TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 27 ottobre 2018

Il lungo Sessantotto



Il '68 italiano fu l'epilogo di un decennio di lotte e dibattiti iniziato con la rivolta antifascista di Genova del luglio '60. Fu anche l'inizio di un decennio di aspri scontri sociali e politici che terminerà con la grande sconfitta operaia di Mirafiori del 1980. Il “lungo Sessantotto” italiano è il tema di una ricerca (in via di pubblicazione) di cui presentiamo l'introduzione. 


Giorgio Amico

Il lungo Sessantotto

Il Sessantotto, “l'anno degli studenti” come è stato definito, sconvolge gli assetti di una società tardocapitalista giunta al culmine di quasi trent'anni di sviluppo ininterrotto della produzione, di crescita della ricchezza sociale e dei consumi. Sono gli anni in cui la crisi, che arriverà poi devastante alla metà degli anni Settanta, conseguenza della fine degli accordi di Bretton Woods sulla convertibilità del dollaro e dello shock petrolifero, pare un residuo del passato, sconfitta definitivamente dalla pianificazione economica, dal keynesismo e dall'affermarsi in tutto l'Occidente del welfare state.

Eppure la società del benessere nasconde al suo interno contraddizioni profonde che esploderanno alla fine degli anni Sessanta coinvolgendo tutti i paesi sviluppati, Unione Sovietica e paesi dell'Est compresi. Un fenomeno globale che presenta profonde differenze tra paese e paese, ma ha come elemento comune il protagonismo dei giovani e la breve durata. Quasi ovunque già all'inizio del 1969 il movimento è ormai in pieno riflusso, a causa della repressione violenta (Cecoslovacchia, Messico) o per un autoesaurimento (Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti, Giappone) dovuto all'incapacità di uscire dall'ambito studentesco e di collegarsi con altre realtà sociali a partire proprio da quel movimento operaio visto, in forma spesso idealizzata, come l'interlocutore privilegiato.

Certo, i fatti del '68 lasciano una traccia profonda nella società e determinano una radicale e più generale trasformazione del modo di vivere. Basta pensare alla liberalizzazione dei costumi sessuali in ambito giovanile e alla nascita di un movimento femminista non più semplicemente emancipazionista, ma incentrato sulla rivendicazione della differenza di genere, per rendersi conto della vastità dell'impatto sociale del movimento del '68. Più contenuto è invece l'effettivo impatto politico. “Lo Stato borghese sui abbatte e non si cambia” era stato lo slogan più ripetuto nei cortei, ma nell'insieme il “sistema” tiene. Anzi, come dimostrano i casi francese e tedesco, si ricompatta nel segno di una restaurazione dello status quo non priva tuttavia di concessioni riformistiche soprattutto sul piano dei diritti di cittadinanza.

La sinistra radicale ne esce comunque rafforzata. Le preesistenti organizzazioni rivoluzionarie, veri e propri residui “fossili” della vecchia Terza Internazionale, si riempiono di studenti acquistando una visibilità mai avuta prima, mentre dalle ceneri del movimento studentesco nascono partiti di tipo nuovo, come la Ligue communiste in Francia o il Socialist Workers Party in Inghilterra, forti di migliaia di aderenti. Insieme, vecchie sette e nuovi partitini vanno a comporre la cosiddetta Nuova Sinistra, fortemente influenzata dalle lotte del Terzo mondo e dalla Rivoluzione culturale cinese, e dunque molto radicale negli slogan e nelle forme di azione, ma il cui peso politico effettivo resta al di fuori dell'ambiente studentesco pressocché nullo. Solo l'Italia, dove gli studenti riescono a non farsi rinchiudere nelle università e rompono l'isolamento entrando in contatto con le avanguardie di classe in via di formazione nelle fabbriche, fa eccezione.Tanto da far parlare di “lungo Sessantotto”. Una eccezione le cui cause vanno ricercate nella particolarità del caso italiano.



Il fatto è che alla prova della crisi l'Italia si rivela molto più fragile, socialmente e politicamente, degli altri paesi dell'Occidente avanzato. Gli equilibri di governo sono da sempre bloccati dalle logiche della guerra fredda. La formula del centrosinistra è logora, ma i vincoli internazionali rendono impraticabile l'apertura al PCI. Il risultato è il lungo declino del sistema di potere democristiano con il diffondersi di fenomeni degenerativi come la corruzione e il clientelismo, mentre restano irrisolte questioni fondamentali per lo sviluppo come quello della formazione universitaria e della scuola in genere. Il “biennio rosso 1968-69” è, come si è detto, preceduto da un decennio in cui si accumulano tensioni e contraddizioni, ma anche speranze riformiste e sogni rivoluzionari.

Alla vigilia del '68 l'Italia è per molti versi una polveriera pronta a esplodere. A partire dalla fine del 1967 il movimento delle occupazioni sarà la causa scatenante di una più generale rivolta che investe tutti i settori della società, compresi i più corporativi e chiusi come la medicina, la magistratura e perfino la polizia. Le lotte studentesche diventano il detonatore di una conflittualità generalizzata che investe realtà diversissime - dagli operai di Mirafiori ai braccianti del Sud, dai senza casa delle metropoli ai disoccupati, dai carcerati ai soldati di leva - e trova poi nello slogan di Lotta continua “Prendiamoci la città” la sua sintesi più efficace.

Sono tanti i fattori che determinano la specificità italiana e la lunga durata di un ciclo di lotte iniziato con la rivolta antifascista di Genova del 1960 e terminato con la grande sconfitta operaia di Mirafiori del 1980.Pesano in particolare la complessità della situazione politica, il ritardo nella costruzione dello Stato sociale, il riformismo mancato del centrosinistra, il divario fra Nord e Sud, lo squilibrio crescente tra dinamismo economico e rigidità del sistema politico-istituzionale. Con gli anni Sessanta inizia un ciclo di lotte e dibattiti, che trova nel biennio '68-'69 il momento apicale e di snodo per continuare poi per tutto il decennio successivo compresi i cosiddetti “anni di piombo” dell'eversione nera e del terrorismo di sinistra.

Ricostruire gli avvenimenti di quel biennio e di ciò che seguirà comporta dunque preliminarmente la necessità di confrontarsi anche con il decennio che lo precede e lo prepara, a partire dalla considerazione che più che di una cultura del '68 occorre parlare di una pluralità di culture frutto della complessità e della molteplicità delle tendenze in atto.

(Giorgio Amico, Le culture del Sessantotto, 1)