TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 7 marzo 2011

Da leggere: Il posto delle balene di J.M.G. Le Clézio


Un libriccino di 60 pagine che come le conchiglie racchiude il rumore del mare. Basta aprirlo e sfogliarlo per restarne affascinati. Ne pubblichiamo l'incipit e una recensione.

Jean-Marie Gustave Le Clézio

Il posto delle balene


Era in principio, proprio in principio, quando non c' era nessuno sul mare, soltanto gli uccelli e la luce del sole, l' orizzonte senza fine. Fin da bambino sognavo di andarci, in quel luogo dove tutto cominciava, dove tutto finiva. Ne sentivo parlare come di un nascondiglio, come di un tesoro. A Nantucket ne parlavano tutti, in quel modo in cui si parla da ubriachi. Laggiù, dicevano, in California, nell' oceano, c' è quel posto segreto dove le balene vanno a partorire i loro piccoli, dove le vecchie femmine ritornano per morire. C' è quella riserva, quella fossa immensa dentro il mare, dove si riuniscono a migliaia, tutte insieme, le più giovani con le più vecchie, e i maschi formano tutt' intorno una linea di difesa per impedire alle orche e agli squali di avvicinarsi, e il mare ribolle sotto i colpi di pinna, il cielo si oscura nel vapore degli sfiatatoi, i gridi degli uccelli fanno un rumore di fucina. Così diceva la gente, e tutti raccontavano di quel posto come se l' avessero visto. E io, sul molo di Nantucket, ascoltavo queste cose e me ne ricordavo anch' io, come se ci fossi stato. E ora, è scomparso tutto. Ma io me ne ricordo, ed è come se la mia vita non fosse stata altro che quel sogno, nel quale veniva distrutto tutto ciò che nel mondo era bello e nuovo. A Nantucket non sono mai tornato. Chissà se il rumore di quel sogno esiste ancora. Le grandi navi affusolate, gli alberi alti dai quali l' uomo di vedetta scrutava il mare, le lance appese alle fiancate, pronte a solcare il mare, i puntelli, gli arpioni, gli uncini, pronti a fare il loro lavoro. E il mare color sangue, nero sotto il cielo pieno di uccelli. Il mio ricordo più lontano, a Nantucket, era l' odore del sangue, nel mare, nel porto ancora grigio di fine inverno, quando le baleniere tornavano dall' altro capo del mondo rimorchiando i giganti morti. Poi, sui moli, i corpi enormi fatti a pezzi a colpi d' ascia e di sega, i fiumi di sangue nero che colava nei bacini della darsena, l' odore acre e intenso, l' odore delle profondità marine. Ho camminato lì, quando avevo otto anni, fra le carcasse che marcivano. I gabbiani abitavano il corpo dei giganti, ne schizzavano fuori strappando via pezzi di pelle o di grasso. Di notte, c' era l' esercito dei ratti, entravano nelle carcasse come dentro a una montagna scavata da gallerie. Mio zio Samuel lavorava al sezionamento. Fu lui a mostrarmi per la prima volta la testa dei giganti, la mandibola immensa, l' occhio così piccolo, sepolto sotto strati di pelle, l' occhio privo di sguardo, coperto da un velo azzurrognolo. Respiravo l' odore orrendo del sangue e delle viscere, e mi immaginavo quei corpi vivi, che balzavano tra i flutti, il rombo dell' acqua contro i loro crani, i colpi prodigiosi delle pinne e delle code. Mio zio Samuel mi insegnò a distinguere la balena franca dalla balenottera, il capodoglio, la balena gobba. Mi raccontava come faceva l' uomo di vedetta a riconoscere da lontano, dallo spruzzo, la balena franca con il suo doppio getto, la balenottera azzurra con il suo getto singolo che schizza in alto come un albero di vapore. Tutto questo, l' ho imparato sul molo di Nantucket, con i gridi degli uccelli squartatori, il rumore sordo delle asce che colpivano le carcasse, l' odore del grasso che bolliva nei catini. Ero su quel molo quando vidi per la prima volta un' orca, immensa e nera, e uno squalo a cui avevano aperto la pancia.

Gli autori

Jean-Marie Gustave Le Clézio, nato a Nizza nel 1940, da famiglia originaria delle isole Mauritius, è autore di oltre 40 titoli tra romanzi, racconti, saggi e storie per ragazzi. Grande viaggiatore, ha trascorso molti anni a Panama vivendo presso una tribù indigena, e da tempo risiede tra Nizza, le Mauritius e Albuquerque. Nel 2008 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura.


Eloar Guazzelli, brasiliano, è illustratore e artista plastico, vincitore di numerosi premi internazionali per alcuni dei suoi fumetti d’autore. Da 26 anni lavora come regista di film di animazione e insegna Illustrazione presso l’Istituto europeo di Design di San Paolo.




Saverio Simonelli

Se un libro racchiude la voce del mare

Il mare ha questo tipo di voce e di ritmo; come un gigantesco diaframma che si alza e si abbassa e così pare sostenere e cullare la terraferma. Ne arricchisce la forma, la composizione poi dà equilibrio, insinua la vita nella desolazione della sabbia. Chi scrive di mare in qualche modo sa che il suo di ritmo dovrà fare i conti con quello, che chi legge una storia ambientata sulle acque ce l’ha nelle orecchie assieme alla memoria di altre voci, ai volti di personaggi, intrecci ed eventi che hanno fatto la storia della letteratura: le navi di Virgilio e Long John Silver, il vecchio di Hemingway, Achab e Moby Dick, Giasone e gli Argonauti, Robinson Crusoe.

Jean Marie Le Clezio, Nobel nel 2008, ha unito la sua voce a quelle voci e a quel ritmo, con un racconto conciso ma fitto, psicologicamente ampio quanto un sogno che accompagna le età della vita con questo“Il posto delle balene” pubblicato ora da Donzelli con l’aiuto dei disegni crudi, quasi fossero tratti elementari di matita di Eloar Guazzelli.
Diciamo subito che Le Clezio è all’altezza di sfidare il mare e chi l’ha raccontato, la scialuppa della sua scrittura viaggia spedita e tranquilla sull’acqua perché ne asseconda il ritmo, e ne accoglie tutte le seduzioni: quindi una sintassi incalzante per un periodare però primitivo, le frasi che prima di arrivare all’occhio sembrano riposare un istante sulla carta come una risacca, come se volessero tornare indietro, nella trama della storia aspettando la spinta del testo tutto intero, una cosa che si tiene e si muove compatta come il mare.
La storia è antica, in parte già narrata, ma qui ordita con naturalezza e un certo ammanierato pudore: è la vicenda di due uomini e di una nave che scopre un santuario marino in un’insenatura della Costa della California, là dove le balene si recano per partorire e, in età anziana per morire. In questo paradiso antico, quieto e silenzioso come il giorno della creazione del mondo l’uomo istilla il germe della conquista, dell’arricchimento, della corsa allo sfruttamento intensivo e feroce. Il ribollire del sangue subentra così allo sciabordìo della risacca. Le navi confluiscono da tutto il mondo in quella laguna e la mattanza dei cetacei non conosce fine.
I fatti vengono narrati retrospettivamente da due voci, quella del mozzo John di Nantucket, giovanissimo all’epoca della storia e di Charles Melville Scannon, comandante della nave, che nonostante il cognome non ha nulla dell’epica ossessione di Achab. Già, perché la sostanza poetica del libro sta, oltre che nel ritmo della narrazione, nella distanza incolmabile che l’autore implacabilmente pone tra l’attrattiva della purezza e l’ardore della conquista: mentre Achab sfida la balena e tutti i mostri del proprio Io, il suo fascino soverchiante e sinistro, le balene del testo di Le Clezio sono simbolo di qualcosa che si oppone all’homo faber, l’uomo maggiorenne e seduce il suo Io bambino, primitivo, attizza le bramosie di dominio ma ricorda la promessa dell’Eden. La scelta però è ancora una volta inevitabile. La spinta al consumo della realtà è comunque più forte, inesorabile, congenita: il Paradiso, anche quello terreno è di nuovo perduto e ne resta solo l’evocazione nostalgica, il ricordo di una vita possibile e piena ma inevitabilmente spezzata: resta la nostalgia, le lacrime del mozzo che il comandante anziano e prossimo alla morte ricorda come il segno di un segreto da lui intuito: la consapevolezza lucida e straziante di aver perso qualcosa di irrecuperabile che si può solo sognare di tornare a toccare: perché si dovrebbe tornare a respirare come il mare, ad assecondare il ritmo di quel diaframma che si alza e si abbassa, ad ubbidire a quella vita che viene prima di ogni desiderio, ma che forse ci appartiene non qui né ora.


http://www.lacompagniadellibro.tv2000.it/


J.M.G. Le Clézio
Il posto delle balene
Illustrazioni di Eloar Guazzelli
Donzelli Editore, 2011
€ 13,50