All'inizio degli anni
Sessanta l'Italia è ormai una società industriale e urbana. Questa
radicale trasformazione determina un cambiamento profondo della vita
quotidiana. La televisione entra in tutte le case e pone le premesse
culturali della società dei consumi.
Giorgio Amico
Tutti davanti alla TV:
l'Italia di Carosello
Il boom economico
determina oltre all'affermarsi anche in Italia di una moderna società
dei consumi, profonde trasformazioni in campo culturale. Nasce una
vera e propria industria moderna della cultura articolata su grandi
apparati pubblici e privati. Centrale come strumento di informazione,
ma anche di standardizzazione culturale (e linguistica) diventa la
televisione. È davanti a Carosello e a Lascia o raddoppia? che
l'Italia si unfica davvero linguisticamente.
Una vera e propria
alfabetizzazione di massa che passa attrverso le immagini e porta a
livelli mai raggiunti neppure durante il fascismo il condizionamento
ideologico degli italiani, che schiude sogni di consumo e benessere
fino ad allora impensabili (la Seicento, il frigorifero), ma apre
anche squarci illuminanti sulla realtà del paese (“Non è mai
troppo tardi” del maestro Manzi, le grandi inchieste sulle campagne
del Sud o sulla condizione femminile, le prime tribune politiche) che
contribuiscono comunque alla crescita civile e politica degli
italiani.
E poi, naturalmente, la
scolarizzazione di massa, con l'istituzione nel 1962 della Scuola
Media Unica (con la nazionalizzazione dell'energia elettrica l'unica
vera riforma di un centrosinistra destinato ad avvitarsi presto su se
stesso e a ridursi alla gestione dell'esistente e alla salvaguardia
degli equlibri politici), a cui fa da sfondo una mutazione profonda
del ruolo degli intellettuali, diventati ormai a pieno titolo parte
integrante della forza-lavoro complessiva.
Una forza-lavoro
particolare, inserita in una industria della comunicazione e dello
spettacolo in fortissima crescita e che ora nelle sue avanguardie si
interroga sul proprio ruolo effettivo e inizia a formulare una
critica radicale dell'organizzazione del sapere, del suo utilizzo
istituzionale a fine di conservazione degli assetti di potere
esistenti e dunque della sua oggettiva funzione repressiva. E anche
questi sono temi che da patrimonio di un'èlite di intellettuali
diventeranno di massa nel '68.
(Giorgio Amico, Le
culture del sessantotto, 3)