Nel gennaio 1921
nasceva a Livorno il Partito Comunista d'Italia, sezione italiana
dell'Internazionale Comunista. Un avvenimento destinato a segnare in
profondità la storia del nostro paese. Ne ripercorriamo le tappe,
riprendendo una serie di articoli apparsi alla fine degli anni '90.
Giorgio
Amico
Guerra
e rivoluzione alle origini del comunismo italiano
Che la guerra portasse in
se i germi della rivoluzione era pacifico per il movimento operaio di
inizio secolo. La stessa esperienza eroica della Comune di Parigi
stava a testimoniarlo. Quello che il marxismo economicistico della
Seconda Internazionale non poteva prevedere era che la "vecchia
talpa" scegliesse per riapparire un paese arretrato come la
Russia, da sempre considerato il più munito bastione
dell'assolutismo. Naturale, dunque, lo sconcerto dei riformisti che,
Kautsky in testa, tentano di ridurre la portata degli avvenimenti
allo specifico russo, negandone la traducibilità in Occidente.
Altrettanto naturale l'entusiasmo con cui in tutta Europa una
generazione di giovani, formatasi nell'esperienza sanguinosa della
guerra, saluta nell'Ottobre l'annunciarsi di una nuova epoca che
risponde con la chiarezza suggestiva dei fatti concreti ad una serie
di interrogativi e di problemi che sul campo teorico parevano
insolubili e che ora la critica delle armi scioglie vittoriosamente.
(1)
E' la Russia arretrata a
porre all'Occidente avanzato il problema della rivoluzione nei
termini storicamente concreti del bolscevismo. "La visione della
rivoluzione russa e il clima del dopoguerra italiano - scrive uno dei
protagonisti di quegli anni - ci parevano annunziare una rivoluzione
prossima anche in Italia, che bisognava preparare e far trionfare
(...) E i dissensi che si manifestarono poi (...) furono dissensi sul
modo e sulle istituzioni che potevano assicurarci la vittoria."
(2)
In un partito
tradizionalmente zeppo di "professori" e di intellettuali
autorevoli come il PSI, sono due giovani, il ventiseienne Antonio
Gramsci e il ventottenne Amadeo Bordiga, a tentare una
interpretazione complessiva dei fatti russi che possa fungere da
guida per una rivoluzione considerata imminente. I due vengono da
esperienze diverse e hanno storie diverse alle spalle. Bordiga è già
dalla fine del primo decennio del 1900 un leader affermato dei
giovani socialisti, capace nel 1914 di contrapporsi da pari a pari a
un Mussolini avviato sulla via del tradimento.
Gramsci è un
intellettuale dalla vastissima cultura, ma dalla scarsa esperienza
politica, quasi sconosciuto al di fuori di Torino. Anche l'approccio
al marxismo dei due è diverso: fortemente intellettuale quello di
Gramsci filtrato attraverso Bergson, Sorel, Croce; deterministico,
con forti venature positivistiche, quello di Bordiga. Coerentemente
con la sua formazione Gramsci vede nell'operato di Lenin e dei
bolscevichi una forzatura volontaristica del determinismo economico
marxiano e lo saluta come una positiva rottura delle "incrostazioni
positivistiche e naturalistiche" della vulgata marxista. E' una
interpretazione ancora fortemente intrisa di idealismo che riecheggia
la polemica antideterministica del Mussolini socialista
rivoluzionario e che evidenzia non solo un entusiastico consenso, ma
anche la volontà di interpretare la esperienza russa in un modo più
prossimo alla propria esperienza che allo svolgimento obiettivo dei
fatti. (3)
Completamente diverso
l'approccio di Bordiga, interessato più di ogni altra cosa a
dimostrare come il bolscevismo rappresenti una conferma piena del
marxismo. Per Bordiga in Russia si è celebrato il trionfo definitivo
del Manifesto del partito comunista e in generale della strategia
marxiana del 1848, incentrata sul dialettico intrecciarsi di istanze
democratico-borghesi e aspirazioni proletarie:
"La chiave della
situazione russa - egli scrive - sta nel gioco di queste due grandi
correnti suddivise in molte sfumature, che, alleate di fatto finché
il comune nemico era in piedi, si rivelano all'indomani del trionfo
sul vecchio regime opposte ed antitetiche, storicamente
inconciliabili (...) Si comprende che i socialisti lavorano
all'attuazione di un programma dalle linee semplici e grandiose, -
quello stesso del Manifesto dei comunisti - cioè la espropriazione
dei privati detentori dei mezzi di produzione, mentre procedono
logicamente e conseguentemente a liquidare la guerra". (4)
Mentre il pensiero di
Bordiga può dirsi già definito nelle sue strutture portanti, il
marxismo di Gramsci risente ancora fortemente di quell'attivismo che
nell'ottobre 1914 lo aveva collocato a fianco di Mussolini a
sostenere la teoria della "neutralità attiva e operante".
Se allora i rivoluzionari erano definiti come coloro che
"concepiscono la storia come creazione del proprio spirito,
fatta di una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze
attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni
favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione)",(5) ora i
bolscevichi diventano coloro che "rinnegano Carlo Marx,
affermano con la testimonianza dell'azione esplicata, delle conquiste
realizzate, che i canoni del materialismo storico non sono così
ferrei come si poteva pensare e si è pensato". Coloro che
"vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è
la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che
in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e
naturalistiche". Per cui "massimo fattore di storia"
non sono "i fatti economici, bruti", ma è la volontà
degli uomini "motrice dell'economia, plasmatrice della realtà
oggettiva, che vive e si muove, e acquista carattere di materia
tellurica in ebullizione, che può essere incanalata dove alla
volontà piace, come alla volontà piace". (6)
Un Gramsci, dunque,
socialista rivoluzionario, ma non ancora compiutamente marxista,
fortemente influenzato da tendenze bergsoniane, idealistiche,
salveminiane e anche mussoliniane (7) che confluiscono in uno
storicismo attivistico destinato a durare a lungo nonostante la pur
positiva evoluzione successiva e a condizionare negativamente il suo
concreto agire politico. Un elemento da non sottovalutare, se si
vuole meglio comprendere il ruolo tutto sommato secondario che egli
gioca nella preparazione di Livorno.
"Quella sua, - nota
Giuseppe Berti - sia pur passeggera, crisi 'interventista', quindi,
non fu una bazzeccola perchè gli impedì di ritrovare il leninismo
già in Zimmerwald e Kienthal. In questo egli ritardò non soltanto
nei confronti dei bolscevichi, ma nei confronti degli stessi
socialisti internazionalisti italiani, di Serrati, di Bordiga, di
Terracini, di Tasca e delle migliaia di modesti militanti socialisti
che prima in una posizione neutralistica, e poi in una posizione di
lotta più esplicita e chiara, sin dal 1914-15 presero posizione
contro la guerra". (8)
(1) "I diversi
aspetti ed i successivi episodi di questa rivoluzione -scrive
Bordiga- rispondono con chiarezza suggestiva ad una serie di punti
interrogativi, di problemi che nel campo teorico potevano seguitare
ad essere indefinitamente discussi, ma che la realtà di oggi e di
domani va sistemando e chiudendo per sempre...". (A. Bordiga,
Gli insegnamenti della nuova storia, Avanti!, 16 febbraio 1918, ora
in Storia della sinistra comunista, vol. 1 bis, Milano 1966).
(2) A. Tasca, I primi
dieci anni del PCI, Bari 1971, p. 98.
(3) A. Caracciolo, A
proposito di Gramsci, la Russia e il movimento bolscevico; in AA.VV.,
Studi gramsciani, Roma 1973, p. 78.
(4) A. Bordiga, La
rivoluzione russa, L'Avanguardia, 11 novembre 1917; ora in Storia
della sinistra comunista, vol. I, Milano 1964, pp. 330-331
(5) A. Gramsci,
Neutralità attiva e operante, Il Grido del Popolo, 31 ottobre 1914;
ora in Scritti giovanili 1914-1918, torino 1958, pp. 3-7.
(6) A. Gramsci, La
rivoluzione contro il "Capitale", Avanti!, 24 novembre
1917; ora in Scritti giovanili, cit., pp. 149-153
(7) "L'azione
-scrive quasi nello stesso periodo Mussolini - ha ragione degli
schemi consegnati nei libri. L'azione forza i cancelli sui quali sta
scritto "vietato". I pusillanimi si fermano, gli audaci
attaccano e rovesciano l'ostacolo". (B. Mussolini, Osare!, Il
Popolo d'Italia, 13 giugno 1918; ora in E. Santarelli (a cura di),
Scritti politici di Benito Mussolini, Milano 1979, p. 178).
(8) G. Berti, I primi
dieci anni di vita del PCI, Milano 1967, pp. 19-20.
1. Continua