TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 14 luglio 2019

Raffaele K. Salinari, Che fai tu, Luna, in ciel?


    Melis, Viaggio sulla luna (1902)

Storia di viaggi fantastici a cinquant'anni dall'allunaggio.

Raffaele K. Salinari

Che fai tu, Luna, in ciel?


Fly me to the Moon, cioè fammi volare fino alla Luna… chi non conosce questo splendido brano musicale, portato al successo da The Voice Frank Sinatra nel lontano 1964, in piena Guerra Fredda e relativa corsa allo spazio? Il valore simbolico della canzone fu tale, all’epoca, da diventare la sigla della NASA nell’avventura lunare, lanciata solo un anno prima della sua morte dal Presidente Kennedy con la famosa frase: «Abbiamo scelto di andare sulla Luna e di fare altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili». Molti anni dopo, Quincy Jones regalerà i dischi di platino di Fly Me to the Moon al Senatore John Glenn, il primo astronauta USA, ed al Comandante dell’Apollo 11 il «first man» Neil Armstrong, e Clint Eastwood userà la canzone per la scena finale, quella sulla Luna appunto, del suo romantico Space Cowboys. Più italicamente Domenico Modugno, già nel 1962, in grande sintonia italo-americana, urlava il suo: «Selene ene haaa…com’è bello stare qua, il peso sulla Luna è la metà delle metà!».

Sono passati cinquant’anni dallo storico allunaggio del luglio 1969, da quel fatidico: «Un piccolo passo di uomo, un gande passo per l’umanità», ma il sogno di raggiungere, o semplicemente utilizzare, il nostro satellite, nasce insieme alla poesia che ne canta il fascino sugli innamorati, o adora ancora le sue ipostasi divine, perché, da sempre, l’umanità ha guardato verso l’astro a noi più vicino in modo ambivalente, com’è, d’altra parte, la natura di Selene.



L’astrologia lunare

«Perché, alzando gli occhi al cielo e vedendo la Luna tu non sia trascinato a prostrarti davanti e a servirla…». Così nella Bibbia, (Deuteronomio IV, 19) si afferma la gerarchia inflessibile tra il vero ed unico Dio e l’influsso dell’astro sulla vita degli uomini. Eppure, ancora oggi, ogni inizio di anno, l’astromantica, l’antica arte di leggere negli astri gli auspici delle cose, ritorna con le rinnovate previsioni dei suoi lunari e relativi oroscopi.

L’astrologia nacque nell’antica Mesopotamia, nel regno tra i due fiumi, dove un’atmosfera straordinariamente limpida, arroventata da un sole sfolgorante, faceva apparire le masse celesti ancora più vicine e potenti. Già Diodoro siculo, nella sua Bibliotheca Historica, (Libro II, cap. IX) così ce ne rende testimonianza: «I Caldei, che tra i Babilonesi sono i più antichi, si applicano per tutta la vita agli studi filosofici e traggono principalmente assai gloria dall’astrologia. E come molto si occupano dell’arte divinatoria, predicono le cose future, e cercano, o con le espiazioni, o con i sacrifici, o con certi incantesimi, di allontanare le cattive vicende o di farne seguire le buone. E sono anche valenti nella scienza degli auguri, ed interpretano i sogni ed i prodigi, e certamente vengono reputati profeti esatti».

I pianeti, in latino plànētes astéres, cioè stelle vagabonde indagati erano quelli visibili ad occhio nudo già nell’antichità, prima tra tutti la Luna, con i suoi cicli che accordano mestrui e maree: era più che naturale cercare di capire, dai suoi movimenti, cosa potesse accadere sulla Terra. Quando esattamente queste relazioni furono fissate non è dato sapere, ma certo nel 2000 a. C. a Babilonia nasce la geografia astrologica, in cui il mondo conosciuto viene diviso in quattro Paesi corrispondenti alle regioni celesti.

Generalmente benigna, e particolarmente osservata, era dunque la Luna, figura della notte che, nella metamorfosi continua delle sue manifestazioni, ben si incardinava nella mutevole vita del mondo sublunare. Anche Giove, pianeta di Marduk, onnisciente creatore del cosmo, vivificatore dei morti, veniva influenzato dalla sua vicinanza o meno con l’alone lunare.

«La venerazione del cielo stellato» dice Julius Wellhausen, noto biblista tedesco del secolo scorso «era così radicata nei Semiti, che anche per i monoteisti Ebrei rimase sempre una grande tentazione, dell’aver resistito alla quale Giobbe così si vanta: Vedendo la Luna avanzare solenne il mio cuore non ne è stato segretamente sedotto e non ho mandato baci con la mano».

Nel corso dei secoli, la relazione tra la Luna e gli affari degli uomini ha conosciuto alterne vicende. La Chiesa si è opposta per secoli all’astrologia, e poi, progressivamente, la scienza ha trasformato l’astromantica in semplice astronomia. Ultimo tra i visionari che hanno cercato d coniugare scienza e religione forse il grande Giordano Bruno, il sincretico profeta astrologo che, però, troppo lontano si era spinto a cercare la fede nella «saggezza della Madre Materia».

Leopardi, pur cantando poeticamente la Luna nel suo Canto notturno di un pastore errante per l’Asia: «Che fai tu, Luna, in ciel? dimmi, che fai silenziosa Luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli?», chiarisce il suo amaro pensiero sugli oroscopi nel celebre Dialogo tra un viaggiatore ed un venditore di Almanacchi: «Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?».

Ma è forse Goethe, con il suo genio tollerante di Libero Muratore e lo sguardo perspicuo per tutto ciò che humanun est a dire la parola definitiva: «La superstizione astrologica si basa sull’oscuro senso di un universo sconfinato. L’esperienza insegna che le stelle più vicine hanno un influsso decisivo sul tempo, sulla vegetazione etc… non c’è che da salire di grado in grado, sempre più in alto, e chi può dire dove questa azione cessi?».

Sì chi può dirlo? Il lunario di Frate Indovino, pubblicato dal 1945 con rubriche quali «le stelle parlano» o «vedo e prevedo», e che continua a diffondere in sei milioni di copie ogni anno le inesauribili osservazioni astrologiche dei Frati Cappuccini, non è forse ritenuto da noi tutti, credenti e non, un testo di profonda saggezza che legge negli astri il Segno dei tempi?



I viaggi sulla Luna

«Dice la storia che un tempo passato, quello in cui succedevano tante cose, reali, immaginarie o fantasiose, un uomo concepì uno sterminato progetto; scriver tutto l’universo in un libro e riempì con slancio un fitto, eccelso, immenso ed arduo manoscritto, e limò e declamò l’ultimo verso. Stava per render grazie alla fortuna, ma, alzando gli occhi, un bel disco d’argento vide nel cielo e rimase sgomento: s’era dimenticato della luna. La storia, anche se falsa, è ben ordita per dimostrare quale maleficio grava su noi che usiamo, per ufficio, trasmutare in parole questa vita… D’una luna di sangue ebbe a parlare Giovanni nel suo libro, di feroci prodigi pieno e di giubili atroci; ma vi son lune d’argento, più chiare. Pitagora col sangue (narra una leggenda) su uno specchio un dì scriveva e il riflesso di questo si leggeva dentro quell’altro specchio ch’è la luna».

Questi sono alcuni versi della poesia La luna di Borges, in cui troviamo, tra le altre cose, sia la menzione dell’archetipo del “libro universale”, declinato tante volte dall’autore in termini di Biblioteca Universale, sia uno dei tanti usi strumentali del piccolo satellite: lo specchio di Pitagora.
Già nell’antichità Luciano di Samosata, infatti, narra, nel suo La storia vera, di un viaggio sulla luna, che lui descrive come un’isola sospesa per aria, tonda e luminosa, dove trova un oggetto simile ad un grande specchio: «Vidi un’ancor più grande meraviglia nel palazzo del Re Endimione. Era un grande specchio sospeso sopra un pozzo non molto profondo. Scendendo nel pozzo si udiva tutto ciò che era detto sulla terra e guardando nello specchio vi si vedevano tutte le città e tutti i popoli come se si fosse in mezzo a loro». Qui, e siamo tra il I ed il II secolo d.C., e già appare l’idea che andare sulla Luna potesse servire a controllare ciò che accade sulla Terra.

Come ci riferisce Borges, si tramanda che nell’antichità il sapiente Pitagora avesse concepito uno specchio in grado di scrivere sulla superficie lunare: in sintesi una prima forma di comunicazione a grande distanza. L’erudito gesuita Athanasius Kircher, assemblatore di una delle più monumentali Wunderkammer del Seicento, espone questa suggestiva possibilità nel suo Nuova Criptologia, ampliando la tesi contenuta nel Magiae naturalis di G. B. Della Porta (1589), legata al leggendario specchio pitagorico.

Rafael Mirami, nella sua Compendiosa introduttione alla prima parte della specularia(1582), aveva già sostenuto che «gli specchi di Pitagora erano talmente lucidi, e fatti con sottile artificio, che egli diede occasione di credere che per vie riflesse facesse vedere nel corpo luminoso della Luna immagini di lettere».

Ma da dove origina questa storia, chi per primo descrive lo specchio di Pitagora e la sua capacità di scrittura sulla Luna? Jurgis Baltrušaits, nel suo erudito Lo specchio (1981) pone la genesi del prodigio all’interno delle Nuvole di Aristofane, in cui ad un certo punto Strepsiade replica a Socrate: «Se io assoldassi una maga tessalica e facessi scendere di notte la Luna, e poi la rinchiudessi in un astuccio tondo come uno specchio?». Alle maghe tessaliche era attribuito sia da Platone sia da Plinio questo potere di «far scendere la Luna» dal cielo. E dunque in quei tempi sembrava che l’ipotesi più probabile, non fosse andare sulla Luna ma… farla scendere sulla Terra; se la montagna non va a Maometto…

E non è forse quello che, in qualche modo, farà Galileo con l’uso del suo telescopio, anche se con l’intento di toglierle proprio quell’alone di magia che ancora impediva lo studio delle cose celesti? Ma, se nel corso del XVII secolo la scienza comincia a viaggiare verso la Luna, l’antica leggenda dell’assedio di Milano e di una trasmissione, via satellite lunare, verso Parigi rimane imbalsamata all’interno di un… lunario che narrava una storia per ogni giorno dell’anno. E così nell’edizione del 1680, il giorno 22 di giugno, si legge una ricetta pratica che titola: «Maniera per conoscere le cose assenti senza magia: bisogna scriverle a grandi lettere su uno specchio e volgerlo verso la Luna, la quale le farà conoscere in un altro specchio dove la si guarda».

Quasi un secolo prima di Galileo, Astolfo, duca d’Inghilterra, viene trasformato dalla sua amante, la maga Alcina, in una pianta di mirto. L’amico Ruggiero e la buona fata Lagostilla liberano però Astolfo dall’incantesimo; questa gli dona poi un corno dal suono spaventevole ed un magico libro che insegna a difendersi dagli incantesimi. Siamo nel Canto XVdell’Orlando Furioso, l’opera in versi pubblicata nel 1516 da Torquato Tasso. Ecco che, allora, grazie a questi oggetti preziosi Astolfo distrugge il palazzo del gigante Atlante, doma l’Ippogrifo e, dopo aver cacciato le Arpie che infestano la mensa di re Senapo, in sella alla straordinaria cavalcatura, giunge alla montagna del Purgatorio dove incontra San Giovanni, un vecchio venerabile nel viso che gli spiega la sua missione: per volere della provvidenza divina dovrà recarsi sulla Luna per ritrovare l’ampolla con il senno del paladino Orlando,impazzito d’amore, e restituire così al cavaliere la sua saggezza; in questo modo egli potrà di nuovo combattere e portare l’esercito cristiano alla vittoria contro i saraceni. Così Astolfo e San Giovanni salgono sul carro alato del profeta Elia, trainato da quattro destrier più che di fiamma rossi e indi vanno al regno della luna (Canto XXXIV, 1 -70).

Anche qui, come nel caso di Luciano di Samosata, o delle streghe tessaliche, o dello specchio di Pitagora, il viaggio sulla Luna, o il farla scendere sulla terra, è chiaramente funzionale ad uno scopo ben preciso: in questo caso alla guerra contro i saraceni.

Passano i secoli e la Luna si avvicina sempre più, non solo per via delle lenti galileiane, ma per la forza attrattiva di nuovi strumento che sembrano anticipare nell’immaginario collettivo, quello che la politica tiene più da conto, l’impresa reale: la fantascienza ed il cinema.



Giulio Verne e Georges Méliès

Dalla Terra alla Luna, titolo originale De la Terre à la Lune, trajet direct en 97 heures 20 minutes, è il famoso romanzo di fantascienza di Jules Verne, scritto del 1865, prima parte di un dittico che si chiude con Intorno alla Luna, del 1870. Il genio esoterico e visionario di Verne, Rosacruciano e Massone, anticipa con straordinaria lucidità tutti gli elementi tecnologici che poi sosterranno, effettivamente, l’impresa lunare cent’anni dopo. Prima di tutto la propulsione e le forma dell’astronave: sparata da un enorme cannone, la navicella proiettile finanziata dal Gun Club arriverà sull’astro più vicino. Qui va notato un elemento che, con gli occhi di oggi, assume una centralità decisamente profetica: il ruolo dei privati. Mentre sino a pochi anni or sono, infatti, i viaggi spaziali erano appannaggio solo delle Agenzie spaziali nazionali o Europee, oggi il mondo del business privato si affaccia con convinzione, non solo al turismo spaziale, ma alla possibilità di trasferire una parte dell’umanità, quella che ovviamente se lo potrà permettere, o in orbita, o sulla Luna. Su questo scenario i film ed i romanzi di fantascienza si sprecano, non ultime pellicole comeElysium il bellissimo Wally della Pixar.

E allora non possiamo che concludere questa piccola storia dei viaggi fantastici sulla Luna se non citando il grande Georges Méliès con il suo Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la lune) film muto del 1902 realizzato assieme al Viaggio attraverso l’impossibile e liberamente tratto non solo sui romanzi di Jules Verne ma anche dal I primi uomini sulla Luna di H.G. Wells.

E così a cinquant’anni dall’allunaggio, cerchiamo ancora d ricordare le tante storie che ci legano alla “nostra” Luna, ma teniamoci cara la Terra, per non dover un giorno essere costretti a guardarla da lassù senza poterci tornare.

Il Manifesto/Alias – 13 luglio 2019