TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 25 marzo 2018

Cinema e Resistenza. Il periodo d'oro degli anni '60



Gli anni '60 rappresentano il periodo di massimo splendore del cinema italiano. Roma diventa una delle grandi capitali del cinema, capace di rivaleggiare ad armi pari con Hollywood grazie alle opere di registi come Antonioni, Visconti, Fellini.

Il risveglio del cinema italiano negli anni ’60.

“Gli sbandati” è un film di poco successo, ma che precorre i tempi e farà scuola nel decennio successivo in un'Italia profondamente trasformata dal boom economico e da una gigantesca migrazione al Nord che svuota le campagne meridionali e riempie le fabbriche del triangolo industriale. Una classe operaia nuova e una gioventù nuova, quelle delle “magliette a strisce” che nel luglio '60 riscopre l'antifascismo e scende in piazza contro l'apertura della DC ai fascisti e la nascita del governo Tambroni. Sono i giorni di Genova e poi di Reggio Emilia che aprono un decennio segnato da profondi cambiamenti e che sfocerà poi nel '68. 

Sono gli anni del centro-sinistra, del ritorno delle lotte operaie dopo anni di paura e di repressione. Nel luglio '60 si apre una stagione nuova, quella delle riforme (nazionalizzazione dell'energia elettrica, scuola media unica) destinata a interrompersi presto per la reazione delle forze più conservatrici che minacciano il golpe (1964). Ma nonostante tutto non si torna indietro. Il vento del cambiamento pare inarrestabile. Dopo la stagnazione degli anni '50 l'Italia appare un paese interessato da un profondo cambiamento. In dieci anni, dal 1954 al 1964, il reddito nazionale raddoppia. Aumenta la ricchezza, anche se permangono e in alcuni casi si aggravano, sacche di miseria e aree profondamente depresse. 

La questione meridionale resta irrisolta, ma resa meno esplosiva dall'emigrazione. Si spopolano le campagne e per la prima volta le città raccolgono la maggioranza della popolazione. Iniziano le prime forme di consumismo. E' l'Italia delle Seicento, dei primi frigoriferi, di Carosello. Sono gli anni del boom edilizio, alla periferia delle città sorgono nuovi quartieri. Sono palazzoni grigi, spesso tirati su in fretta e furia, ma dotati di ascensore, bagno, riscaldamento centrale. Una rivoluzione per un'Italia contadina abituata ad una vita spartana, non molto diversa da quella dei padri e dei nonni. Ora invece, cambia tutto. L'Italia è un paese inquieto in cui si riaprono spazi per l'impegno culturale e civile impensabili nel decennio precedente. 



Il cinema inizia a raccontare questa Italia frenetica e contraddittoria con film di una forza straordinaria: Luchino Visconti con Rocco e i suoi fratelli (1960); Federico Fellini con “La dolce vita” (1960); Dino Risi con “Una vita difficile” (1961), “Il sorpasso”, (1962) e “I mostri”, (1963); Francesco Rosi con “Le mani sulla città” (1963); Elio Petri con “Il maestro di Vigevano” (1963); Vittorio de Sica con “Il boom” (1965); Antonio Pietrangeli con “Io la conoscevo bene” (1965). La stagione straordinaria della commedia all'italiana caratterizza il decennio di massimo splendore del cinema italiano. Roma con gli studi di Cinecittà diventa una delle grandi capitali del cinema, capace di rivaleggiare ad armi pari con Hollywood grazie alle opere di registi come Antonioni, Visconti, Fellini.

Il cambiamento è generale. La televisione entra nelle case degli italiani soppiantando la radio e scalzando progressivamente il cinema da prima forma di intrattenimento. Le attenzioni dei censori si spostano sul nuovo mezzo di comunicazione, che soppianta il cinema come strumento di condizionamento dell'opinione pubblica. Quella italiana è e resterà fino agli anni '80 una tv di Stato rigidamente controllata dal potere politico. Un cambiamento di clima politico, a cui non è estranea a livello internazionale l'inizio del processo di distensione fra i due blocchi (la cosidetta “coesistenza pacifica” secondo la formula del leader sovietico Nikita Kruscev) e su di un altro piano la svolta storica della Chiesa con il pontificato di Giovanni XXIII e l'avvio del Concilio Vaticano Secondo. Insomma, si inizia a respirare un'aria nuova. 



In questo clima più disteso la Resistenza ritorna prepotentemente sugli schermi con una serie nutrita di grandi film preceduti nel 1959 da “Il generale Della Rovere” di Rossellini, vincitore del Leone d'oro alla Mostra di Venezia. E' una vera e propria grandinata di titoli, ci limitiamo ai più noti. Nel 1960 escono “Tutti a casa” di Luigi Comencini, “La lunga notte del '43” di Florestano Vancini, “Era notte a Roma di Roberto Rossellini, “Il gobbo” di Carlo Lizzani. Nel 1961 è la volta di “Un giorno da leoni” di Nanni Loy, “Una vita difficile” di Dino Risi, “ Tiro al piccione” di Giuliano Montaldo. Ondata che continua nel 1962 con “Le quattro giornate di Napoli” ancora di Nanni Loy e l'anno successivo con “Il terrorista” di Gianfranco De Bosio. 

Rispetto alla prima stagione neorealista il cinema ora guarda alla Resistenza con occhi meno innocenti, abbandonandone la visione mitica incentrata, come si visto sull'unità antifascista delle grandi masse popolari comuniste e cattoliche. E' una descrizione in chiaroscuro, che progressivamente fa emergere le contraddizioni, le ambiguità, il rimosso di un fenomeno che si rivela estremamente complesso e sfaccettato. Si inizia a parlare dei repubblichini (“La lunga notte del '43”, “Tiro al piccione”), dei contrasti politici fra i partiti del CLN (“Il terrorista”), della guerra di Liberazione come guerra civile che distrugge legami famigliari e di amicizia (“Un giorno da leoni”), della sostanziale continuità di molti aspetti del fascismo anche nell'Italia repubblicana (“Una vita difficile”.

La Resistenza, da oggetto di celebrazione diventa campo di indagine. Una ricerca che coinvolge anche gli anni del regime, tanto che saranno almeno una quarantina i film dedicati al ventennio.Siamo di fronte ad un cinema disincantato. “Buona parte dei film degli anni sessanta – annota un critico - è percorsa dal tema della disillusione, delle speranze e dei sogni presto dissolti dopo la Liberazione, il senso del fallimento per un Paese che non si era rinnovato nelle istituzioni e ancora lontano dall’essere una democrazia compiuta, per un’Italia che avrebbe potuto essere e non è stata. A percorrere questi film non è ancora il rimpianto del mito della “rivoluzione mancata” o della “Resistenza tradita” che diverrà assillante negli anni settanta, ma sono la visione etica e morale della lotta di Liberazione e l’incolmabile distanza, dopo quasi vent’anni, tra quanto enunciato dalla Costituzione e quanto realizzato”.


Due film spiccano fra tutti. “Una vita difficile” di Dino Risi del 1961, che racconta l'impossibile reinserimento nella vita civile di un ex partigiano che non vuole rinunciare ai propri ideali e ai propri sogni e paga per questo un prezzo durissimo. Un film amaro con un grande Alberto Sordi che offre in questa occasione forse la migliore prestazione della sua carriera. 

E poi “La lunga notte del '43”, tratto da un racconto di Bassani che ricostruisce la strage di un gruppo di antifascisti. E' il primo film in cui i fascisti sono protagonisti assoluti e manifestano un odio feroce verso l'Italia che li ha traditi, una voglia assoluta di morte tesa a cogliere anche il minimo pretesto per scatenarsi in tutta la sua ferocia. Qui il disincanto diventa quasi disperazione. Nella sequenza finale, ambientata negli anni '60 uno dei protagonisti stringe la mano di uno degli assassini del '43 e non perché vi sia stata riconciliazione o perdono, ma per quieto vivere e indifferenza. Vent'anni dopo l'Italia ha già dimenticato, carnefici e vittime sono diventati uguali. Il sogno di un'Italia diversa pare definitivamente tramontato.

(Giorgio Amico, Da "Roma città aperta" a "Il partigiano Johnny". La Resistenza nella filmografia italiana 4)