TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 27 gennaio 2017

La costruzione del Partito comunista e il fascismo


Il Partito comunista nasce in un momento difficile, in cui si inizia a sentire il riflusso della grande ondata di lotte che aveva seguito la fine della guerra e cresce la violenza squadristica. I comunisti non credono però nella possibilità di una dittatura di Mussolini e il vero nemico da sconfiggere resta il riformismo.


Giorgio Amico

La costruzione del Partito comunista e il fascismo

Il Partito comunista nasce, dunque, nel segno di Bordiga in un congresso che è poco più di una orgogliosa proclamazione di indipendenza dal vecchio partito da parte dei rivoluzionari. (24) Gramsci vi gioca un ruolo subalterno e tale comportamento non fu in seguito esente da critiche anche dure. Ma era possibile, e soprattutto auspicabile, in quel momento e in quelle condizioni, premere per una più netta chiarificazione? Lo stesso Togliatti risponde di no.

"Se un dibattito sulla funzione e sui compiti immediati del partito comunista in Italia - egli scrive - si fosse aperto e si fosse approfondito, sarebbero certamente venute alla luce divergenze di fondo su problemi di importanza decisiva. Ma questo dibattito, nel momento in cui venne immediatamente preparata la creazione del partito e subito dopo di esso, non poteva accendersi. Il fuoco era stato concentrato contro la destra riformista e contro il gruppo di centro che non voleva isolarla ed espellerla dal partito, e in questa impostazione tutti erano concordi". (25)

Ma a Livorno accade qualcosa che va al di là della scelta politicamente giusta di non aprire un dibattito dalle conseguenze imprevedibili. Gramsci tace soprattutto perchè schiacciato dalla forte ostilità di parte dei delegati che gli rinfacciano le esitazioni del 1914. Bruno Fortichiari ci ha lasciato la vivissima descrizione di un uomo angosciato e solitario:

"Era presente, era con il direttivo della Frazione, ma continuava a camminare; lo vedo ancora, dietro di noi sul palcoscenico, tutto concentrato in sé, isolato, senza parlare con nessuno". (26)

Sarà il "settario" Bordiga a prenderne le difese senza esitazioni o calcoli prudenziali con un discorso "notevole, per l'efficacia anche oratoria" con cui si rivendica la diversità del nuovo partito rispetto anche alla parte più nobile della tradizione socialista. (27)

Difendendo Gramsci, Bordiga chiarisce che nel nuovo partito non ci sono più nè astensionisti, nè ordinovisti, ma solo militanti comunisti uniti nella comune fede nella rivoluzione e nella dittatura del proletariato.

"Mentre io rivendico - afferma - ciò che ci allaccia al passato di questo partito ed anche a quelli che a noi hanno appreso, uomini che oggi sono nell'altra sponda, mentre io rivendico questo, voglio anche dire che questo fenomeno, che deve essere considerato obiettivamente, del socialista di guerra, a me piace raffrontarlo con quello del socialista della parentesi di guerra, del socialista che non ha bestemmiato perchè ha taciuto, del socialista che quando invece di essere duecentocinquantamila eravamo nelle tessere ventimila e nella pratica poche centinaia, non ha detto nulla, ma che, poi, passata la bufera, è venuto a dire: "Siamo stati contro la guerra", ed è andato nei comizi elettorali a valersi di questo (...), e dico che io, che socialista di guerra non sono stato mai, preferisco quei giovani che, attraverso l'esperienza tratta dall'infamia capitalistica e dall'essere stati inviati al fratricidio sui fronti della battaglia borghese, sono tornati con la nuova fede della guerra per la rivoluzione". (28)


Si è parlato per il periodo 1921-1923 di partito "bordighiano", quasi per contrapporlo in negativo ad un ipotetico "partito di Lione" finalmente recuperato ad una corretta strategia leninista.(29) Certo, il PCd'I fu in quel periodo un partito modellato sulla "personalità vigorosa" del suo fondatore, ma senza forzature o esasperazioni leaderistiche. Le testimonianze a favore si sprecano, anche da parte di chi "bordighista" non è mai stato. Scrive ad esempio una storica di matrice "picista":

"Nel partito comunista bordighiano poterono trovare posto, per fare un esempio, Tasca e Terracini, Leonetti e Togliatti, Gramsci e Misiano, per dire d'uomini forniti ciascuno di una concezione dell'azione politica che in avvenire si rivelerà non sempre coincidente e talora anche opposta. Era lo stile di lavoro di un partito leninista? Sarebbe troppo semplice rispondere solo con un'affermazione. Certo era questo un aspetto leninista del primo comunismo italiano, ma ciò che qui preme sottolineare è che questo stile di vita e di lavoro si rivelò nella pratica più forte della concezione assolutista che del partito aveva Bordiga. Se pure egli concepiva il partito come un esercito, il fatto è che la sua percezione dell'autentico gli impedì sempre di circondarsi di caporali...". (30)

Il fatto è che, come ricorda Camilla Ravera, "c'era bisogno di una forza rigorosamente unita e disciplinata; e anche la concezione rigida di Bordiga diventava una forza; oltre che una necessità" (31). Quello che nasce a Livorno è un partito compatto, pienamente convinto della necessità di dover andare oltre "alla confusione e al marasma che era stati dominanti nel partito socialista e da cui ci si voleva liberare una volta per sempre". (32)

Anche Gramsci condivide questo spirito. Dal 1921 al 1923 appare in linea con Bordiga se non a livello di analisi, almeno sul piano delle conclusioni politiche. Così al momento delle elezioni politiche della primavera del '21, a cui il Partito partecipa soltanto per disciplina nei confronti delle decisioni del Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista, anche Gramsci sostiene a fondo su L'Ordine Nuovo le tesi del partito, anzi sarà proprio lui a usare i toni più duri nei confronti del parlamentarismo. (33)

C'è chi ha voluto vedere in questo atteggiamento disciplinato nient'altro che la scelta di attendere tempi migliori da parte di un Gramsci che, ancora sotto gli effetti della contestazione subita a Livorno, tuttavia in privato non risparmia dure critiche alla direzione di Bordiga. (34) E' una tesi che getta un'ombra di doppiezza su una personalità limpida come sempre fu, anche per ammissione dei suoi avversari, quella di Antonio Gramsci e che non trova riscontri, se non in una frase di Togliatti del febbraio 1924. (35) In realtà, come testimonia Umberto Terracini:

"L'Ordine Nuovo per circa un anno tacque sul proprio programma, e fu fedele esecutore dell'impegno di sostenere il Partito comunista senza accentuare le posizioni del gruppo. Ciò incominciò ad avvenire soltanto dal '22 in poi. Vi furono insufficienze, mancanze, errori nostri, che pesarono sui primi passi del nuovo partito. D'altra parte l'esigenza fondamentale del momento era la nascita del vero partito di classe. E poi, anche i rapporti personali e fraterni che esistevano fra Bordiga e noi ebbero un peso nello stemperare i contrasti. Soltanto più tardi, quando si cominciarono ad avvertire i frutti amari della linea politica di Bordiga prendemmo le distanze da lui e ne combattemmo le impostazioni. Ma i rapporti affettuosi e fraterni che avevamo stabilito non si dissolsero mai del tutto".(36)


Il pieno dispiegarsi della controrivoluzione fascista non modifica nella sostanza questa situazione. Bordiga e Gramsci vedono nel fascismo la risposta unitaria della borghesia italiana all'assalto rivoluzionario della classe operaia. In quest'ottica Mussolini non rappresenta una rottura irreversibile degli assetti costituzionali nè tantomeno della tradizione politica liberale. E' sul piano della prospettiva politica e della tattica del partito che le differenze sono profonde.

Per Bordiga, ossessionato dal timore di possibili inquinamenti "democraticistici" della purezza programmatica del partito, non esistono soluzioni intermedie e l'unico obbiettivo da propagandare resta la dittatura proletaria. Di conseguenza, va accuratamente evitata ogni possibile confusione sul piano dell'azione con tutte quelle forze che , pur collocandosi sul terreno di un antifascismo militante, vedi ad esempio gli Arditi del Popolo, restano tuttavia ideologicamente spurie e di conseguenza non sicure.

Diversa la posizione di Gramsci, più attento alle contraddizioni all'interno dello schieramento borghese e dello stesso fascismo che gli appare incapace di mantenere l'egemonia sugli strati intermedi e piccolo borghesi soprattutto a livello rurale. Di qui l'attenzione al mondo cattolico e ad una parte dell'intellettualità di cui Gobetti appare il più degno rappresentante, ma soprattutto l'ipotesi che sia possibile una lotta antifascista per obiettivi democratici e non direttamente comunisti, rivolta soprattutto alla conquista delle masse contadine del Meridione. Temi che si intrecciano al dibattito in corso nel partito sulla tattica del fronte unico e che per Gramsci ne rappresentano la logica estensione.

Va chiarito, tuttavia, che, almeno per il rivoluzionario sardo si tratta di convincimenti che matureranno col tempo e che assumeranno piena rilevanza soprattutto dopo l'assassinio Matteotti, di fronte al fatto nuovo rappresentato dalla tattica aventiniana dell'antifascismo democratico-borghese. Nell'ottobre 1922, infatti, sia Gramsci che Bordiga paiono non credere nell'effettiva possibilità di una stabile e duratura presa del potere da parte dei fascisti. (37)


Note

(24) Ci pare, tuttavia, assai riduttiva la tesi di Cortesi, secondo cui quella di Livorno è "una tardiva coalizione di gruppi improvvisamente affrettata dopo il Secondo congresso dell'Internazionale Comunista e la irresponsabile condotta del PSI di fronte all'occupazione delle fabbriche, ma sostenuta da una elaborazione politica e da un confronto interno insufficienti". (Introduzione a B. Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 17)
(25) P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, Roma 1984, p. 16. Quanto alle critiche a Gramsci si veda in particolare la lettera di Mario Montagnana riportata dallo Spriano (Storia del Partito comunista italiano, vol. I, Torino 1976, p. 118).
(26) B. Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 135.
(27) Il giudizio è di Franco Livorsi (Amadeo Bordiga, Roma 1976, p. 167).
(28) Il discorso di Bordiga a Livorno è riprodotto in La Sinistra comunista nel cammino della rivoluzione, Roma 1976, pp. 67-100.
(29) E' questo, per intenderci, il taglio dell'intera storiografia di ispirazione togliattiana almeno fino agli anni Settanta e di cui si avvertono ancora tracce anche nell'opera, di ben altro spessore, dello Spriano.
(30) F. Pieroni Bortolotti, Francesco Misiano. Vita di un internazionalista, Roma 1972, pp.100-101.
(31) C. Ravera, testimonianza in La Frazione comunista al Convegno di Imola, Roma 1971, p. 32.
(32) P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, cit., pp.19-20.
(33) A. Gramsci Il parlamento italiano, L'Ordine Nuovo 24 marzo 1921. Ora in Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino 1974, pp. 115-117.
(34) "Non ti nascondo la mia opinione che tu, molte delle cose che dici ora, avresti dovuto dirle, e non in conversazioni private e di cui si aveva sentore indiretto, ma davanti al partito, molto tempo prima. Nella Centrale costituita a Livorno tu rappresentavi il gruppo che seguiva una concezione diversa da quella di Bordiga". Cfr. P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., cit., p. 213.
(35) Cfr. a questo proposito G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, cit., pp.173-178. Tra le numerose attestazioni di stima nei confronti di Gramsci ricordiamo soprattutto quelle di Bordiga che ancora nel 1954 definiva Gramsci il "rappresentante più rispettabile e non solo perchè morto in tempo" di un'intero filone del socialismo italiano (Cfr. A. Bordiga, Meridionalismo e moralismo, Il programma comunista, 29 ottobre-12 novembre 1954; ora in A. Bordiga, Il rancido problema del Sud italiano, Genova 1993, p.96) e di Fortichiari per il quale Gramsci, al di là di ogni valutazione politica, "personalmente era un galantuomo" (Cfr. B. Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 142).
(36) U. Terracini, Quando diventammo comunisti, cit., p. 44.
(37) "La cosa che impressiona - scrive Onorato Damen - è la estrema leggerezza e la ostentata noncuranza del fenomeno presente nei maggiori esponenti del partito: Bordiga, ad esempio, riteneva, mentre era a Mosca per l' "Allargato", impossibile un tentativo di marcia su Roma delle camicie nere e proprio nel momento che tale marcia era in pieno svolgimento, Gramsci se l'è cavata ora con la dichiarazione di 'folklore episodico e paesano', ora affrontando il problema del 'cesarismo nella storia'” (Damen, Gramsci tra marxismo e idealismo, cit., p.107). Per una più precisa conoscenza delle posizioni di Bordiga sul fascismo è utilissima la raccolta di testi curata all'inizio degli anni Settanta dai francesi di "Programme communiste" (Communisme et fascisme, Marseille 1970), mentre gli scritti di Gramsci sono raccolti in Socialismo e fascismo, cit. e in La costruzione del Partito comunista, Torino 1971.


3. Continua