TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 22 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 12. L'elogio della passività. Bordiga e la rivoluzione spagnola

 


12. L'elogio della passività. Bordiga e la rivoluzione spagnola

Come scrivono gli internazionalisti di Battaglia comunista:

“La realtà vuole che la fantomatica linea politica bordighiana dal 1926 al 1946 non sia semplicemente esistita. Si deve unicamente a tutti gli altri compagni della Sinistra italiana, operanti in Italia (nei rari momenti di "libera uscita" dalle patrie galere) e specialmente all'estero nella Frazione, la permanenza storica di una corrente comunista rivoluzionaria, anche se certamente richiamantesi al fondamentale apporto dato da Bordiga fino al 1926. Al loro impegno e al loro sacrificio si deve la continuazione e lo sviluppo di una successiva elaborazione teorica e di una attività pratica: sempre viva, sia pure nei limiti oggettivamente imposti, in termini di indirizzi e di azione politica diretta e con la quale Bordiga si troverà a disagio se non addirittura in contrasto al momento della sua ricomparsa nel 1945.” [1]

Tesi sostanzialmente condivisa dallo storico francese, di matrice internazionalista, Philippe Bourrinet nella sua storia della Sinistra comunista italiana:

“Mentre la Sinistra italiana nelle prigioni italiane e all'estero continuava la sua lotta, Bordiga a poco a poco si sarebbe allontanato da ogni forma di vita politica, per dedicarsi al suo mestiere di ingenere. […] Bordiga era stanco e disgustato del militantismo […]. Malgrado tutti gli sforzi fatti dai membri della Sinistra per collegarsi con lui, Bordiga rifiutò ogni contatto”. [2]

A differenza di Vercesi (Ottorino Perrone) e compagni, Bordiga portava, come era suo solito, questa convinzione all'estremo, rifiutando l'esistenza di una frazione organizzata e qualunque attività, all'estero come in Italia, diretta al raddrizzamento della linea politica del Partito e dell'Internazionale. Sarebbero stati i fatti stessi a riportare le cose sul loro giusto binario, nel frattempo valeva un “liberi tutti” generale. Da qui il suo totale e ostentato disimpegno, fonte di sconcerto per molti compagni impegnati in prima fila nella lotta allo stalinismo e al fascismo, come Alfonso Leonetti che in una lettera del 1974 a Livorsi scrive:

“Mi chiese Trotskij in Francia (anni '30): «Perchè Bordiga non viene a darci un colpo di mano?». Gli risposi: «Bordiga pensa che tutto è putrido; che bisogna attendere il crearsi di nuove situazioni per ricominciare». Ecco: attendere; è la sua contanna. E quando la situazione è mutata – senza lui, malgrado lui – che fa per riprendere il filo rosso della storia? Un lavoro quasi sotterraneo, invece di rimboccarsi le maniche, invece di scendere tra gli operai per aiutarli ad organizzarsi ed a capire”.[3]

“Vani furono i tentativi dei compagni della Frazione di Sinistra, costituitasi all'estero nel 1927, e l'interessamento dello stesso Trotsky per convincerlo ad espatriare: il suo rifiuto fu netto. «Appartarsi e attendere» diventerà la sua posizione politica personale; un disimpegno e una superiore estraniazione da quanto accadeva in Italia e in campo internazionale”. [4]

Di questi tentativi e dell' assoluto disinteresse mostrato da Bordiga di prendere contatto i suoi compagni nell'emigrazione era perfettamente al corrente la polizia politica fascista, tenuta costantemente informata, oltre che come si è visto dalle spontanee dichiarazioni dell'interessato, da uno dei principali esponenti della Frazione, l'avvocato Ugo Girone incaricato proprio di convincere Bordiga a espatriare. In una relazione della primavera 1930 la spia chiede ai suoi superiori precise direttive su come comportarsi:

“La Sinistra pur avendo continuato inutilmente per mezzo del suo organo illegale il tentativo di riprendere i contatti con Bordiga, e pur ripromettendosi di persistervi in tutti i modi, mi ha ridato ancora una volta nonostante lo scacco del dicembre scorso, l'incarico ufficiale di studiare i mezi più adatti per riuscire nello scopo, sottoponendo all'esame preventivo del Comitato Centrale della Sinistra il mio piano di azione... Io mi son preso il tempo per concretare un piano, ma evidentemente ora è a voi la decisione sul cme menare a termine l'incarico avuto. Su ciò sono in attesa di una vostra risposta”. [5]

Ovviamente anche il tentativo di Girone finì in un nulla di fatto, né valsero a smuovere Bordiga avvenimenti epocali come nel 1933 la vittoria di Hitler e la tragedia dei comunisti tedeschi, la rivoluzione spagnola del 1936 o i grandi processi staliniani della fine del decnnio seguiti dal riavvicinamento dell'URSS alla Germania nazista e dal patto Ribentropp-Molotov. Bordiga restò in silenzio, imperturbabile, come se quegli avvenimenti non lo toccassero, convinto anzi che quel che stava accadendo confermasse la sua tesi dell'impossibilità della rivoluzione e quindi dell'assoluta inutilità di ogni azione politica. In particolare sui fatti di Spagna la sua posizione fu di sostanziale equidistanza fra il campo repubblicano e quello franchista. Per lui, come per Frazione all'estero che su di questo si spaccò, ai trattava della guerra fra due schieramenti borghesi per cui gli autentici comunisti dovevano astenersi dall'appoggiare uno dei due fronti. Da un lato rispuntava la vecchia tesi, già espressa davanti offensiva squadrista del 1920-22 dell'equivalenza fra fascismo e campo democratico socialisti compresi, dall'altro si ignorava che proprio il proletariato spagnolo, operai e contadini, e le sue conquiste democratiche erano il principale obiettivo del golpe franchista e che la vittoria del fascismo avrebbe significato, come poi infatti puntualmente avvenne, l'annientamento per decenni dello stesso proletariato come forza organizzata. Insomma, siamo di fronte al rifiuto dell'antifascismo, assimilato in forma peggiorativa al fascismo stesso. Non abbiamo testi di prima mano degli anni Trenta. Come denunciato da Damen, Bordiga non dedicò a quei fatti “né una parola né un rigo”, ma eloquente del suo pensiero sulla tragedia spagnola è uno scritto nel 1957 in morte di Ottorino Perrone:

“I movimenti proletari del 1936 e 1937 sono lucidamente diagnosticati come episodi di classe inconclusi non solo per l'inesistenza di una situazione rivoluzionaria, ma per una situazione internazionale che volge non nel senso della ripresa classista, bensì in quello della seconda guerra mondiale fra gli stati, e quindi non genera e non può generare dal suo seno la forza di guida, il Partito. Alle spalle delle armate repubblicane sta, ben saldo, lo Stato borghese rivestitosi dmocratico-antifascista […]. L'orginaria spinta elementare di classe è stata prontamente diretta su un binario anti-classe: sulla piazza d'armi spagnola si prepara la mobilitazione antifascista degli operai di tutto il mondo per quello che sarà un nuovo, spaventoso macello”. [6]

Dunque Bordiga nega l'esistenza di una situazione rivoluzionaria in Spagna, il paese dove più alta fu negli anni Trenta l'insorgenza proletaria, seconda per estensione e forza solo all'Ottobre russo, ma nega anche ogni possibilità di intervento a livello internazionale a far da controtendenza alla corsa effetivamente in atto alla guerra mondiale. Il suo è ormai un marxismo ossificato e meccanicistico, in pieno contrasto con l'esperienza russa dove proprio nel pieno di una situazione fortemente controrivoluzionaria Lenin aveva costruito il partito bolscevico e lo aveva attrezzato a resistere all'urto della guerra imperialista fino al punto di riuscire a traformarla in una rivoluzione vittoriosa. Per Bordiga no, la tendenza alla guerra impedisce ogni tentativo di costruzione del partito proletario, come Perrone egli pensa che non si possa più nemmeno parlare di proletariato come classe autonoma. Si perde il senso autentico del marxismo, non nuova visione del mondo e dunque mero sistema filosofico,  ma critica radicale del presente e allo stesso tempo strumento di lotta quotidiana per il rovesciamento dello stato di cose esistente. Il marxismo diventa attesa messianica di un futuro radioso che non ha bisogno di essere preparato perché inevitabilmente destinato a compiersi, indipendentemente dal concreto agire degli uomini. Una visione passiva, per molti aspetti simile al marxismo evoluzionista della Seconda Internazionale, che riduce il marxismo da pensiero vivo a mera astrazione e il partito da strumento collettivo d'azione e di emancipazione di una classe all'elaborazione teorica di un uomo solo, volutamente isolatosi dal mondo.

Note

1. Il P. C. Internazionalista e il bordighismo del secondo dopoguerra, Edizioni Prometeo, Milano, 2015, p. 9.

2. Philippe Bourrinet, La Sinistra comunista italiana 1927/1952, Corrente Comunista Internazionale, Napoli, 1984, pp. 22-23.

3. Da una lettera di Alfonso Leonetti a Franco Livorsi in data 1° maggio 1974, parzialmente riportata in F. Livorsi, Amadeo Bordiga, cit., p. 357.

4. Il P.C. Internazionalista e il bordighismo del secondo dopoguerra, cit., p. 10.

5. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell'OVRA, cit., p. 324.

6. Ottorino, Il Programma comunista, 23 ottobre-3 novembre 1957. Articolo non firmato ma sicuramente di Bordiga.


12. continua