TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 23 marzo 2018

Il primo dopoguerra e il cinema neorealista (1945-1951)




La speranza era quella di far diventare il cinematografo uno strumento utile. Con "Roma città aperta" ho innovato tanto. Allora era impensabile girare in ambiente vero e non ricostruito in un teatro di posa, che era il luogo in cui si celebrava il grande rito del cinema; la strada, quella vera, era completamente sconosciuta al cinema di allora. Volevo fare un cinematografo accessibile a tutti: uscire dalla produzione industriale, con tutte le schiavitù che comportava”. Così Roberto Rossellini racconta il suo cinema. Nel 1945 a guerra ancora in corso inizia la grande stagione del neorealismo.

Giorgio Amico

Il primo dopoguerra e il cinema neorealista (1945-1951)

La prima stagione del cinema resistenziale si apre nel gennaio del 1945 a guerra ancora in corso con “Roma città aperta” di Roberto Rossellini per concludersi all’inizio degli anni Cinquanta con “Achtung! Banditi!” di Carlo Lizzani, un film girato a Genova fra le fabbriche e le case di Pontedecimo. E' un cinema povero di mezzi, ma ricco di ideali e di speranze. Film girati nelle strade spesso con attori non professionisti sia per sopperire alla drammatica mancanza di risorse (gli stessi studi di Cinecittà erano allora ricovero degli abitanti dei quartieri distrutti dai bombardamenti), sia per sottolineare il carattere realistico e popolare della narrazione. 

Con il film di Rossellini inizia la grande stagione neorealista, destinata a rendere celebre in tutto il mondo il cinema italiano, vissuta come una reazione all'uso che del mezzo cinematografico aveva fatto il fascismo. Un cinema di propaganda, rappresentato da film come “La vecchia guardia” di Blasetti (1934) o “Scipione l'Africano” di Carmine Gallone (1937) celebrativi della “rivoluzione fascista” e della conquista dell'impero, a cui si affiancava (a imitazione della commedia americana) il genere sofisticato dei “telefoni bianchi”, apparentemente meno impegnato, ma in realtà teso a magnificare il benessere crescente e la modernizzazione dell'Italia fascista degli anni Trenta. Ne sono un chiaro esempio “Grandi Magazzini” di Camerini del 1939 e “Gli uomini che mascalzoni” di Lattuada del 1932 che pure in anni di crescente autarchia importano italianizzandolo il sogno americano fatto di negozi luccicanti ed automobili lussuose.



Il cinema della Resistenza parte da Roma, proprio all'indomani dell'uscita dalla città dei tedeschi e dell'arrivo degli Alleati per raccontare la lunga notte dell'occupazione nazista, gli arresti e le torture, le fucilazioni e le rappresaglie. E parte con un film girato nel segno della morte e della tragedia, ma anche della speranza incentrato su due personaggi: un prete fucilato sul campetto della sua parrocchia e un ingegnere comunista che muore sotto tortura. Il prete benedice i suoi assassini, il comunista non rivela i nomi dei suoi compagni. Rossellini nel raccontare queste tristi vicende pone l'accento più sul piano morale che su quello politico, spiegando per immagini di un bianco e nero essenziale cosa sia quella “moralità nella Resistenza” che Claudio Pavone porrà nel 1991 a titolo del suo libro. 

“Roma città aperta” è un film totalmente antiretorico. Non ci sono proclami né slogan, ma, anche se non in primo piano, la politica c'è e rimanda già dalla scelta dei protagonisti allo storico incontro fra comunisti cattolici che avviene proprio in quei mesi, a quella unità antifascista destinata ad esaurirsi nello spazio di pochi anni con l'inizio della guerra fredda, ma che è comunque, nonostante tutto, alla base della nascita prima della Repubblica e poi della Costituzione. 

Seguirà nel 1946 Paisà, sempre di Rossellini, un potente affresco collettivo di un'Italia attraversata dalla guerra. Sei storie, dallo sbarco degli Alleati in Sicilia alla guerra partigiana nel delta del Po, passando per Napoli, Roma, Firenze, a raccontare di un'Italia in rovina che si arrangia come può (splendido l'episodio napoletano), ma che non ha perso del tutto la sua innocenza e la sua fede. Lo testimoniano i fraticelli del piccolo convento sperduto sull'Apennino emiliano che si trovano ad ospitare per una notte tre cappellani militari americani: un prete cattolico, un pastore protestante e un rabbino.


Tra il 1945 e il 1948, negli anni della ricostruzione e dell'unità antifascista, sono complessivamente una dozzina i film dedicati alla Resistenza. Non è poco tenuto conto della ridottissima produzione di quegli anni in cui nelle sale dominano i film americani. Una situazione sintetizzabile in pochi dati: nel 1946, a fronte di 46 film prodotti in Italia, quelli importati sono complessivamente 874, di cui 668 americani. Nel 1948 sono 54 i film italiani di fronte agli 874 realizzati all'estero, di cui 668 provenienti dagli USA. Come dimostrano queste cifre sono anni fortunati per le sale cinematografiche che riaprono a migliaia, spesso in condizioni di fortuna, in tutto il Paese compresi i paesi più piccoli. Centrali in questo rilancio sono i circuiti organizzati, quello delle sale parrocchiali (da sole un terzo dei cinema) e quello alternativo delle organizzazioni ricreative e culturali legate alla sinistra. 

La stessa Associazione nazionale partigiani d'Italia (ANPI) è in prima fila a promuovere l'utilizzo del mezzo cinematografico nella costruzione della memoria. Lo farà commissionando nel 1946 la realizzazione di due film, “Il sole sorge ancora”, di Aldo Vergano, e “Caccia tragica”, di Giuseppe De Santis, entrambi di ambientazione rurale: il primo in un cascinale lombardo, il secondo nella campagna ravennate. Film poverissimo, tanto da costringere gli sceneggiatori a recitare in prima persona per ridurre la spesa degli attori, “Il sole sorge ancora” racconta gli inizi della lotta partigiana all'indomani dell'8 settembre, il travagliato processo di formazione delle prima bande e il loro radicarsi nelle comunità locali. Il film di Vergano sottolinea particolarmente gli elementi di rivolta popolare (operaia e contadina) della guerra partigiana, tanto da essere definito un film “marxista” da parte della critica, restando tuttavia all'interno del tema, già incontrato in “Roma città aperta” dell'unità antifascista delle grandi forze popolari. Eloquente in questo senso la sequenza della fucilazione congiunta del prete e dell'operaio comunista i cui corpi vanno a formare una croce. 


Lo scopo di questi film era sostanzialmente educativo: trasformare il cinema da momento di mero intrattenimento in un primo stadio del processo di alfabetizzazione democratica di masse popolari diseducate da vent'anni di dittatura. Il messaggio doveva essere chiaro, accessibile a tutti, immediatamente comprensibile. L'aggancio alla realtà doveva essere totale, non ci doveva essere finzione, la storia raccontata doveva rispecchiare il più possibile il vissuto degli spettatori, le loro storie individuali, le loro esperienze della guerra. In un'intervista, rilasciata molti anni dopo a Enzo Biagi, Roberto Rossellini parlerà della volontà di fare un cinema “utile”:

“La speranza era quella di far diventare il cinematografo uno strumento utile. Con Roma città aperta ho innovato tanto. Allora era impensabile girare in ambiente vero e non ricostruito in un teatro di posa, che era il luogo in cui si celebrava il grande rito del cinema; la strada, quella vera, era completamente sconosciuta al cinema di allora. Volevo fare un cinematografo accessibile a tutti: uscire dalla produzione industriale, con tutte le schiavitù che comportava”.

E' proprio questo intento educativo che spiega l'accento posto da tutti gli autori di questa prima stagione resistenziale sui motivi etici piuttosto che su quelli politici. Anche le storie individuali raccontate hanno questo sottofondo, i personaggi sono continuamente posti di fronte ad una scelta che è prima di tutto etica.



La fine dei governi di unità antifascista e l'inizio della guerra fredda segnano un profondo cambiamento del clima politico e culturale. Dopo le elezioni politiche del 1948 l'Italia rispecchia fedelmente la realtà di un mondo diviso in due blocchi. L'esclusione delle sinistre dal governo seguita dalla scissione sindacale apre una fase nuova. Anche sul cinema cala il gelo della guerra fredda. Nel clima di stabilizzazione moderata dei primi anni Cinquanta, segnati dal recupero in funzione anticomunista della destra monarchica e neofascista, la Resistenza diventa una realtà scomoda. Uno storico inglese descrive così questo passaggio epocale:

“Il governo italiano lanciò un programma di misure anticomuniste per cui sindacalisti, ex partigiani e membri del Partito comunista furono arrestati in massa. (…) Dei 90-95.000 comunisti ed ex partigiani arrestati fra l'autunno del 1948 e il 1951, solo 19.000 andarono sotto processo, e solo 7000 furono trovati colpevoli di qualche reato; gli altri furono trattenuti per periodi variabili in «custodia preventiva». Furono i militanti più ostinati, e soprattutto gli ex partigiani, a essere trattati con la massima durezza. Dei 1697 ex partigiani arrestati fra il 1948 e il 1954, 884 furono condannati a un totale di 5806 anni di galera. (…) Certo è che questo «processo alla Resistenza» fu molto più severo di quanto non fosse mai stata l'epurazione dei fascisti. Il messaggio era chiaro: gli «eroi» del 1945, che avevano liberato il Nord d'Italia dal governo fascista, erano diventati alla fine il nuovo nemico”.

“Achtung!Banditi!” film del 1951 di Carlo Lizzani chiude un’epoca e ne apre un’altra. Lo dimostrano gli ostacoli di ogni genere mossi dalle autorità alla relizzazione del film. Non fu ad esempio permesso l'uso di armi da fuoco vere e la produzione fu costretta non senza difficoltà a provvedere alla fabbricazione di abili imitazioni in legno in tutto simili agli originali. Notevoli furono anche i problemi finanziari. Nell'impossibilità di trovare un produttore disposto a finanziare il film (e rischiare così di perdere i contributi statali), si dovette addirittura costituire una cooperativa, la Società cooperativa di produttori e spettatori. Il film racconta della lotta per impedire lo smantellamento di una fabbrica e il trasferimento dei macchinari in Germania. L'accentuazione “operaista” del film, girato nel quartiere industriale di Pontedecimo tra i capannoni delle fabbriche, rivendica il ruolo nazionale e patriottico svolto nella guerra di Liberazione da una classe operaia descritta ora dalla reazione come una massa fanatizzata e incolta, facile preda della propaganda sovversiva.

(Giorgio Amico, Da "Roma città aperta" a "Il partigiano Johnny". La Resistenza nella filmografia italiana)