Una
pagina attualissima del giovane Gramsci.
Giorgio Amico
Gramsci ai giovani:
“Vivere vuol dire essere partigiani”
Il giorno 11 febbraio
1917 su "Il Grido del Popolo", organo della sezione
socialista torinese usciva un breve comunicato ripreso poi il giorno
successivo nelle cronache torinesi de L'Avanti!.
L'articolo, anonimo, ma
scritto da Antonio Gramsci, pubblicizzava l'uscita di “La città
futura”, numero unico pubblicato a cura della Federazione giovanile
piemontese.
L'intento è chiaro:
entrare in contatto con chi, troppo giovane ancora per essere
mobilitato in trincea, subiva comunque anche a "casa",
nelle fabbriche e nelle scuole, il peso terribile di una guerra che
pareva non finire mai e che, nonostante la censura militare e la
martellante propaganda governativa, appariva ogni giorno di più come
una serie continua di inutili massacri.
Il tono è enfatico, più
da volantino che da giornale e ha le caratteristiche di un appello,
di una chiamata ai giovani perchè si uniscano alle forze organizzate
del movimento socialista impegnate in una lotta che ha per scopo non
tanto la fine delle ostilità, ma il cambiamento radicale della
società e l'abbattimento di tutte quelle forze che la guerra avevano
voluto e che da essa traevano enormi profitti. Quegli ambienti
economici, politici e giornalistici che solo pochi anni dopo
avrebbero sostenuto e armato in funzione antioperaia e
normalizzatrice il nascente movimento fascista:
“L'avvenire è dei
giovani. La storia è dei giovani. Ma dei giovani che, pensosi del
compito che la vita impone a ciascuno, si preoccupano di armarsi
adeguatamente per risolverlo nel modo che più si confà alle loro
intime convinzioni, si preoccupano di crearsi quell'ambiente in cui
la loro energia, la loro intelligenza, la loro attività trovino il
massimo svolgimento, la più perfetta e fruttuosa affermazione. (...)
Il fatto della guerra ha scosso come una ventata gli indifferenti, i
giovani che fino a ieri si infischiavano di tutto ciò che era
solidarietà e disciplina politica. Ma non basta, non basterà mai.
Occorre ingrossare sempre più le file e serrarle. L'organizzazione
ha specialmente fine educativo e formativo. E' la preparazione alla
vita più intensa e piena di responsabilità del partito. Ma ne è
anche l'avanguardia, l'audacia piena di ardore”.
Una
giovinezza segnata dal dolore
Chi scriveva era un
giovane di 26 anni, di origini sarde, trasferitosi a Torino per
motivi di studio e diventato in quella che era già allora la città
della FIAT un militante socialista.
Antonio Gramsci era nato
a Ales, un paese in provincia di Cagliari, il 22 gennaio 1891, quarto
figlio di Francesco (piccolo impiegato statale originario di Gaeta) e
di Giuseppina Marcias. Dopo di lui vennero altri tre bambini ad
appesantire una situazione economica non certo rosea.
A tre anni, a causa di
una caduta, il piccolo Antonio subì una deformazione della colonna
vertebrale che ne limitò lo sviluppo. L'incidente (una caduta da una
scala) gli procurò una disabilità permanente e fu il prologo di
una malattia, il morbo di Pott (una forma di tubercolosi ossea
degenerativa), che condizionò l'intera sua vita e lo portò alla
morte a soli 46 anni.
Come se non bastasse nel
1897, quando Antonio aveva 6 anni e aveva appena iniziato la scuola
elementare, il padre fu accusato di peculato e concussione, arrestato
e condannato tre anni più tardi (già allora la Giustizia italiana
era lenta) a quasi 6 anni di carcere.
Fu un colpo terribile per
la famiglia che passò anni in una miseria estrema, solo parzialmente
alleviata dalla successiva assoluzione in appello e totale
riabilitazione del padre che nel 1904 potè riprendere il suo lavoro.
Gramsci mantenne per
tutta la vita un ricordo vivissimo di quegli anni, della miseria
patita, dellle umiliazioni subite (lui studente tanto povero di un
Regio Liceo frequentato dai figli dei notabili, da dover chiedere in
prestito ai compagni e ai professori i libri di testo), del dolore
della madre, donna comunque forte che seppe farsi carico con estremo
coraggio di una famiglia tanto numerosa.
La militanza come
scelta di vita
Torino era all'inizio del
secolo scorso una città all'avanguardia, sede di quotidiani
importanti (La Stampa), di una Università prestigiosa, capitale
italiana della nascente industria dell'automobile e del cinema. Una
città ricca e colta, ma dalle profondissime contraddizioni sociali,
già visibili nei pressi della Mole, in quei quartieri popolari del
centro abitati da una classe operaia combattiva e organizzata da
decenni di mutualismo e propaganda socialista iniziati già nel
Risorgimento con le Società di Mutuo Soccorso mazziniane.
Gramsci arriva a Torino
nel 1911, al termine degli studi liceali, vincitore di una borsa di
studio che il Collegio Albertino riservava agli studenti poveri delle
ex-province del Regno di Sardegna.
Si iscrive alla facoltà
di Filosofia e Lettere e dopo circa un anno aderisce alla sezione
torinese del Partito Socialista dove incontra e si lega a altri
giovani fra cui spiccano Palmiro Togliatti e Umberto Terracini
(studenti a Giurisprudenza) e Angelo Tasca (studente di Lettere). Con
loro formerà il nucleo originario de L'Ordine nuovo e poi nel 1921
del Partito Comunista torinese.
Sono anche questi anni di
miseria. La borsa di studio garantisce il minimo indispensabile per
la sopravvivenza, ma niente di più e solo per 11 mesi all'anno.
Eppure il giovane sardo è uno studente straordinario che unisce il
massimo di impegno scolastico a un crescente impegno politico.
Palmiro Togliatti lo ricorda come punto di riferimento per gli
studenti torinesi, ben oltre i limiti della sua Facoltà. Lo si
incontrava dappertutto- scrive- dove ci fossero professori capaci di
interessare gli studenti e problemi da discutere.
Dal 1914 il problema più
importante da dibattere è quello della guerra. Il Paese è diviso,
da un lato liberali e nazionalisti schierati per l'intervento,
dall'altro socialisti e cattolici a favore della pace e della
neutralità.
Dopo un iniziale momento
di smarrimento, il giovane Gramsci è in prima fila nella battaglia
contro la guerra, tanto che nel 1915, dopo aver sostenuto un ultimo
esame di letteratura italiana, decide di non laurearsi e di
abbandonare definitivamente gli studi per dedicarsi interamente a una
militanza politica che ha assunto ormai carattere rivoluzionario.
E' una scelta di vita a
cui resterà fedele fino alla fine dei suoi giorni, nonostante la
persecuzione, l'arresto, il carcere. A 24 anni Gramsci rinuncia a un
tranquillo avvenire piccolo borghese (gli era stato offerto un posto
di Direttore didattico) per assumere la direzione del settimane
socialista torinese “Il Grido Del Popolo”.
Da giornalista militante,
Gramsci ingaggia una battaglia senza esclusione di colpi contro i
grandi giornali cittadini (La Stampa, La Gazzetta del Popolo, Il
Momento) espressione degli ambienti liberali e cattolici.
E' “Il Momento”,
quotidiano cattolico allora importante, a essere il suo principale
bersaglio. Ai cattolici Gramsci rimprovera l'incoerenza, il
moralismo, l'ipocrisia, il dichiararsi per la pace e poi nella
pratica quotidiana sostenere la guerra per interesse o anche solo per
quieto vivere.
Contro gli
indifferenti
Quella di Gramsci è
prima di tutto una battaglia culturale, mirata alla costruzione di
una società più libera e umana, quell'Ordine Nuovo senza più
guerre e sfruttamento che solo il socialismo può garantire. Da qui
l'interesse costante per i giovani, per quelle giovani generazioni
mandate a morire in trincea nelle cui mani sta l'avvenire d'Italia.
Questo è il senso di “La
Città Futura” , numero unico venduto a 2 soldi. Gli articoli non
sono firmati, ma sono tutti di Gramsci a partire da una paginetta,
bellissima e recentemente ristampata da un piccolo editore, contro il
peccato dell'indifferenza, del non sentirsi coinvolti, del tirarsi
fuori. Un articolo attualissimo che inizia così:
“Odio gli indifferenti.
Credo (...) che vivere vuol dire essere partigiani. Non possono
esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive
veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza
è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò
odio gli indifferenti”.
Niente, nella pura
vastissima e ancora valida elaborazione gramsciana, si può
considerare più attuale.
ANPI Resistenti, n,4, 2014