TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 20 ottobre 2018

Leggi razziali del 1938. Gli elenchi della vergogna


Una grande mostra a Torino racconta come la città visse gli orrori della guerra e della persecuzione antiebraica. Da vedere.

Andrea Parodi

Leggi razziali del 1938. Gli elenchi della vergogna


Iniziarono dai bambini, elencandoli. Le date riportate sui documenti sono crudeli testimoni di un tempismo studiato a tavolino. Pochi giorni prima dell’inizio delle lezioni, giusto in tempo per impedirgli l’accesso alle classi con i loro compagni ariani.

Cominciò così a Torino, dai più deboli, nell’agosto 1938, la compilazione delle «liste di prescrizione ebraiche». Fino al 1942 i dipendenti del Comune di Torino trascrissero a mano, aggiornandoli di continuo, tre grandi volumi con la copertina color amaranto. All’interno erano elencati nomi, indirizzi, dati personali. Dei bambini, ma soprattutto degli adulti. Sul frontespizio era riportato un titolo generico: «Rubrica Denunce appartenenza razza ebraica e discriminazioni». Di fatto era il crudo elenco con il quale il Comune divise i torinesi tra «noi» e «loro». Si trattava di 4.500 profili biografici su 700.000 abitanti, pari allo 0,65% della popolazione torinese.

Da lunedì - e per la prima volta - l’Archivio Storico della Città di Torino esporrà al pubblico, in una toccante mostra curata da Maura Baima, Luciana Manzo e Fulvio Peirone, la documentazione originale delle leggi razziali del 1938. Lo fa nell’ottantesimo anniversario dell’emanazione del provvedimento fascista ma, soprattutto, perché sono scaduti i termini di legge temporali per la loro diffusione pubblica. Il loro valore storico è importante soprattutto perché la documentazione storica della Comunità ebraica torinese non è completa. È andata perduta con il bombardamento della Seconda guerra mondiale del 20 novembre 1942, che danneggiò anche la sinagoga.

Le liste che arrivarono dalle singole scuole torinesi di ogni ordine e grado sono quelle che colpiscono di più. Vennero vergate a mano, con la calligrafia precisa di maestri e insegnanti. Compilarono obbedendo, escludendo i loro allievi dalla possibilità di istruirsi. Le liste giunsero alla «Divisione stato civile e statistica» del Comune di Torino. Contenevano l’elenco degli studenti che avevano richiesto di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Perché agnostici, perché valdesi, perché ebrei. Su quest’ultima informazione, una volta arrivata agli uffici comunali, scattava l’inserimento nella lista più terribile: quella dei volumi color amaranto.

Questi tre libroni, aperti e consultati per tutti gli anni della guerra dai gerarchi fascisti per procedere al loro allontanamento dalla vita civile, nonché fonte preziosissima dal 1943 per poterli catturare, sono adagiati in una vetrina e proposti al pubblico. Li ha sistemati qui Luciana Manzo, dedicando per mesi, con grande attenzione e cura, le ricerche nell’allestimento di una sezione che urla la più grande vergogna della storia d’Italia post unitaria. I tre volumi non si possono sfogliare, ma si possono leggere.

In questi «elenchi della vergogna» ci sono alcuni dei cognomi più famosi e influenti della Torino dell’epoca, nonché torinesi illustri: lo scrittore Primo Levi, la scienziata e premio Nobel Rita Levi Montalcini, il chirurgo fondatore dell’ospedale Cto Simone Teich Alasia, l’avvocato Bruno Segre, che proprio l’altro giorno, dall’alto dei suoi cento anni appena compiuti, l’ha sfogliato con emozione ritrovando il suo nome.

Un terribile grafico disegnato a mano con i colori nero e rosa illustra con pragmatica crudezza una metodologia per determinare il grado di purezza ebraica. Che è pari al 100% per gli appartenenti a famiglie ebraiche che risiedevano a Torino già nel 1845. Dal 17 novembre del 1938 quella lista divenne formalmente una prescrizione. Anche nel lavoro. Un documento datato 24 febbraio 1939 riportava le aziende torinesi che venivano depennate dall’elenco dei fornitori della civica amministrazione. Tra queste compariva la Ceat, fabbrica di cavi elettrici di proprietà dell’ebreo Virginio Tedeschi, il nonno di Valeria e Carla Bruni Tedeschi.

La mostra «Torino sotto attacco. Dalle leggi razziali alla Liberazione» rimarrà aperta dal 22 ottobre al 26 aprile 2019 all’Archivio Storico della Città di Torino (via Barbaroux, 32) con ingresso gratuito, dal lunedì al venerdì con orario 8,30-16,30. Sono previste aperture straordinarie il sabato con cadenza mensile.

La Stampa 20 ottobre 2018