


Quasi sul finire del suo Riviera, Giorgio Ficara offre al lettore un' immagine-chiave. È legata all' abitudine del suo amico d' infanzia Agostino Gnecco: un abile nuotatore, sempre pronto ad immergersi nel mare per esplorarne fondali e tesori: paesaggi meravigliosi, pieni di colori incredibili e vivissimi, navi di epoche diverse e spesso anche molto remote che parlano di naufragi, di battaglie, di altre vite. È stato Leibniz, ricorda Ficara, a dirci che il mare custodiva la vita, prima che in forma più sbiadita, migrasse sulla terraferma. Confrontarsi col mare e con ciò che conserva, è un po' come confrontarsi con la memoria, propria o altrui non ha importanza, è come tuffarsi in ciò che è stato, pronti a rivivere la beatitudine dell' infanzia, quando dal letto si percepivano le voci provenienti dalla cucina e i profumi dei cibi invogliavano a godersi una nuova giornata. Riviera, il cui sottotitolo è La via lungo l' acqua, è dunque un libro di memoria: legato ai luoghi, certamente, a Rapallo, Portofino, Bordighera, ma anche,o forse soprattutto, alle persone che quei luoghi hanno abitato riempiendoli delle loro vite.

E di racconti terribili e meravigliosi, sapienti e ingenui come sanno esserlo i racconti popolari. I turchi in agguato, i naufragi su isole remotissime, la conquista del mondo che sta al di là dell' oceano, i miracoli. Ma non è l' avventura (o almeno non solo) ad affascinare l' autore: la sua è un' inchiesta filosofica e insieme poetica, condotta sul filo della perduta o smarrita cognizione della felicità. La Liguria non è (non è più) un paradiso terrestre e molte delle sue bellezze naturali sono perdute o inquinate.

Ma ognuno - e dovunque - può recuperare un equilibrio interiore, magari anche solo per un attimo, come ci insegna Montale, maestro di dolenti parvenze, a lungo frequentato dall' autore che di mestiere fa il professore di letteratura italiana e il critico letterario. Qui però insegna a se stesso a sfuggire persino alla letteratura: «La mia felicità, in Riviera, non era una droga , né era difficile da trovarsi, né pretendeva nulla».

Viene in mente il racconto di Marietta, quasi all' inizio del libro, una sorta di donna primitiva e boschereccia che da piccolo lo ammoniva: l' uomo più felice del mondo viveva su una montagna, senza camicia. A chi lo si può raccontare in tempi di consumismo sfrenato? Eppure ascoltare le voci che parlano del bello e del meraviglioso non è mai un esercizio sterile: a Montallegro il Santuario ricorda la storia di una apparizione della Vergine avvenuta il 2 luglio del 1557. Ne beneficiò il contadino Giovanni Chichizola, che non solo fu svegliato dalla Madonna, ma ebbe da lei un quadretto che la mostrava dormiente, assistita da tre vegliardi: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La leggenda contempla poi la sottrazione del quadro che però, in volo, tornava sempre lì, tra quei boschi sopra Rapallo. Ma non sempre i miracoli avvengono: Monet, per esempio, non riesce a dipingere la luce di Bordighera. Riviera è un libro insolito, da meditare. (Da: La repubblica, 11 giugno 2010)


Giorgio Ficara (Torino, 1952) è professore ordinario di Letteratura italiana all'Università di Torino. Ha insegnato negli Stati Uniti alla Stanford University, alla UCLA e alla University of Chicago; a Parigi alla Sorbona. Tra i suoi libri: Solitudini. Studi sulla letteratura italiana dal Duecento al Novecento (Garzanti, 1993); Il punto di vista della natura. Saggio su Leopardi (Il Melangolo, 1996), Stile Novecento (Marsilio, 2007) e per Einaudi Casanova e la malinconia (Saggi, 1999) e Riviera (Frontiere, 2010). Ha vinto nel 1984 il Premio per la Saggistica dell'Accademia Nazionale dei Lincei e nel 2010 il Premio Cardarelli per la Critica Letteraria. Collabora a «La Stampa». È direttore della Fondazione De Sanctis.


Giorgio Ficara
Riviera
Einaudi, 2010
€ 18,50