TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 24 marzo 2011

Non il denaro, ma l'uomo è il centro del mondo. Ripensare Marx



Ha ancora senso rifarsi a Marx, il suo pensiero può dirci ancora qualcosa nel caos del presente? Noi pensiamo di si, ma ad una condizione: non considerare Marx marxista.


Giorgio Amico

Non il denaro, ma l'uomo è il centro del mondo. Ripensare Marx


Nel momento in cui il capitalismo mostra a livello mondiale il volto delle barbarie e della crisi, senza che appaiano all'orizzonte possibili soluzioni che non siano l'ulteriore peggioramento delle condizioni di vita degli uomini e delle donne, l'alternativa socialista risulta per la prima volta dopo due secoli sfuocata, impraticabile, messa a sua volta in discussione. Questo il lascito del XX secolo, della sconfitta storica del comunismo, del parallelo fallimento della socialdemocrazia, e su un piano teorico della deformazione del marxismo trasformatosi da teoria critica, strumento di liberazione, in ideologia (nel senso marxiano di falsa coscienza), in sorta una religione di tipo nuovo (coi suoi riti, dogmi e santi) non meno oppiacea di quelle tradizionali. Eppure, con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti storici ( e non sono né pochi né marginali), il pensiero di Marx continua a costituire uno strumento fondamentale per cercare di orientarsi nel caos del presente. Perchè non è possibile capire la modernità senza passare per Marx. Confrontarsi con il pensiero di Marx, andando oltre il marxismo (o meglio i marxismi, tra loro spesso totalmente inconciliabili), ritornare dunque in qualche modo alle origini come operazione necessaria, ma non per questo semplice, né scevra di pericoli. E che richiede prima di tutto di leggere Marx, il più delle volte citato per sentito dire, talvolta anche da chi se ne presentava come interprete.
E qui è necessario introdurre una distinzione fra Marx e marxismo, senza la quale ogni tentativo di comprensione è votato al fallimento. Già perchè pensiero di Marx e marxismo non sono la stessa cosa e lo stesso termine marxista è opera degli avversari, tanto da far affermare a Marx stesso il suo non essere marxista. “Tutto quel che so è di non essere un marxista” E d'altronde quando con Engels, Kautsky, Plekhanov e Lenin si afferma il “marxismo” come weltanshaung proletaria, parte significativa dell'opera di Marx deve essere ancora pubblicata (Manoscritti, l'Ideologia tedesca, i Grundrisse). Lo stesso Capitale può essere considerato solo parzialmente opera integrale di Marx.

In realtà non è solo per l'avversione sempre manifestata da Marx di vedersi (o lasciarsi vedere) come fondatore di un sistema, che ciò accade. E' piuttosto una conseguenza della natura stessa della sua opera. La ricchezza, profondità e complessità dell'opera di Marx sfidano qualunque tentativo di semplificazione e pongono nel momento stesso in cui si affronta il suo pensiero problemi enormi: da dove iniziare, da quale angolazione, cosa scegliere fra tanti testi e temi, cosa fare della enorme quantità di interpretazioni, con quali criteri procedere alla selezione e allo studio dei testi.

Occorre preliminarmente dare per scontata l'impossibilità di una lettura neutra, obiettiva di Marx. Una pretesa del tutto estranea proprio a Marx e al metodo marxista. Il che ovviamente immediatamente comporta la necessità di tener conto del pericolo opposto, di far dire a Marx quello che egli non ha mai detto. Di fare di lui un pensatore buono per tutti gli usi, rivoluzionari, riformistici e perfino funzionali al mantenimento dello stato di cose presente. Perchè, nonostante le ricorrenti affermazioni sul superamento del suo pensiero (affermazioni che iniziano ad apparire già pochi anni dopo la sua morte), costante è stato il ricorso a questi, e soprattutto in momenti di crisi o in fasi di passaggio, quando più pressante era la necessità di fare il punto della situazione, a dimostrazione di come al di là di ogni feticismo, di ogni santificazione della parola del “maestro”, di ogni volgarizzazione e persino, se vogliamo, di ogni negazione, l'opera di Marx rappresenti da un secolo e mezzo un lascito ricchissimo a cui attingere non per ricavarne semplicisticamente risposte preconfezionate per l'oggi, ma per trarne indicazioni metodologiche e di percorso ancora capaci di illuminare la ricerca di possibili vie d'uscita alla crisi del presente, che è crisi più complessiva di civiltà prima che di assetti economici.

Considerato tutto questo, pensiamo, dato il contesto in cui questa conversazione si colloca, considerati i tempi ristretti di esposizione, il modo più proficuo di operare sia di dedicare questo iniziale e necessariamente sintetico approccio a Marx ai suoi stessi inizi, a come cioè negli anni fra il 1843 e il 1847 si vengono gradualmente a delineare quelli che resteranno poi per tutta la sua vita (certo non senza contraddizioni e mutamenti) gli assi portanti del suo pensiero. A questo punto occorre esplicitare con chiarezza l'angolazione da cui si parte, la trave che regge l'intero edificio. Crediamo che il pensiero marxiano sia comprensibile solo a partire da una visione unitaria della sua opera che assuma come angolazione visuale una profonda unità concettuale tra il cosiddetto Marx giovane e il Marx maturo, quello per intenderci de Il capitale.

Il che ovviamente non significa che i temi trattati e il livello di elaborazione degli stessi restino uguali per il corso intero della sua vita, e che l'opera di Marx sia un tutto talmente interconnesso che, come nei castelli di carte, toglierne una parte significherebbe far crollare l'intera struttura, in altri termini la cosiddetta invarianza di bordighiana memoria. Niente di tutto questo: l'opera di Marx non è certo priva di contraddizioni e ambiguità e non potrebbe essere diversamente considerata la mole degli scritti, il lungo periodo in cui sono stati prodotti, e soprattutto l'essere stati in parte non piccola bozze e appunti ad uso privato, dei semilavorati (sempre per restare in campo bordighiano) destinati ad essere riscoperti e pubblicati a molti decenni dalla morte del loro autore. Si tratta invece di avvicinarsi a Marx partendo dall'ipotesi che l'insieme della sua opera non conosce fratture temporali, che non è possibile parlare di un prima e di un poi o di fasi e periodi (come si fa con gli artisti, cosa che pure Marx un po' fu). Criticando dunque la visione strutturalista althusseriana tanto in auge negli anni '60 e '70 del secolo scorso che separava nettamente un Marx giovane (umanista e filosofo, pensatore non scientifico) da un Marx maturo (scienziato de Il Capitale). Un'opera che crediamo vada intesa come un cantiere aperto, su cui egli interviene continuamente, dilatandone le dimensioni e gli ambiti, sottoponendola a continua critica, rivedendola alla luce dell'evolversi concreto della economia e della politica.

Non c'è dunque (concordiamo con Bloch, Rubel e ultimo Fusaro) in Marx contraddizione tra materialismo ed umanesimo, né rottura tra l'opera filosofica giovanile e la ricerca scientifica della maturità, poiché l'orientamento “materialista” sempre più accentuato mira con tutta evidenza a rendere più efficace la denuncia “umanistica” dell'alienazione che è l'asse portante delle prime opere. Il che senza tacere che non sempre Marx seppe tenere insieme nel modo migliore i vari aspetti del suo pensiero, ponendo egli stesso le premesse dei fraintendimenti del suo pensiero. A partire dall'amico fraterno Friedrich Engels a cui si deve la costruzione dell'immagine di un Marx “scienziato” che definitivamente abbandonato il campo filosofico, si dedica alla ricerca delle leggi oggettive di funzionamento del modo di produzione capitalistico.

L'insieme della sua opera, dunque, come una riflessione critica in continuo divenire (in stretto rapporto con gli accadimenti economici, politici e culturali del suo tempo) sull'uomo e sulla società. Una riflessione organica e coerente, che si costruisce progressivamente a partire da un nucleo iniziale (le opere giovanili, appunto), diventando ogni volta sempre più approfondita, ma senza mai perdere il suo carattere unitario che consiste prima di tutto in una critica globale del modo di produzione capitalistico. Di qui l'impossibilità di una lettura parcellizzata, per aree (economia, sociologia, filosofia, storia, teoria politica) della sua opera come invece costantemente tentato dai suoi critici borghesi, sempre tesi a valorizzare di volta in volta un aspetto contro gli altri.

Marx definisce tutta la sua attività utilizzando il concetto di “critica” il cui oggetto è l'insieme della società borghese, del modo di produzione capitalistico, criticato in ogni suo aspetto (religioso, politico, culturale, storico sociale) a partire dal modo di funzionamento della struttura economica (che, però, a differenza del marxismo volgare non esaurisce la critica).

Nel 1843 Marx rompe con Feuerbach e i giovani hegeliani che vedevano nell'affrancamento religioso e nella conquista delle libertà politiche l'obiettivo da raggiungere. Egli scopre che è nella sfera materiale dell'esistenza che si annidano le contraddizioni. E' il mondo reale a produrre la religione e non viceversa. Marx vede nel lavoro, nel processo di produzione materiale della vita, il centro delle relazioni sociali, l'attività umana per eccellenza. Ma il lavoro è diventato una forma di schiavitù, di alienazione, di perdita di coscienza di se, un fattore estraneo e ostile.

Il tema centrale nell'opera del giovane Marx è dunque quello dell'alienazione. Marx postula che l'uomo debba recuperare integralmente le sue potenzialità di autodeterminazione e di autorealizzazione, potenzialità nel corso della storia sempre più collocate al di fuori di lui in istanze esterne, estranee e superiori. La Religione e lo Stato. A quest'ultimo gli uomini delegano il compito di regolare i rapporti fra gli uomini.

L'alienazione non va intesa in senso psicologico, ma economico. L'operaio si vede privato del frutto del suo lavoro che “si erge davanti a lui come una potenza indipendente”. Il lavoro da fondamento della vita degli uomini, strumento di realizzazione di se, diventa una merce che il proletario vende in cambio di denaro. Le merci hanno vita autonoma non hanno più alcun rapporto con i produttori. Ciò diventa sempre più reale tanto più il capitalismo sviluppa la parcellizzazione e la meccanizzazione del lavoro: il proletario perde sempre più il senso del suo lavoro. Il lavoro non è più considerato parte reale, ma negazione della vita. Il lavoro diventa fonte di sofferenza psicologica. Aumentano i bisogni, si riducono le possibilità di realizzarli.

“Tanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno ne può possedere” e “La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione delle cose”, scrive Marx nei Manoscritti.

L'uomo si caratterizza sempre di più come coscienza infelice. Il proletariato diventa universale e non solo per la generalizzazione del lavoro salariato, ma perchè l'umanità intera tende sempre più a perdere il senso della propria esistenza. La vita diventa un grande vuoto, un nulla, fino a diventare reale soltanto nelle finte vite degli altri osservate sugli schermi televisivi.

L'operaio dice Marx cerca altrove la proprie realizzazione e la trova nella forma più bassa proprio in quelle funzioni che costituiscono la soddisfazione dei bisogni più materiali, il mangiare, il bere, il riprodursi. In tal modo “ciò che è animale diventa umano e ciò che è umano animale”.

Tutta l'opera di Marx sarà dominata dalla denuncia di questo rovesciamento, dalla consapevolezza di vivere in un mondo rovesciato, dell'irrazionalità profonda del reale. In ciò davvero egli rovescia Hegel. Un reale legato all'irrazionalità dell'economia capitalistica. C'è un rapporto complesso tra razionalità e irrazionalità che Marx denuncia. La modernizzazione è al tempo stesso compimento della Ragione (Hegel), ma anche a causa della scissione tra uomo e società il regno della irrazionalità.



Si tratta allora per far diventare il mondo razionale e ciò è possibile solo a patto di vedere la filosofia come critica dell'esistente, come non mera contemplazione del reale. Per il giovane Marx un altro mondo è possibile. Quest'altro mondo è il comunismo. Il comunismo dunque è il tentativo di superamento di questa antinomia, di questa irrazionalità. E' riportare l'uomo alla dimensione della specie, alla sua natura comunitaria, al recupero della propria essenza umana che è prima di tutto relazione con gli altri a partire dal lavoro, cioè dalla riproduzione in forma sociale delle condizioni che permettono la riproduzione consapevole ed organizzata della specie. Marx arriverà a dire che la prima forma di divisione del lavoro avviene fra uomo e donna nell'atto sessuale.

La base su cui poggia tutto il lavoro teorico marxiano è la convinzione che l'uomo sia un essere comunitario, l'emancipazione umana non può essere perciò un processo individuale o la concessione di diritti politici formali, ma un processo collettivo che rivoluzioni alla radici le relazioni fra gli uomini rendendo di nuovo possibile l'edificazione di una autentica comunità umana dove la felicità e la realizzazione di uno sia la condizione per la felicità e la realizzazione di tutti.

“Se presupponi l'uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia, ecc. Se vuoi godere dell'arte, devi essere un uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente. Ognuno dei tuoi rapporti con l'uomo, e con la natura, dev'essere una manifestazione determinata e corrispondente all'oggetto della tua volontà, della tua vita individuale nella sua realtà. Se tu ami senza suscitare una amorosa corrispondenza, cioè se il tuo amore come amore non produce una corrispondenza d'amore, se nella tua manifestazione vitale di uomo amante non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è un'infelicità.” (Manoscritti)

Invece nel mondo borghese ogni uomo è una monade isolata, legata agli altri solo da rapporti di interesse mediati dal denaro. La società civile quindi è il mondo di Hobbes, caratterizzato dalla lotta di tutti contro tutti, dove l'avere prevale sull'essere, dove l'essenza comunitaria dell'uomo viene costantemente negata.

Il rapporto dell'uomo con il denaro, l'equivalente generale che in se simbolizza e racchiude tutte le merci, è la forma più manifesta di questa alienazione, di questa perdita di senso. Qui Marx è modernissimo.

“Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo, Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura venti quattro gambe; quindi non sono storpio. Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di esser disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è più intelligente delle persone intelligenti? Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà ? Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario ?
E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli? Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo ? E quindi non è forse anche il dissolvitore universale ? Esso è tanto la vera moneta spicciola quanto il vero cemento, la forza galvano-chimica della società.”



Ne deriva lo sviluppo di una teoria dialettica dei bisogni:

“La differenza tra la domanda che ha effetto, in quanto è fondata sul denaro, e la domanda che non ha effetto, in quanto è fondata soltanto sul mio bisogno, sulla mia passione, sul mio desiderio, ecc., è la stessa differenza che passa tra l'essere e il pensare, tra la semplice rappresentazione quale esiste dentro di me e la rappresentazione qual è per me come oggetto reale fuori di me.
Quando non ho denaro per viaggiare, non ho nessun bisogno, cioè nessun bisogno reale e realizzantesi di viaggiare. Se ho una certa vocazione per lo studio, ma non ho denaro per realizzarla, non ho nessuna vocazione per lo studio, cioè nessuna vocazione efficace, nessuna vocazione vera. Al contrario, se io non ho realmente nessuna vocazione per lo studio, ma ho la volontà e il denaro, ho una vocazione efficace. Il denaro, in quanto è il mezzo e il potere esteriore, cioè nascente non dall'uomo come uomo, né dalla società umana come società, in quanto è il mezzo universale e il potere universale di ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a semplice rappresentazione, trasforma tanto le forze essenziali reali, sia umane che naturali in rappresentazioni meramente astratte e quindi in imperfezioni, in penose fantasie, quanto, d'altra parte, le imperfezioni e le fantasie reali, le forze essenziali realmente impotenti, esistenti soltanto nell'immaginazione dell'individuo, in forze essenziali reali e in poteri reali. Già in base a questa determinazione il denaro è dunque l'universale rovesciamento delle individualità, rovesciamento che le capovolge nel loro contrario e alle loro caratteristiche aggiunge caratteristiche che sono in contraddizione con quelle.
Sotto forma della potenza sovvertitrice qui descritta il denaro si presenta poi anche in opposizione all'individuo e ai vincoli sociali, ecc., che affermano di essere entità per se stesse. Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, l'odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l'intelligenza in stupidità. Poiché il denaro, in quanto è il concetto esistente e in atto del valore, confonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose, e quindi il mondo rovesciato, la confusione e l'inversione di tutte le qualità naturali ed umane.”

Non il denaro, ma l'uomo è il centro di un mondo che non sia “alienato”, cioè divenuto “estraneo” agli uomini. Una realtà rovesciata e incomprensibile, dunque fonte di sofferenza. “L'uomo è per l'uomo essenza suprema”, “la vera comunità umana”, scriverà nei Manoscritti.

Dunque un Marx umanista che sa leggere nel presente il futuro. Un futuro che può essere anche le barbarie dispiegate, la “comune rovina delle classi in lotta”, ma di cui egli evidenzia soprattutto le potenzialità di liberazione. In questo non restare chiuso nei confini del presente, in questo vedere il presente già come storia in atto, non per la realizzazione dialettica e inevitabile dell'Idea come pensava Hegel, ma per l'attività collettiva e cosciente degli uomini (il proletariato), sta il carattere utopico del suo pensiero. Ma si tratta di un'utopia di tipo particolare. Non un sogno, né un'aspirazione ideale, ma per usare l'espressione “paradossale” di Bloch, un'utopia concreta.

(Continua)