Lo scontro aperto nel
partito russo fra Stalin (e Bucharin) e Trotsky determinò il
precipitare della situazione anche nel partito italiano. Il Congresso
di Lione segnò la fine della prima fase della storia del Pcd'I e
l'inizio di un nuovo corso destinato a durare fino alla svolta di
Salerno. Iniziava l'era del monolitismo stalinista, da quel momento
non ci sarebbe stato nel partito e nell'internazionale più spazio
per i seguaci di Trotsky e Bordiga.
Giorgio Amico
La questione Trotsky nel partito e nell'Internazionale. Il congresso di Lione
L'esplodere alla luce del
sole della lotta di frazione nel partito russo segna un salto di
qualità nella crisi di direzione del partito italiano. Il problema
rappresentato da un Bordiga volontariamente ai margini ma con ancora
un largo seguito si va inevitabilmente ad intrecciare con quella che
ormai apertamente viene definita la "questione Trotsky".
Superato un iniziale momento di sconcerto, Gramsci andrà via via
allineandosi con il gruppo dirigente del Partito russo e
dell'Internazionale, dove le sue simpatie vanno spostandosi sempre
più da Zinov'ev a Bucharin. (52)
E' un Gramsci che non
riesce a cogliere la portata storica della battaglia ingaggiata da
Trotsky. Pur parlandone con rispetto, Trotsky ai suoi occhi resta
l'avversario della politica di apertura ai contadini, l'uomo della
guerra di movimento, il potenziale affossatore di quella NEP che gli
appare sempre più come l'unica via praticabile per il consolidamento
del potere sovietico. Questa incomprensione segna l'intero
atteggiamento di Gramsci e spiega sia l'assimilazione forzata che
egli compie di Bordiga a Trotsky sia i metodi amministrativi con cui,
come vedremo, verrà liquidato il dissenso interno. Egli è realmente
convinto che le critiche di Trotsky rappresentino una minaccia per la
stabilità del potere sovietico, di conseguenza anche il dissenso
bordighiano non può più essere tollerato. Nel suo intervento alla
conferenza di Como (53) Gramsci per la prima volta accomuna
apertamente Bordiga a Trotsky:
"Quanto è accaduto
recentemente in seno al PC russo - dichiara - deve avere per noi
valore di esperienza. L'atteggiamento di Trotsky in un primo periodo
può essere paragonato a quello attuale del compagno Bordiga.
Trotsky, pur partecipando "disciplinatamente" ai lavori del
Partito, aveva col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile
a quello di Bordiga - creato un senso di malessere in tutto il
partito il quale non poteva non avere sentore di questa situazione.
Ne è risultata una crisi che è durata parecchi mesi e che oggi
soltanto può dirsi superata. Ciò dimostra che una opposizione -
anche se mantenuta nei limiti di una disciplina formale - da parte di
spiccate personalità del movimento operaio, può non solo impedire
lo sviluppo della situazione rivoluzionaria ma può mettere in
pericolo le stesse conquiste della Rivoluzione". (54)
Amadeo Bordiga
Amadeo Bordiga
Posto in questi termini
il confronto non può non assumere via via toni sempre più duri. Il
6 febbraio 1925 il C.C. approva, nonostante forti resistenze da parte
dei rappresentanti della federazione giovanile, una mozione di
condanna che nel colpire Trotsky mira in realtà ad assestare un duro
colpo alla sinistra.
"E' evidente - si
afferma nella mozione con trasparente riferimento a Bordiga - che
deve essere considerato come controrivoluzionario ogni atteggiamento
che tenda a diffondere nel Partito una generica sfiducia negli
organismi dirigenti della Internazionale e del Partito russo, sia
travisando a questo scopo la questione Trotzky, sia ritornando sopra
questioni definite dal V Congresso". (55)
Alla durissima presa di
posizione del CC segue il 18 febbraio un rapporto di Togliatti con il
quale si informa la Segreteria del Comintern che all'interno del PC
permane una forte corrente filo-trotskista animata dai bordighisti.
Al rapporto Togliatti allega un articolo dello stesso Bordiga su "La
questione Trotsky", in cui Bordiga difende vigorosamente il capo
dell'Armata Rossa, denunciando gli argomenti e i metodi denigratori
usati dalla maggioranza del partito russo. (56)
E' da Mosca che arriva
agli italiani l'ordine di mettere da parte ogni riguardo nei
confronti dell'opposizione di sinistra. Nel corso della Quinta
sessione dell'Esecutivo allargato dell'IC Stalin in persona chiede al
delegato italiano Scoccimarro di rompere gli indugi e di unirsi
apertamente al linciaggio di Trotsky. Mentre Gramsci
significativamente tace, il 3 aprile Scoccimarro prende la parola per
denunciare la "deviazione" trotskista divenuta sintesi di
"tutte le deviazioni antibolsceviche".
La lotta nel PCd'I contro
Bordiga e la sinistra è ormai inseparabile dalla più generale
campagna nel partito russo e nel Comintern per la liquidazione
definitiva di Trotsky e della sinistra internazionale. E', infatti,
impossibile spiegare il durissimo contrasto che nel '25-'26 lacera il
partito esclusivamente in base alle divergenze fra Bordiga e Gramsci
sulla organizzazione comunista (sezioni territoriali o cellule),
sulla politica sindacale (comitati operai invece che ricostruzione
dei sindacati) o sulla tattica aventiniana.
Ma non è solo Stalin a
pensare che la questione italiana sia solo uno dei terreni della più
generale battaglia per il pieno controllo del Comintern. Anche per
Bordiga il contrasto è di fondo e parte da una profonda sfiducia
nella direzione del Comintern, per cui in mancanza di una vera svolta
nella dirigenza o nella linea del partito mondiale, il PCd'I semplice
sezione nazionale, non potrà fare che una politica oscillante e
perdente. Su queste basi, nel contesto di un'Internazionale ridotta
sempre più a mera appendice dello Stato russo, quella di Bordiga è
una sconfitta annunciata.
Resta ancora oggi poco
chiaro quale conoscenza Bordiga avesse della battaglia in corso nel
partito russo e nel Comintern e quanto ciò contribuisse a
determinare un atteggiamento "aventiniano" che gli aliena
molte simpatie e offre argomenti preziosi ai suoi denigratori. Di
sicuro Bordiga nutre la ferma convinzione che a Mosca la partita non
sia chiusa e che la situazione dei rapporti di classe a livello
mondiale possa ancora evolversi positivamente fino a determinare un
radicale cambiamento di prospettiva per l'Internazionale. Ragion per
cui ai rivoluzionari basta porsi in posizione d'attesa, mantenendo
nel contempo le mani libere nei confronti di una politica destinata a
sicura sconfitta.
Uno dei principali
esponenti della sinistra, Bruno Fortichiari, ha accennato a contatti
con esponenti dell'Internazionale che Bordiga avrebbe avuto
immediatamente prima di Lione.
"Forse - scrive
Fortichiari - egli da Mosca ha riportato questa convinzione, che ci
fossero delle possibilità di azione, se non immediate almeno col
tempo. Ha avuto questa convinzione che contrastava con la nostra
convinzione, mia, di Damen e di Repossi, che non abbiamo mai avuto
questa speranza. Per noi la rottura c'era e c'era poco da fare, e
interessava secondo noi affermare pubblicamente la rottura cioè
quasi sfidare la direzione minoritaria del partito ad un
provvedimento". (57)
Al di là delle possibili
interpretazioni, resta il fatto che la sinistra e in particolare un
Bordiga prigioniero di una visione astrattamente oggettivistica
dell'azione politica, giocano male le carte ancora rilevanti di cui
dispongono, (58) il tutto aggravato dal mutamento in atto nel partito
che non è più per composizione lo stesso di Livorno e del
1921-1923.
Un partito passato dopo
gli sbandamenti dovuti alla vittoria della controrivoluzione
fascista, da 9 a 30 mila iscritti, in gran parte giovani proletari
senza "memoria politica" e quindi privi di timori
reverenziali nei confronti del "padre fondatore". Giovani,
affamati d'azione, speranzosi in una possibile rivincita, a cui
l'attendismo meccanicistico di Bordiga non può che risultare
incomprensibile. Una leva di militanti conquistati al Partito
dall'attivismo gramsciano, dalla sua visione, in questo compiutamente
leninista, della centralità della politica come continuo sforzo di
definizione di obiettivi transitori praticabili a livello delle più
larghe masse. Quanto ai quadri dirigenti, nazionali e locali, del
partito risulta determinante nello spiegare il quasi generale
abbandono delle suggestioni bordighiane lo sconcerto prima, l'aperta
irritazione poi nei confronti di un atteggiamento considerato quasi
una diserzione dalle responsabilità proprie di un dirigente
rivoluzionario.
Non va, tuttavia,
sottaciuto che la sconfitta di Bordiga è anche il frutto dell''uso
sistematico nel dibattito interno al partito di metodi amministrativi
e intimidatori nei confronti della minoranza a partire almeno dalla
campagna contro il cosiddetto "Comitato d'Intesa". (59)
E' questa una pagina
oscura nella storia politica di Antonio Gramsci che nella lotta
contro la sinistra tollera l'uso di "toni da caccia alle streghe
contro il 'frazionismo', una interpretazione poliziesca delle
differenziazioni politiche, una predisposizione ad accettare
espulsioni con eccessiva disinvoltura, un giudizio favorevole sui
voti unanimi alla direzione dell'Internazionale". (60)
Che in realtà,
contrariamente a quanto pare pensare Bordiga, a Mosca i giochi siano
fatti viene a confermarlo il Quinto Esecutivo allargato
dell'Internazionale Comunista (marzo-aprile 1925) che afferma senza
esitazioni la piena identità tra bordighismo e trotskismo. Il
linguaggio ormai è quello dell'invettiva, i dissidenti sono definiti
piccolo borghesi, opportunisti, destri mascherati. Agli italiani
viene richiesto esplicitamente di scegliere "tra il leninismo e
la tattica di Bordiga". (61)
Nel Comintern non c'è
più spazio per posizioni in qualche modo vicine alla opposizione
trotskista, Stalin intende chiudere definitivamente la partita con la
minoranza. Date queste premesse, non stupisce l'annotazione di
Giuseppe Berti per cui "obiettivamente (...) bisogna dire che se
la Conferenza di Como fu preparata troppo poco, anzi per nulla, e
diede, quindi, i risultati ben noti, il congresso di Lione (...) fu,
forse, preparato un pò troppo nel senso che preliminarmente la
Conferenza di dicembre separò il grano dal loglio e fece in modo che
a Lione l'estrema sinistra bordighiana venisse rappresentata in
maniera non adeguata alle forze che ancora essa contava nel Partito".
(62)
Sarebbe, tuttavia, un
errore considerare il Congresso di Lione come un'operazione
esclusivamente burocratica volta a sanzionare con il voto della base
la liquidazione politica di un Bordiga irrecuperabile alla politica
del Comintern. Certo, Gramsci sostiene con forza le posizioni della
maggioranza dell'Internazionale, ma non si prefigge la sistematica
distruzione di ogni dialettica interna al partito; (63) così come
totalmente irriducibili allo stalinismo sono le tesi di Lione, forse
il documento maggiormente rappresentativo di un Gramsci compiutamente
approdato ad una visione matura e leninista dell'azione
rivoluzionaria.
Da qui l'estrema
attenzione posta dalle tesi all'analisi della fase e
all'individuazione delle forze motrici della rivoluzione italiana,
non in astratto secondo schemi meramente ideologici, ma nel concreto
del quotidiano confronto di classe. Ne deriva, elemento del tutto
nuovo per il partito italiano, la centralità degli obiettivi
intermedi e transitori e l'adozione di uno stile di azione politica
che permetta all'avanguardia rivoluzionaria di dialettizzarsi con gli
strati profondi della classe. Temi che riprendono suggestioni antiche
già presenti nell'esperienza ordinovista, ma ora definitivamente
depurate, anche grazie al profondo sodalizio con Bordiga del
1921-1923, da ogni influenza spuria di origine bergsoniana o
soreliana. (64)
Nonostante i metodi usati
a Lione non si può, dunque, parlare di stalinizzazione del partito,
almeno per il breve periodo della direzione Gramsci. Per affermarsi
definitivamente nel PCI lo stalinismo dovrà passare attraverso la
spaccatura del gruppo dirigente gramsciano, l'espulsione di Tresso e
Leonetti e l'abbandono definitivo del progetto politico definito
dalle Tesi di Lione in favore di una supina acquiescenza alle svolte
della politica estera sovietica. (65) Non è un caso che la "svolta"
avvenga nel 1930 che è anche l'anno della definitiva espulsione di
Bordiga e in cui diventa avvertibile l'isolamento di Gramsci rispetto
al partito.
L'ulteriore precipitare
della situazione nel partito russo con il passaggio di Zinov'ev e
Kamenev all'opposizione insieme a Trotsky e i metodi sempre più
violenti con cui Stalin porta avanti la sua battaglia determina un
profondo ripensamento all'interno del PCI. Nell'autunno del 1926
Gramsci invia a nome dell'Ufficio Politico del partito italiano una
lettera alla dirigenza sovietica in cui si chiede di "evitare le
misure eccessive" contro l'opposizione e di considerare come in
un partito comunista "l'unità e la disciplina... non possono
essere meccaniche e coatte". Pur schierandosi a fianco della
maggioranza, anche se con evidenti esitazioni, Gramsci da voce alle
preoccupazioni dei comunisti italiani per "l'acutezza della
crisi... e le minacce di scissione aperta o latente che essa
contiene". (66)
La lettera evidenzia una
concezione dei rapporti tra i partiti comunisti dell'internazionale e
i dirigenti russi che non ha nulla in comune con quanto si attendono
i dirigenti russi dai partiti "fratelli". Per Gramsci sono
gli interessi del proletariato internazionale che devono determinare
la politica russa la quale va subordinata a quegli interessi. Pur
esprimendosi, anche se cautamente e con riserve, a favore della linea
Stalin-Bucharin, nella lettera si denuncia con coraggio come la
politica intransigente della maggioranza verso l'opposizione di
sinistra comporti il rischio di una possibile degenerazione.
"Voi oggi state
distruggendo l'opera vostra, voi degradate (...) la funzione
dirigente che il Partito comunista dell'URSS aveva conquistato per
l'impulso di Lenin", giunge a scrivere Gramsci che auspica una
ricomposizione unitaria del partito nella più autentica tradizione
bolscevica. La lettera suscita una profonda irritazione in Stalin e
il timore che il PCI passi all'opposizione trotskista. (67)
Con una lettera dai toni
sprezzanti Togliatti intima a Gramsci di "tenere i nervi a
posto" e di non intromettersi nei fatti dei russi.
"Vi è senza dubbio
- scrive - un rigore nella vita interna del PC dell'Unione. Ma vi
deve essere. se i partiti occidentali volessero intervenire presso il
gruppo dirigente per far scomparire questo rigore, essi
commetterebbero un errore assai grave. Realmente in questo caso
potrebbe essere compromessa la dittatura del proletariato".
Esprimere dubbi o
perplessità riguardo agli atteggiamenti della maggioranza vuol dire
porsi dalla parte dell'opposizione. La politica di Stalin va
appoggiata in blocco senza sottilizzare troppo sui metodi usati per
imporla:
"Quando si è
d'accordo con la linea del CC, il miglior modo di contribuire a
superare la crisi è di esprimere la propria adesione a questa linea
senza porre nessuna limitazione". (68)
E' la rottura definitiva,
politica e personale, fra i due che non si scriveranno più, mentre
nei confronti di Bordiga, nonostante la durezza della battaglia del
1925-1926, Gramsci manterrà, ricambiato, fino alla fine della sua
vita sentimenti fraterni e di grande rispetto politico. (69)
Note
(52) In una lettera alla
moglie da Vienna Gramsci ammette di non conoscere "ancora i
termini esatti della discussione che si è svolta nel partito"
russo. Si dichiara però sconcertato dell'attacco di Stalin a Trotsky
che considera "assai irresponsabile e pericoloso" (Cfr. A.
Gramsci, Vita attraverso le lettere, cit., p. 51). Quanto alla sua
progressiva evoluzione filo-buchariniana utili indicazioni si
ritrovano in L. Paggi, Le strategie del potere in Gramsci, Roma 1984.
(53) La Conferenza
clandestina di Como si svolge nella primavera del '24. Gramsci,
appena tornato in Italia grazie all'acquisita immunità parlamentare
scopre di essere in maggioranza nel Comitato Centrale ma in minoranza
nel partito.
(54) Cfr. il resoconto
dell'intervento di Gramsci apparso su Lo Stato operaio del 29 maggio
1924, ora in A. Gramsci, La costruzione del Partito comunista, cit.,
pp. 459-462.
(55) Mozione del CC sulla
bolscevizzazione dei partiti comunisti, pubblicata su Lo Stato
Operaio del 19 febbraio 1925, ora in La liquidazione della sinistra
del PCd'It. (1925), cit., p. 49.
(56) A. Bordiga, La
questione Trotzky, L'Unità del 4 luglio 1925, ora in La
liquidazione..., cit., pp. 50-58.
(57) B. Fortichiari,
Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p 154.
(58) “Non si lascia -
commenta Damen - una base organizzativa come quella della sinistra e
soprattutto quadri saldamente formati in balia degli eventi senza una
direzione, senza una responsabilità organizzativa. Il compagno
Bordiga, defenestrato d'autorità dal centro del partito, si era
praticamente autodefenestrato dalla vita politica attiva e non
assumeva nessuna responsabilità ufficiale, neppure nell'ambito della
sua stessa corrente". ( O. Damen, Gramsci tra marxismo e
idealismo, cit., p. 103)
(59) Una efficace
ricostruzione dell'esperienza del Comitato d'Intesa e dei metodi
utilizzati contro di esso dal gruppo dirigente gramsciano si può
trovare in La sinistra comunista e il Comitato d'Intesa, Quaderni
Internazionalisti, Torino 1996.
(60) L. Maitan, Il
marxismo rivoluzionario di Antonio Gramsci, Milano 1987, p. 20.
(61) P. Spriano, Storia
del Partito comunista italiano, vol. 1, cit., pp. 444-447.
(62) G. Berti, I primi
dieci anni di vita del PCI, cit., p. 188.
(63) A Lione la sinistra
ottiene il 9.2 dei voti, contro il 90.8 della centrale, ciononostante
Gramsci insistette perché la sinistra fosse rappresentata nel CC con
due rappresentanti, così come si adopererà perché Bordiga possa
partecipare in rappresentanza della minoranza al Sesto Plenum
dell'Internazionale. Sul Sesto Plenum e sul violento scontro tra
Bordiga e Stalin che vi si svolge cfr. P. Spriano, Storia del Partito
comunista italiano, vol. II, Torino 1976, pp. 3-17.
(64) Sul Congresso di
Lione esiste una vasta letteratura. Particolarmente interessanti gli
atti del seminario svoltosi a Cortona nel novembre 1987, ora raccolti
in AA.VV., Le Tesi di Lione. Riflessioni su Gramsci e la storia
d'Italia, Milano 1990. Per quanto riguarda Bordiga Cfr. Progetto di
tesi per il III Congresso del partito comunista presentato dalla
sinistra, ora in In difesa della continuità del programma comunista,
Milano 1970, pp. 91-123.
(65) Definitive ci paiono
a questo proposito le conclusioni a cui perviene Ferdinando Ormea in
Le origini dello stalinismo nel PCI, Milano 1978. Cfr. anche gli
scritti di Leonetti, Tresso e Ravazzoli raccolti in Crisi economica e
stalinismo in Occidente, a cura di F. Ormea, Roma 1976.
(66) A. Gramsci, La
costruzione del Partito comunista, cit., pp. 124-131
(67) Cfr. la lettera di
Jules Humbert-Droz a Giuseppe Berti in data 6 maggio 1964, pubblicata
in Berti, I primi dieci anni di vita del PCI, cit., p. 259 n.
(68) Cfr. la lettera di
Togliatti a Gramsci del 18 ottobre 1926, ibidem, p. 133.
(69) Cfr. le lettere ai
familiari da Ustica in cui Gramsci testimonia della grande amicizia
che lo lega a Bordiga che nell'isola lo ha iniziato ai segreti della
cucina e dello scopone scientifico (A. Gramsci, Vita attraverso le
lettere, cit., p. 153). Altrettanto significative sono le molte
lettere di Bordiga a Gramsci nel 1927, così come il tentativo di
farlo fuggire da Ustica (Cfr. C. Ravera, Diario di trent'anni
1913-1943, Roma 1973, p. 283) o i contatti intercorsi tra i due fra
il 1934 e il 1935 a Formia, proprio poco prima che Gramsci morisse.
(Cfr. la testimonianza di Leonetti in Peregalli-Saggioro, Amadeo
Bordiga. Gli anni oscuri (1926-1945), Firenze 1997, pp. 34-35.
Ancora nel 1970, a pochi
mesi dalla morte, Bordiga dichiara a Giuseppe Fiori: "Ci
stimavamo vicendevolmente. La diversità di formazione culturale, le
contese ideologiche, non ebbero mai la conseguenza d'incrinare i
nostri buoni rapporti". (Fiori, Bordiga, un combattente
coraggioso e dogmatico, in Stampa Sera, 27 luglio 1970, citata in
Livorsi, Amadeo Bordiga, cit., p. 301).
5. Fine