TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 7 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926--1944) 3. Il processo di Palermo

 


Giorgio Amico

3. Il processo di Palermo

Il 20 gennaio 1927 Gramsci abbandona Ustica, tradotto a Milano, dove il 14 gennaio è stato spiccato un mandato di cattura contro di lui. Gramsci viene arrestato, per essere trasferito nel carcere milanese di San Vittore. Inizia così per il comunista sardo un decennio di sofferenze che terminerà solo con la sua morte nell' aprile del 1937. Da Ustica Bordiga si mobilita immediatamente a favore dell'amico e compagno, interessando del caso l'avvocato milanese Giovanni Ariis. Il 4 marzo scrive una lunga lettera alla madre di Gramsci per rassicurarla sulle condizioni del figlio. La riportiamo quasi integralmente:

“Gentile signora, pur non conoscendola le indirizzo la presente per darle notizie del suo figliuolo Antonio, mio carissimo amico, sapendo che di tale notizie ella manca, e volendo rassicurarla sulla sua effettiva condizione. Antonio come lei ben sa era qui destinato al confino di polizia (…) già da vario tempo ha dovuto lasciare Ustica perché trasferito a Milano dove egli era implicato in un processo. Noi consideriamo che egli ritornerà tra non molto fra noi, appena avrà potuto fornire tutti gli schiarimenti necessari e atti a far risultare la sua innocenza di fronte alla imputazione che gli viene mossa. Soltanto siccome la istruzione del processo si svolge a Milano, ha dovuto essere condotto in tale città e rimanere a disposizione in quel carcere giudiziario. Sappiamo da sue lettere che da tempo è arrivato, che sta bene, e che inoltre i parenti di colà provvedono a quanto gli può materialmente occorrere per vitto ed altro. La sua salute era qui buona e lo è tuttora essendo egli trattato bene e agevolato in quanto è possibile. Inoltre è di ottimo umore e non gli manca la serenità e il coraggio. Lei può quindi tranquillizzarsi sul suo conto, e tenersi sicura che tra poco sarà qui rimandato, e come si vuol sperare prossimamente liberato come noi tutti ci auguriamo. Sappiamo che è anche fornito di libri e gli è così possibile di occuparsi negli studi prediletti. Se lei non lo ha già fatto può scrivergli al «Carcere giudiziario di Milano». Si convinca che non si tratta di cosa allarmante ma solo di un procedimento per il quale, essendo un confinato, ha dovuto necessariamente essere condotto lassù in in stato di detenzione per essere a disposizione del magistrato. Se crede che io possa esserle utile mi scriva all'indirizzo qui sotto: e intanto accetti i miei riguardi e i migliori saluti. Ing. Amadeo Bordiga, Ustica, Palermo”. [1]

Le cose purtroppo non andarono come Bordiga auspicava. Gramsci non tornerà più a Ustica, ma resterà in carcere, prima a Milano e poi a Turi, ma i due mantennero ancora un contatto epistolare almeno fino all'aprile del 1929. [2]

Intanto a Ustica erano arrivati nuovi confinati, fra cui il socialista Giuseppe Romita che andò a vivere nella casa occupata da Bordiga prendendo il posto lasciato libero da Gramsci. Sarà l'inizio di una intensa amicizia che continuerà poi nel successivo confino di Ponza. Oltre ai corsi di studio e alla biblioteca i confinati avevano, grazie ad una circolare ministeriale del 12 febbraio 1927, potuto organizzare mense autogestite. Dalle lettere che Romita manda alla moglie scopriamo che la più famosa era certamente quella nata per iniziativa di Bordiga, frequentata da quasi tutti i confinati politici, perché il comunista napoletano era famoso per essere un ottimo cuoco. [3]

Il clima nell'isola cambia drasticamente nell'agosto 1927, quando il troppo conciliante direttore della colonia, Sortino, viene sostituito dal commissario Michele Buemi, un fascista fanatico, che dà subito disposizioni di trattare con estrema durezza i confinati che «se la passavano troppo bene e meritavano di andare in galera». [4] Primo fra tutti, proprio Bordiga verso il quale il nuovo direttore nutre una particolare avversione, come si evince da un rapporto inviato al capo della polizia quasi subito dopo il suo arrivo sull'isola:

“Fra tutti i confinati politici esistenti in questa colonia il più pericoloso è l'ingegner Bordiga, il quale tiene vivi nell'animo dei confinati appartenenti al comunismo le idee comuniste e se qualche affiliato avesse in animo di ravvedersi viene vessato e minacciato”. [5]

Non sappiamo se su indicazioni del vertice della polizia o per iniziativa personale di Buemi viene montata una gigantesca provocazione. Tra i politici vengono infiltrati dei confidenti, da usare come agenti provocatori al fine di costruire un caso giudiziario. Il 10 ottobre, a seguito di una segnalazione della Prefettura di Palermo, fondata su informative del commissario Buemi, Amadeo Bordiga insieme ad altri trentanove confinati, che diventeranno cinquantasei al termine dell'istruttoria, viene raggiunto da un mandato di cattura emesso da Tribunale militare di Palermo, con l'accusa di aver clandestinamente costituito

“organizzazioni singole di partito nonché un'organizzazione in comune che aveva lo scopo immediato di soccorrere i compagni bisognosi e meditato di tenere saldi legami fra i vari gruppi politici per una azione violenta comune di fronte unico contro il regime”. [6]

L'accusa era surreale; senza alcuna prova se non le dichiarazioni dei confidenti, si sosteneva che gli accusati attraverso alcuni massoni, anch'essi confinati sull'isola, avessero concordato con la potentissima Massoneria francese, l'arrivo di una nave carica d'armi e una rivolta generale dei confinati finalizzata allo “sterminio” del presidio della Milizia, dei carabinieri e della polizia, per poi fuggire in Tunisia.

Gli arrestati vengono portati al carcere dell'Ucciardone, considerato uno dei più duri penitenziari italiani. Vi resteranno fino ai primi di giugno del 1928 quando, anche per le proteste delle famiglie, verranno trasferiti in carceri meno punitivi. Bordiga finirà a Napoli, a Poggioreale. Il primo agosto 1928 la montatura si scioglie in nulla. Il giudice istruttore proscioglie tutti gli imputati e ne ordina la scarcerazione e il trasferimento alla colonia confinaria di Ponza.

Il 17 agosto 1928 Bordiga sbarcava a Ponza, ma di questo parleremo nel prossimo articolo.


Note

1. Lettera del 4 marzo 1927. Ora in appendice a: Valentino Gerratana, Note di filologia gramsciana, Studi storici, Anno 16, N. 1, gennaio-marzo 1975, p. 150.

2. Cfr. Arturo Peregalli-Sandro Saggioro, Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), Colibrì, Milano, 1998, p. 170.

3. Cfr. Giovanna Delfini, 1927: Nello Rosselli e Ustica, Lettera del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, n. 35-35, gennaio-agosto 2010, p. 5.

4. Ivi, p. 7.

5. Citato in: Arturo Peregalli-Sandro Saggioro, Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), cit., p. 175.

6. Citato in: Federico Fornaro, Giuseppe Romita, FrancoAngeli, Milano, 1996, p. 130.


3. Continua